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Recensione: De Vinis

lunedì, Agosto 16th, 2010

Ecco un’altra recensione. E’ della rivista De Vinis, nel numero luglio-agosto. Li ringrazio (è davvero affettuosa), e con loro Luca Miraglia che me l’ha segnalata.

“Originale firma de La Stampa, Andrea Scanzi addossa la colpa di questo volume ai lettori che hanno apprezzato il suo bestseller Elogio dell’invecchiamento (2007), di cui Il vino degli altri è l’ideale seguito.
O meglio, prosecuzione di un viaggio – come scrive lo stesso autore – “perchè i viaggi non finiscono mai”. Un viaggio che conduce idealmente il lettore dalla Franciacorta alle falde dell’Etna, dalla Toscana a Bordeaux, dalla Mosella all’Abruzzo, dalla Rioja spagnola all’Argentina, in una spettacolare varietà di paesaggi, profumi, colori, gusti, culture, tradizioni, alla scoperta di vini che hanno storie importanti da raccontare e di viticoltori coraggiosi. Lo scopo non è quello di stabilire graduatorie (“il vino migliore non esiste” ammonisce l’autore), ma di conoscere meglio i vini degli altri attraverso il confronto con i nostri.
Il volume si apre con una dedica a uno tra i più amati attori e registi americani: “A Clint Eastwood, con e senza cappello. Ai suoi sigari, ai canyon sul volto. Allo sguardo che fa in Gran Torino, quando muore per noi, ultimo filare di un tempo che abbiamo voluto smarrire”. Una dedica che incarna l’essenza del libro, che del viaggio racchiude tutto il senso di scoperta del nuovo e di nostalgia per il vecchio. Un’ironia e un umorismo senza pari permeano le pagine dell’intero scritto e permettono a Scanzi di approcciare un tema che, per sua natura, sarebbe destinato a una ristretta cerchia di “enoesperti”, e che invece diviene libro per tutti. Il lettore si sorprenderà nel ritrovare tra le righe situazioni esilaranti in cui riconoscersi, perchè ognuno ha il suo modo di avvicinarsi al vino, sia che nel degustarlo si avverta una “distinta matrice boschiva di Pinot Nero” o un più semplice sapore di frutta. Perchè nel mondo del vino nessuno ha ragione, e ognuno sceglie in base alla propria sensibilità.
L’impronta personale dell’intero libro si ritrova in due divertenti capitoli (in apertura e in chiusura dell’opera), esemplari dell’impianto narrativo: “Le dieci cose che pensavo sul vino prima di questo libro” e “Le dieci cose che penso sul vino dopo questo libro”. Ecco quanto Scanzi pensava:
“1) I vini francesi sono troppo cari.
2) I vini migliori del mondo sono quelli italiani.
3) I vini americani sanno di vaniglia.
4) I vini del Sudamerica costano poco. Giustamente.
5) Sono trent’anni che bevo, ci fosse stata una volta che ho beccato un vino con sentori di chiodi di garofano.
6) I vini più buoni sono sempre rossi.
7) I vini dolci piacciono a tutti, hanno qualcosa in più.
8 ) Lo Champagne è sopravvalutato.
9) Quando non so come scegliere un vino, mi affido ai voti in centesimi delle riviste di settore. Meglio se statunitensi.
10) Gli astemi mi fanno paura.”
In merito a quanto Scanzi pensa, l’invito è a gustarvene la lettura. Ne vale la pena.” (De Vinis)

Recensione: Repubblica Blog

sabato, Agosto 14th, 2010

Pubblico la recensione di Manila Benedetto, apparsa nel blog di Repubblica. Fa parte della redazione di Bari. Manila è stata anche la relatrice (brava) dell’incontro di un mese fa a Polignano a Mare, dove ho passato una splendida serata anche grazie alla compagnia rutilante di Niccolò Agliardi ed Alessandro Cattelan.
Un saluto a tutti da Brno, dove non regna il vino (per quanto in crescita) ma un campionario di birre leggendarie. Tornerò in Italia mercoledì e dal giorno successivo riprenderò le mie degustazioni on line.

“Non contento del riuscitissimo “Elogio dell’invecchiamento”, Andrea Scanzi, giornalista poliedrico, torna per i tipi della Mondadori – Strade Blu con “Il vino degli altri”, un trattato ironico che mette a confronto i vini italiani con i vini stranieri.
Dalla Francia alla Toscana, dal Veneto all’Argentina, passando per Ungheria e Abruzzo, tanti sono i vini che finiscono sotto la lente di ingrandimento del giovane giornalista (classe 74), impegnato per La Stampa sui temi sportivi, culturali ed enogastronomici.
Una narrazione, però, mai banale né pesante. Quello che ci troviamo a leggere, nonostante la mole di 327 pagine, è un manuale simpaticissimo che ci aiuta ad orientarci meglio nel marasma dei vini. O forse a disorientarci meglio, facendo cadere alcune certezze (o luoghi comuni?) da cinque grappoli sulle guide.
Ed ecco la parola chiave: la guida. Dice bene Andrea, fate attenzione, guida è l’anagramma di Giuda: forse dovremmo riflettere e provare, prima di fidarci solo perché “è scritto in quella guida”.
Tra serietà e degustazioni, narrando sempre il background di ogni vino, conoscendo territorio, cantine e produttori, Andrea Scanzi si diverte con degli intermezzi che rappresentano il vero cuore del libro. Cento domande, che son le cento cose da sapere sul vino degli altri (con domanda-risposta dall’ironia travolgente, che però insegna e fa riflettere), il vino outtake, come funziona un concorso, ed il mitico capitolo “Bignami di un Consumatore Iconoclasta” dove potremo imparare come ci sono vini molto simili ad alcuni luoghi comuni della nostra società fatta di vip: il vino Jovanotti, per fare un esempio, un “vino con la zeppa, che ride sempre, soprattutto senza motivo, vinificato nell’ombelico del mondo…”, o un vino Giusyferreri che “quando lo bevi ti fa venire voglia di gargarismi”, per finire al mio preferito (sarà perché ho aperto proprio qualche giorno fa un vino che rientra nella categoria), il vino Sangiorgi quello “che non è buono se non è emaciato, sofferente e un po’ bruttino”.
“Il vino degli altri” è un libro per tutti, appassionati intenditori o neofiti della materia enologica. Un libro che fa sorridere molto e riflettere di più. Da leggere” (Manila Benedetto).

Recensione: Sito Ufficiale Ais

mercoledì, Agosto 11th, 2010

Torno dalle ferie, ho un attimo di tempo e pubblico volentieri questa recensione di Franco Ziliani, apparsa nel sito ufficiale dell’Associazione Italiana Sommeliers. Nei prossimi giorni, oltre a riprendere con le recensioni, cercherò di informarvi sulle prossime presentazioni e pubblicherò anche le recensioni de Il mio Vino e di Repubblica Libri.
Per il momento, grazie a Ziliani. E’ una recensione che trovo bellissima. Oltre che (per me) un po’ imbarazzante.

Il vino degli altri: tra Champagne e Garganega con Andrea Scanzi cantore enopop
di Franco Ziliani

Non è proprio recentissima l’uscita di questo libro, il secondo che il poliedrico autore, Andrea Scanzi, aretino, inviato della Stampa di Torino, biografo di Roberto Baggio, con all’attivo libri su Beppe Grillo, Ivano Fossati e altre cose, dedica, da sommelier e degustatore ufficiale A.I.S., al tema vino.
Non avendo però avuto il tempo ed il modo di intervistarlo, come feci tre anni fa, come potete leggere qui, in occasione dell’uscita di Elogio dell’invecchiamento, ho pensato di scrivere ugualmente de Il vino degli altri (Mondadori editore come il precedente) e titolo di un wine blog che Scanzi aggiorna periodicamente e dove appunta le sue impressioni di degustazione e altri commenti vinosi, anche se ferragosto è alle porte ed il libro è già da tempo in libreria.
Lo faccio perché penso sinceramente che questo Viaggio alla scoperta dei migliori vini del mondo (e dei loro rivali italiani), come recita il sottotitolo, sia, soprattutto grazie al suo stile particolarissimo, che è quello volutamente non specialistico, che mi piace definire “eno-rock“, pieno di riferimenti alla musica, al cinema, al costume, alla cultura giovanile, che caratterizza Scanzi, sia un libro che con le sue 320 pagine fitte di incontri, personaggi, impressioni di viaggio vale assolutamente la pena di essere letto.
Magari anche in questo periodo di vacanza, meglio se in campagna, in collina o in montagna, dove c’è più calma e magari un assaggio di vino scandisce il ritmo delle giornate di meritato ozio, che al mare, dove la concentrazione, quella che la lettura de Il vino degli altri richiede, non sempre abbonda.
Cosa ha fatto Scanzi, che, per inciso, ha dedicato questa sua nuova fatica “a Clint Eastwood, con e senza cappello” e confessa di aver pensato ad Apollo Creed “il rivale di Rocky nei primi due episodi della saga” accingendosi a scriverla, per differenziare questo nuovo libro sul vino rispetto ad Elogio dell’invecchiamento?
Semplicemente ha cercato di rispettarne l’impianto, passando da venti a trenta capitoli, con “dieci viaggi all’estero, dieci reportage in Italia, dieci capitoli di alleggerimento”. Stavolta nel libro, come confessa divertito, ha inserito anche una sorta di “backstage. Una trovata adorabilmente infantile per raccontare retroscena, ammantare di presunta saggezza la propria demenza e sentirsi rockstar”. Questo perché gli scribi, come annota, “oltre a essere fingitori come i poeti e i sommelier, sono pure sostanzialmente scemi”.
Scherzi a parte, e ironie e autoironie, che sono comunque, insieme a calembour, ad arditi paralleli tra vino e politica, a trovate ad effetto (che Scanzi sa perfettamente essere tali e di cui appunto prevede e calcola bene l’effetto sul lettore), il libro propone, attraverso un alternarsi di capitoli dedicati a vini esteri (Champagne, Borgogna, Riesling Renano, Rioja, Tokaj, Rodano nord, Loira, Bordeaux) e vini italiani (spostandosi dalla Franciacorta all’Etna, da Bolgheri e Sagrantino alle terre della Garganega, ma Gambellara, quella di Angiolino Maule, non quella del Soave, alla Toscana di Montalcino, alle Cinque Terre dello Schiacchetrà al Trebbiano d’Abruzzo, quello del “cantiniere Zen” Francesco Valentini), una sorta di confronto tra il vino di casa nostra ed i vini che vengono prodotti in altri Paesi esteri.
Un confronto condotto incontrando produttori, visitando cantine e vigneti, assaggiando vini, raccontando, con quello stile tutto particolare, veramente “eno-pop”, servito da una facilità di scrittura notevole, da una capacità tutta naturale di restituire dettagli e situazioni, di raccontare, il diverso modo di intendere il vino, di renderlo un prodotto non solo da bere ma un qualcosa su cui costruire leggende e mitografie, da consegnare all’immaginario, riscontrato e toccato con mano nelle più disparate latitudini.
Ogni tanto, con il consumato mestiere del cronista, che ha il senso e il fiuto della notizia e sa bene che un po’ di polemica rende più saporito il piatto, Scanzi distrattamente, fingendo di ignorare o sottovalutare l’effetto deflagrante di quanto scrive, lascia cadere una carica di tritolo, come ad esempio nell’ormai celebre pagina 131 (provate a fare una ricerca tramite Google e capirete) mette in bocca ad un produttore di Cortona parole di fuoco su vini finti e costruiti in Toscana e sul ruolo di certi enologi.
Oppure quando trattando dello scandalo del Brunello e accennando al giustificazionismo di qualche “guru” del vino scrive “permettiamo ai produttori di mettere dentro al Brunello quello che vogliono. Cambiamo il disciplinare. Così saremo tutti contenti” per concludere che si tratta di “una logica cara a certa politica: se uno ha commesso un reato, e lo si è scoperto con un’intercettazione, la difesa non è che quel politico è innocente. E’ che l’intercettazione è illegale”. O ancora racconta, dal di dentro, avendovi partecipato come membro di una commissione di degustazione, come funziona un concorso enologico e di come i risultati possano apparire sorprendenti o persino stravaganti.
O quando bolla, essendogli chiaramente antipatica e non riuscendo ad entrare nelle sue corde bolla Bordeaux, nel capitolo tutto domande e risposte intitolato “Cento cose da sapere sul vino degli altri”, scrivendo di avercela “con quelli come Michel Rolland e Robert Parker, che hanno fatto carne da macello di una regione già tendente di suo a tirarsela”, o che “a Bordeaux cosa vuoi che gliene freghi del terroir”.
Quella Bordeaux cui dedica un capitolo, dal titolo chiaramente pensato pour épater il lettore di “Cronaca di un amore mai nato (Bordeaux)”, che si apre con queste parole fulminanti e veramente tranchant “ci sono viaggi che ti stupiscono, altri che non ti lasciano nulla. Bordeaux, né l’uno né l’altro. Ci ho trovato quello che pensavo. Lusso, lusso e ancora lusso. Il Bordolese è la parte più americana d’Europa. Tutto è mercato, soldi, affari”.
Tutt’altra musica rispetto ai toni appassionati che riserva alle zone, ai vini, ai personaggi che nel cor gli stan e che ci fa chiaramente capire, con una scelta di campo, quali siano e perché tanto lo colpiscano e gli siano vicini.
Nel libro c’è un piacevole e divertito scherzare su se stessi, sul vino, su certe sue eccessive ritualità, sull’averlo reso una cosa così importante e sempre meno leggera e naturale e piena d’allegria come dovrebbe invece essere, capitoli apparentemente frivoli come il “Test di fine corso: sei Bordolese o Borgognotto?”, ovvero dodici “domande a risposta multipla” che sanno tanto di film di Nanni Moretti oppure suonano come un tentativo di accertare se il sottoposto al test sia “di destra” o “di sinistra”, oppure juventino o interista.
E poi, prima del backstage finale, ovvero “dietro le quinte per perdere quel che resta di una faccia”, trovi, speculare al capitolo iniziale “le dieci cose che pensavo sul vino prima di questo libro”, dove si potevano leggere volontari luoghi comuni tipo “i vini migliori del mondo sono quelli italiani. I vini francesi sono troppo cari. I vini americani sanno di vaniglia”, il capitolo intitolato “le dieci cose che penso sul vino dopo questo libro”.
Un resumé, molto più saggio, anche se sempre costellato di trovate fulminanti e di battute, dove si legge che “i vini migliori del mondo non esistono”, che “i vini “più buoni” sono soggettivi, ma non saranno mai solo e soltanto rossi”, che “lo Champagne, se ben fatto, è una delle dimostrazioni dell’esistenza di Dio. O anche solo della scarsa credibilità di Sai Baba”.
Tra serio o faceto, tra approfondimenti e vividi ritratti che ti fanno “innamorare” di un produttore e di fanno venire voglia di incontrarlo o di stappare al più presto un suo vino, tra osservazioni che di superficiale hanno solo l’aspetto ma che invece sanno andare in profondità e colgono il segno, il libro, capitolo dopo capitolo, passando dalla “persistenza infinita per ricchi bevitori (Bolgheri)” a “quelli che lo fanno strano”, al “Bignami del Consumatore Iconoclasta” al “vino outtake” alla “uva unplugged che viene dal freddo” a “vini sexy e sogni che continuano”, scivola via bene, ti coinvolge nel suo ritmo sincopato, ti porta dentro, e senza mai annoiare, anche quando le citazioni e le dimostrazioni di intelligenza e di cultura potrebbero un po’ stancare, si fa leggere benissimo. E ti convince di un’evidenza, che per affascinare e coinvolgere il popolo del vino di oggi, i giovani passati al Dolcetto e al Nero d’Avola in transito dalla celebre bibita gasata multinazionale, sono molto più utili libri come questo, cantori dissacranti e con il gusto dell’iperbole enopop come Scanzi, che si ritrovano molto di più nel suo linguaggio che in quello, forse superato e un po’ ingessato, forse troppo paludato e stanco di noi che ci ostiniamo a chiamarci “addetti ai lavori”… (Franco Ziliani)

Feedback: Luca Lopardo

lunedì, Giugno 28th, 2010

Il delirante reportage di un lettore pazzo, Luca Lopardo.

“Tu chiamale, se vuoi, emozioni. Ma non cominciamo dalla fine. Si proceda con ordine e dovizia.
Tutto inizia martedì mattina, durante il consueto pellegrinaggio presso i miei due blog preferiti (Il vino degli altri e Wildcard). Scopro che quel bischero di Scanzi (nella foto, quello estraneo alla pinguedine) ha postato, con scarso (eufemismo) anticipo, la presentazione del suo ultimo libro, in programma all’enoteca Compagnia del Taglio di Modena  (bellissimo locus amoenus) alle 19.00 del giorno dopo. Leggo Modena, penso Pàvana. Penso che l’occasione di incontrare due maestri in un colpo solo sia troppo allettante. Penso che siamo in piena sessione d’esame, che il viaggio mi costerà un po’, e che, presumibilmente, dovrò farlo da solo.

Fanculo,dico. Ci vado lo stesso. Nel frattempo, provo a convincere il fido Vanni a seguirmi. Lui glissa, tituba, scorge insormontabili impedimenta. C’è che ha un esame, nel pomeriggio.  Tuttavia, sento che accetterà l’indecente proposta, in caso di conseguimento di un buon voto.
Trenta spaccato. Ora Vanni non ha specchi a cui aggrapparsi, indi gli fracasso le palle finchè non accetta di accompagnarmi, con finta rassegnazione.
Partiamo alle 13.00 circa di mercoledì. Il bagaglio (minimale) comprende libri per gli autografi, testi d’esame (verranno colpevolmente ignorati), e le deprecabili, ma pratiche, macchine digitali (Mala tempora currunt (cit.) ). Tra una dissertazione filosofica (uh) e l’altra, facciamo scalo a Mestre e Bologna, per poi scendere a Modena. La giornata è bella, la Piccola città di Guccini e Berselli (ciao, Edmondo) appare tranquilla, ordinata e pulita. Un gentilissimo autoctono ci conduce all’ostello. Lo ringraziamo, prendiamo la camera e filiamo a docciarci, puzzosi di 2a classe Trenitalia (tralascio inevitabili risvolti biblici da Ostello della Gioventù). Arrivati in Via del Taglio, d’improvviso mi blocco: noto un tizio alto, sui trentacinque, capelli lunghi e barba incolta. Un trasandato (cit.) con le Timberland, somigliante ad Alessio Boni (il Matteo Carati de La meglio gioventù. Se non conoscete nè lui, nè il film, nè Berselli, inginocchiatevi sui ceci in attesa dell’Assunzione). Lui è lui, è Rui, è Scanzi. Il Maestro.
Mi avvicino, attanagliato dall’incredulità tipica dei momenti privilegiati, quando stai per stringere la mano a un tuo Eroe. Mi presento con un “ciao, sono Luca” (come se mi chiamassi Piersandroermenegildo), il Maestro risponde con un sorriso cordiale, “piacere”. Poco dopo mi riavvicino, con in mano un Metodo Classico (?) dal perlage encomiabile (uh). Gli porgo C’è tempo, per l’autografo (originale, eh?). “A Luca Lopardo”, gli suggerisco. Lui sorride: “Aah, non avevo capito fossi tu!”. Tento di rassicurarlo con una battuta (volutamente british) sull’esiguità del numero dei Luca in Italia. “Scrivi: all’eroe che si è fatto cinque ore di treno per essere qui”. Lui ridacchia, mi fa “tu sei pazzo”. Gli chiedo l’ultima cosa da fan becero: la foto. Mentre Vanni si appresta a immortalarci, Scanzi se la ride e dice a Beppe Cottafavi: “ormai siamo alla follia pura”. Bella, sembriamo Gianni e Pinotto. Facciamo due chiacchiere in merito a un problema da me postogli via mail. Me lo ricorda lui, non avevo intenzione di riparlarne (non è una faccenda che lo riguarda, ma la gente rombe le balle a lui, va sempre così). Troppa memoria, troppa bontà. Andrea Scanzi è un cazzeggiatore sontuoso, eclettico e competente, che o si ama o si odia. Per coloro che lo amano, Andrea è più di un grande giornalista, più di un eccellente scrittore: è un fratello, un amico, un compagno di avventure, al quale non riesci a dare del Lei. Neanche quando le differenze di età, cultura ed esperienza lo richiederebbero. Nemmeno quando, come nel mio caso, suoli dare del Lei a chiunque sia meno giovane di te anche di un solo mese. Andrea è un tipo a posto: gentile, garbato, disponibile. Buono (ma guai a far incazzare i buoni, vedi Walt Kowalski) e onesto, naturalmente votato al dialogo. Sul suo blog si diverte a sbertucciare, con malcelato sadismo, i molti (troppi) internauti dediti a solipsismi offensivi e inutili vilipendi nei suoi confronti. Brutta razza, i fanboys (e fangirls) ciechi e travalicatori. Come gli ultras, i truzzi, gli scout, gli astemi per scelta e le donne che aborrono i tacchi (ma idolatrano le Superga e le “ballerine”. Diffidate, gente, diffidate: esse sono anche astemie, truzze, e hanno paura di guidare in autostrada. Pura manna dal cielo, per i divorzisti).
Insomma, Andrea è un grande. Leggetelo (La Stampa, Micromega, i suoi Libri) e lo amerete, perchè è un Paladino della Libertà. Se lo odierete, sarà solo perché appartenete al Popolo delle Libertà.
Perdonate la digressione, ma era necessaria. Torniamo a noi.
La presentazione tarda ad avviarsi. Nel frattempo, tutti (TUTTI) stanno bevendo lo stesso vino di Scanzi. Un’immagine impagabile (ho preso anch’io un calice del Bellei, ma in segno di umiltà e come secondo bicchiere, indi il plagio è pienamente remissibile).
Mentre il tasso alcolemico saliva, il danaro andava esaurendosi. Non ci sarebbero state tragiche scene da Compagno di Sbronze. La serata fila bella liscia, divertente e impreziosita dagli aneddoti di Maule e Cerruti, due stimati produttori e personaggi singolari. Alla fine della presentazione compro il libro, e (non l’immaginereste mai) me lo faccio autografare. Andrea fa una bella dedica, gli accenno al leggero trip da vino e ci stringiamo la mano. Lui rimarrà lì, tra iperboliche leccornìe e bottiglie incredibili, fino alle 4 del mattino, rischiando (a suo dire) la cirrosi di Bukowski. Grazie e alla prossima.
Io e il buon Vanni andiamo alla ricerca di una pizzeria, e per trovarne una giriamo praticamente tutta la città. Modena è bella, pulitissima, si fa apprezzare (grazie anche ad alcune ordinanze, molto rigide, emanate dal Comune: niente alcool nè cibo per le strade, bravi). In Piazza Grande (stupenda) incrociamo un gruppo di inglesine. La più graziosa del gruppo si ferma, la invitiamo a bere qualcosa ma nisba. Addio, baby.
Si torna, satolli, all’ostello, dove ci attende un’insperata sospresa: in tv danno il lisergico Shaolin soccer. Che plot, che attori, che doppiaggio. Totemicamente trascendentale (?). Prima di dormire, Vanni mette su Vecchioni (inaccettabile). Forse non dovrei fidarmi troppo di lui.

Sveglia alle 7.15, non c’è tempo per la doccia. Il treno per Porretta Terme parte fra 55 minuti. In dirittura d’arrivo, iniziamo scorgere le verdi montagne di Pàvana: i campi, le colline, il fiume oramai inquinato e poco profondo (in italiano non esiste il contrario di profondo, non mi raccapezzo). Scesi dal treno, apprendiamo che Pàvana dista sette km, tutti in salita. Visto il caldo sommamente esecrabile (cit.), optiamo per la corriera.
Qui accade l’indicibile. Entriamo in un bar, al fine di acquistare i biglietti, ma non c’è nessuno. Vanni decide di recarsi alla toilette (atto palesemente empio), dove, con vibrante raccapriccio, trova la proprietaria (la diversamente Sora Lella) nell’atto di tirarsi su la sottana. Si odono grida belluine, rivolte al mio compagno di merende, reo di non aver richiesto alla donna il permesso scritto per accedere al bagno: “sarebbe obbligatoria la consumazione, dato che nell’ultimo mese ho speso centoventi euro per gli spurghi”. Oltremodo affabile, dopo averci duramente redarguito, la signora ci sbatte sul banco i quattro biglietti della corriera. Per dispetto, compriamo dei tortini al limone al mini – market vicino al suo baretto. Tiè.
In corriera, un pavanese ci spiega dove fermarci per  giungere al Tempio del Maestrone. Eccolo là, il cancello verde visto in quel documentario. Io e il buon Vanni ci guardiamo negli occhi, colmi di felicità. Vicini al portone d’ingresso, notiamo Guccini presissimo tra telefono e computer, quindi decidiamo di aspettare in cortile senza chiamare nessuno. Una parente del Maestrone ci nota e annuncia la nostra presenza al Magister, il quale appare all’improvviso sulla soglia, con un coup de thèatre degno di Walter il Mago. Rimaniamo folgorati dalla sua aura mistica, la stretta di mano denota soggezione siderale. “Buongiorno, ragazzi – sorride, con l’aria del nonno un po’ burbero, ma gentile – purtroppo al momento sono impegnatissimo, mi dispiace di non potervi dedicare troppo tempo”. Scambiamo due parole: da dove veniamo, se Trieste – Trieste o dintorni, quando uscirà il nuovo disco, non prima del 2011 ma forse arriverà un romanzo.  Gli occhi semichiusi, un leggerissimo ingobbimento, il Maestrone pare invecchiato sul serio. Da vicino, i settant’anni glieli dai tutti, purtroppo. Li compirà il 14 giugno, così gli consegnamo il regalo di compleanno (un Ramandolo 2006, acquistato nella miglior enoteca di Monfalcone, cat.Sticazzi). Lui ringrazia e porta il dono dentro casa. “Ci vada piano” gli dico, mentre Vanni prepara la macchina per il Sacro Immortalamento. “Ah, vedo che avete portato la…” sorride il Guccio. Ci mettiamo in posa, uno alla volta. Il Venerabile pone il pesante braccio da grizzly sulle nostre spalle, a me viene da ridere. A Vanni no, Egli non ha sentimenti. Appurata la buona riuscita della foto, ringraziamo il Maestro e ci salutiamo, nella speranza di rivederlo ancora.
Decidiamo, gaudenti e baldanzosi, di ritornare a Porretta a piedi (pura follia) attraverso l’assolata Via Francigena. Prima, però, passiamo per il leggendario Mulino di Chicon. Quello da cui il fratello del nonno di Guccini, Enrico, uscì un giorno lontano per tentare la fortuna in America, probabilmente chiudendo dietro a sè la porta verde (cit.), che ovviamente fotografiamo.
Il posto è davvero splendido, poetico, leggero. Aleggia un senso di pace infinita. Guccini non poteva che crescere qui, tra i saggi ignoranti di montagna, che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia.
Reduci da un tracimante piatto di pasta al ragù di opinabile fattura (sopperita dalla cordialità del gestore del locale, un toscanaccio patoc), camminiamo sulla già citata Via Francigena, tra gustose pesche noci e un chinotto oramai frizzante quanto Debora Serracchiani. Giungiamo, stremati, alla stazione di Porretta.
Il resto del viaggio lo si può tralasciare senza eccessivi sensi di colpa. Tra una granita e un biglietto mancato, un’anziana scassaballe e un inquietante baciatore di microfoni in preda a un orrorifico, interminabile amplesso telefonico, io e l’amico Vanni torniamo a casa. Ci abbracciamo, per chiudere degnamente due giorni indimenticabili, il cui ricordo ci accompagnerà fino alla fine dei giorni. Fino a quando, ormai vecchi, racconteremo ai nipoti (se ce ne saranno) di quanto era bello, quando Andrea Scanzi scriveva e Francesco Guccini ancora cantava”. (Luca Lopardo)

Feedback: Il viandante bevitore

sabato, Giugno 26th, 2010

Questa è una recensione che mi lusinga. L’ha scritta Mauro Erro e lo ringrazio. Il post di oggi, mentre sono in volo per Assen, è suo.

“Scanzi mi garba.
Le sa dare. E quando dico che le sa dare, parlo di tecnica pura e semplice. Tecnica di penna, ovviamente. Usata a mo’ di fioretto o sciabola di volta in volta.
Talvolta sono intransigente. Che si scriva in un italiano non solo corretto non è un optional.
Non solo. È anche affilato come quelli che furono e che difficilmente trovi oggi.
Non ho ancora letto il suo libro, ma il suo blog cerco di seguirlo.
Mi piace quando lo leggo su Micromega ed ancor di più su La stampa. Quando riesco.
La recensione sull’ultima fatica di Ligabue era da applausi, ad esempio. E non ho ascoltato l’album.
Infine, con il vino se la cava niente male.
Nell’ambiente mi sa che un po’ lo si snobba. Anche perché lui dell’ambiente non è. Talvolta da l’idea del primo della classe, di quello so tutto io. E non ha sempre ragione. Ma fargliene un colpa addirittura.
D’altronde è sfrontato, bello, ha un discreto successo, due Labrador e sembra pure felice.
Quando è troppo è troppo.
Una bella novità come l’ultimo prosecco spumante Brut di Frozza, un cru da un’unica vigna, che ho stappato quando ho iniziato a scrivere questo pezzo.
E di cui mi rimane quest’ultimo sorso.
Con dedica” (Mauro Erro)

Recensione: Liberal

mercoledì, Giugno 2nd, 2010

La rivista Liberal ha recensito Il Vino degli altri. L’articolo è di Livia Belardelli. Lo trovo splendido, oltre che lusinghiero, e mi piace pubblicarlo.

“Ho sempre pensato che bere facesse male. Così ho smesso di pensare”. Con questa citazione, a seguito della singolare dedica a Clint Eastwood, comincia Il vino degli altri. Lui, l’autore del libro (non Clint Eastwood), è Andrea Scanzi, eclettico giornalista, scrittore di vino ma anche di sport, cultura e politica. Di chi sia la massima non è dato sapere, così confessa anche lui che l’ha letta su una calamitina regalatagli dalla zia che campeggia, ancora oggi, orgogliosa sul frigorifero. Il vino degli altri è un nuovo viaggio, il seguito ideale di Elogio dell’invecchiamento – la sua prima incursione nel mondo enologico –, è l’esasperazione piacevole dei pregi della fatica precedente. Le capriole linguistiche di Elogio si fanno salti mortali, sciabolate (tecnica d’apertura del vino, esibizionista e un po’ idiota ma di grande spettacolarità e indicibile godimento) assestate con precisione, coup de théâtre che rendono persistente il piacere della lettura. Perché questo libro non ha nulla del piglio didascalico, didattico e affettato di tanti libri sul vino, enciclopedie noiose o autocelebrativi monologhi di esperti ma poco carismatici degustatori/ sommelier/  enogastronomi.
Questo è un racconto, ironico e incalzante, di un appassionato cronista che ci porta per mano sulle sue personali strade del vino, alla scoperta di Bordeaux e Borgogna, del Rodano e dell’Argentina. In un continuo dialogo-confronto con i vini italiani e con se stesso, raccontando esperienze e trovando corrispondenze più o meno condivise tra le eccellenze italiane e il resto del globo – alcune tirate un po’ per i capelli forse, vedi Tempranillo–Sagrantino. D’altronde, dice Scanzi, «le affinità ho voluto cercarle nel carattere dei vini, in quelle dei loro vignerons. Non nella semplice corrispondenza del vitigno». É un racconto per tutti, eno–appassionati e non, non serve conoscere il vino in profondità – semmai proprio la lettura indurrà a incentivare il desiderio di conoscenza enoica – perché sarà la prosa di Scanzi a teletrasportare tra filari e alberelli, tra grandi botti e moderne barriques, tra i vini unici di Borgogna e la Champagne (la Francia la fa da padrone – è ovvio – anche se il quattordicesimo capitolo ci vede – forse – vincitori 4–3), per arrivare a California e Argentina.
A voler escludere qualcuno, gli unici fuori target sono gli astemi. Lo diceva già in Elogio e, nonostante qualche piccola remora, lo ripete qui, «gli astemi continuano a farmi paura, ma da quando ho scoperto che Fernanda Pivano era astemia, un po’ mi sento in colpa. Solo un po’, però: anche i grandi, ogni tanto, sbagliano».
É ironico e autoironico Andrea Scanzi, pittoresco e compiaciuto nel raccontare le proprie goffagini, segno palese dell’uomo sicuro di sé. D’altronde è il suo libro e se lo può permettere senza peccare di superbia né rischiando la figura del vecchio trombone autoreferenziale. Tra l’altro, a fare da contraltare, è una reale competenza del settore.
Sfogliando Il vino degli altri non ci si può non soffermare sulla struttura, meditata ed efficace, che rende piacevole e vorace la lettura. É un libro moderno, nel senso buono del termine, dall’impianto cross–mediale e, se mi si passa il termine, cross–sensoriale. Per ogni capitolo c’è un vino. E una musica. Chiaramente è un divertissement, e diverte. Ad esempio, per affrontare la lettura sul Rodano e i suoi territori arrostiti dal sole l’autore consiglia di sorseggiare un Cuvée Reynard Cornas 2004 – Domaine Thyerry Allemand. Per la musica, Gold di Ryan Adams. Personalmente però, tanto più che non amo associare parole scritte a parole cantate durante la lettura – ognuno ha le proprie idiosincrasie e tra quelle dell’autore, che semina qua e là nella lettura, ci sono le lessico–olfattive: vietato dire sentore di “pan briochato” e “distinta matrice boschiva di Pinot Nero”! – ho apprezzato l’accostamento con Ludovico Einaudi, Una mattina, per il capitolo sul Franciacorta. Così, con Scanzi, se si vuole si legge, si beve, si ascolta musica e magari ci si perde tra le mille citazioni di vino e lande curiose da esplorare.
Tornando al libro, ma questa è visione personale e forse non condivisa dall’autore, si può iniziare dove si vuole. Magari cominciando dal capitolo sul Bordeaux, Cronaca di un amore mai nato, per poi finire con L’essenza dorata, il tokaj ungherese o con Miraggio dell’unicità (Borgogna). Unico accorgimento è andare a blocchi di tre visto che la struttura in qualche maniera lo impone. Capitolo primo: vino del mondo, capitolo secondo: risposta italiana, capitolo terzo: alleggerimento, che poi significa divertente delirio, riflessioni, giochi, fuoco di citazioni, aneddoti e picchi demenziali che rischiano di far esplodere il lettore in sguaiate risate. C’è anche il test per scoprirsi borgognoni o bordolesi, champagnisti o contadineschi ruspanti. A ognuno il suo. Alla fine, ricalcando il format vincente di Elogio, tornano “le dieci cose che penso sul vino” prima e dopo questo libro e un davvero godibilissimo capitolo backstage.
Dicevo un libro cross–mediale e lo dicevo anche in relazione a un’altra motivazione. Insieme al libro infatti, come già per Elogio, è partito il nuovo blog che, ricalcando il titolo, diventa un contenitore di idee, quelle dell’autore, di commenti, quelli dei lettori, e, stavolta, anche di polemiche. L’ironia leggera e scanzonata dell’opera prima qui si amplifica celando sotto la veste canzonatoria e un’irreprensibile dedizione alla verità cronachistica, virgolettati esplosivi che smitizzano il mondo del vino e fanno saltare sulla sedia più di un produttore. Un altro effetto dell’ironia falsamente leggera ma invece affilata, a volte sarcastica, dell’autore. Ma essenzialmente, polemiche a parte, il libro è un viaggio tra i vini del mondo. «Il quesito di fondo (…) è semplice: come sono i vini degli altri? Di cosa sanno? Cosa rappresentano, cosa comunicano?». E allora si passa da vino a vino, tra piroette, voli pindarici, cronaca e un grande romanticismo.
«Credo però, ora e sempre, al vino come compagno di viaggio. Come tramite per la conversazione, la conoscenza, il sapere. Come trip per la scrittura. Come amico fragile nell’inverno (e inferno) del nostro scontento. (…) Credo che il vino sia uno dei pochi vaccini al nichilismo. Un viaggio sull’altalena. Un miraggio conosciuto. Quasi sempre un bel bere» (Livia Belardelli).

Recensione: Vincenzo Reda

martedì, Maggio 11th, 2010

Oggi ho registrato un’intervista sul libro per il Tg5. Qualche giorno fa ho fatto lo stesso con Alain Elkann per La7 e poi RDS. Non so ancora quando andranno in onda.
Il post odierno è la recensione di Vincenzo Reda. Alla fine qualche mia considerazione.

“Le allusioni malmostose a Luca Maroni sono sincere, ma rispettose. Non condivido niente di quello che scrive, ma lui senz’altro ne sa più di me. Spero solo che il futuro non somigli alla sua idea di futuro (e di vino).”
.

Anche per frasi come quelle qui sopra riportate mi piace Andrea Scanzi: perché è una persona pulita, franca che sa esprimere idee e concetti chiari senza ricorrere a sotterfugi, perifrasi, eufemismi – se poi sapesse ogni tanto omettere le volèe agricole di Seppi, i riferimenti a Povia e Alessandro Meluzzi (tutta gente più o meno a me inutile, detto sempre con rispetto e senza alcuna acrimonia), mi piacerebbe anche di più.
Io leggo di notte, un po’ perché soffro da sempre di insonnia e mai ho fatto uso di pastiglie; un po’ perché mi distraggo con facilità e, quando leggo – mai leggendo per piacere o per diletto, ma da sempre per conoscenza – questa mia difficoltà alla concentrazione mi reca fastidio (è uno dei motivi per cui non gioco mai tornei di tennis: pur giocando molto bene, riesco a perdere con gente quasi ridicola). E leggo con attenzione, anche rileggendo, ritornando indietro, prendendo appunti: e bevo.
Ho cominciato questo libro con un Grillo in purezza del 2009 e l’ho finito bevendo un ottimo Etna Bianco (Carricante e Catarratto) sempre del 2009 di Nicosia, con vigne poste tra i 650 e gli 800 mt. nella zona di Trecastagni – parlo dell’Etna, perché il Grillo è un vitigno della Sicilia occidentale, meglio noto come base del Marsala.
Preciso tali note perché di questi vini Scanzi parla definendoli «vini outtake», che è un obbrobrio linguistico ma funziona nella sostanza: si vada a leggere il capitolo per saperne di più (mannaggia! quel Verduno di Pelaverga, dove Verduno è il paese e Pelaverga il vino e vitigno: una svista che purtroppo ci può stare, in mezzo a questo oceano mare di materiale).
Il lavoro si articola su dieci capitoli dedicati a importanti aree geografiche vinicole del mondo – Champagne, Bordeaux, Bourgogne, Rodano e Loira (Francia); Renania (Germania); Rioja (Spagna); Ungheria ; California (USA); Argentina – a cui sono accostate, in altrettanti capitoli, in maniera assai soggettiva quindi opinabile, ma dichiarata, dieci zone italiane di eccellenza, come usa dire.
Se Champagne/Franciacorta e Bordeaux/Bolgheri appaiono accostamenti azzeccati, Bourgogne/Etna, Rodano/Cortona (per il Syrah), Argentina/Sardegna (Malbec/Cannonau) lo sono meno assai: ma questo è il gioco e bisogna starci, se no si legge altro e Scanzi non ci piacerebbe.
Invece ci piace, molto condividendo – pur con diversi distinguo e qualche lontananza di vedute inevitabile: ma di Andrea mi piace, oltre la pulizia e la franchezza di cui sopra, il metodo, la serietà, la capacità di attingere alle fonti sicure, meglio se sono uomini con storie importanti che egli racconta con l’occhio del cronista più che del narratore.
Infatti, del cronista possiede la scrittura, chiara, fresca – che a me non piace, ma questo è tutt’altro discorso – zeppa di citazioni, riferimenti (spesse volte eccessivi), rimandi, spruzzi di ironia che sono la delizia dei suoi ormai tanti affezionati lettori.
Andrea Scanzi è comunque un competente, un competente appassionato che ricerca con insistente pervicacia la sua propria strada; in perenne bisogno di trovare qualcuno che gli apra uno spiraglio nuovo, che gli racconti una storia diversa – non importa se con animo integralista o sano buon senso antico: nel libro, senza entrare in dettagli qui inutili, tanti sono i personaggi a cui Andrea lascia la parola, evitando quasi sempre di emettere giudizi o commenti a favore o contro.
Da buon giornalista, poi, inframmezza i capitoli tecnici con altri in cui alleggerisce la lettura: sono ulteriori 14 capitoletti in cui si ritrovano pseudo-test, giochini, ironiche sinossi, ecc.
Un buon lavoro che mi sono spolpato in un paio di notti insonni, accompagnato dalle bottiglie di cui sopra: certo, a me mai verrebbe di bere champagne (che poco conosco, poco mi piace e quando mi piace scopro sempre che costa un mucchio di soldi) ascoltando A Love Supreme di Coltrane; sono diventato (quando potevo permettermelo) un intenditore di Single Malt arando solchi di Monk e Davis e Joan Sebastian; con Guccini e Dylan bevo bianchi (Verdicchio, Kerner, Gold Muscateller non potendo più permettermi certi Meursault, Chassagne-Montrachet o anche soltanto(!) Chablis).
Al di là di certe ignobili polemiche che possono essere generate dal fatto che uno ha la franchezza (coraggio è termine che va usato per ben altri propositi) di scrivere quello che succede; al di là di pareri che possono o meno essere condivisibili e di scelte che, essendo tali, sono soggettive, io spero che questo lavoro di Andrea possa servire a qualcuno per scoprire, a esempio, i prodigi del Rieseling, del Tokaji ungherese, del Malbec argentino, di alcuni vini del Rodano.
Nota finale: quando si vuol parlare di qualcuno che svolge male il proprio lavoro lo si invita a andare a zappareChe fesseria: così fa danni anche peggiori alla terra! Questo per introdurre il fatto che molti fra i grafici editoriali io li spedirei in miniera, non a zappare; mi spiego: la copertina del libro di Scanzi è brutta, ma questa è una faccenda più o meno soggettiva. La copertina del libro di Scanzi è graficamente mal impostata e non rende un buon servizio al lavoro di Andrea – non entro in meriti che sono prettamente grafici e di comunicazione; al contrario delle pagine interne che testimoniano di una corretta cultura libraria: carta uso mano avoriata, carattere classico di facile lettura con impostazione di pagina non pesante.
Per finire, il libro me lo sono comperato, ma mi avrebbe fatto piacere se l’autore o l’editore me lo avessero omaggiato: le mie parole non sarebbero state differenti; alla stessa maniera di una bottiglia di vino avuta in omaggio: ci vuol altro che un libro o una bottiglia per ammansire gentaglia come noi, vero Andrea? (Vincenzo Reda).

Vincenzo è molto bravo. Non lo conosco, non personalmente, ma mi piace perché è uno che non regala niente. E dice quello che pensa, a differenza dei Daniel Citrulli e costi quel che costi.
Non starò qui a sindacare sulle sue critiche. So bene che lui ami uno stile più secco e classico (quindi mal sopporta le digressioni cazzeggianti, e poi su Meluzzi ha ragione). Gli accostamenti Italia-estero sono eccome soggettivi, anche se Vincenzo sa bene che non accosto il Rodano al Syrah, ma il Rodano settentrionale al Syrah (e questo è un accostamento quasi didascalico). Non so come ho fatto a sbagliare il Pelaverga di Verduno, vino delle merende langarole che adoro.
Un’altra leggerezza da togliere nella seconda edizione.
Delle parole di Reda faccio tesoro, compreso l’invito a farsi mandare il libro (invito che avevo fatto a Mondadori, ma evidentemente qualcosa non ha funzionato: me ne assumo la colpa). E lo ringrazio soprattutto per questi passaggi: “di Andrea mi piace, oltre la pulizia e la franchezza di cui sopra, il metodo, la serietà, la capacità di attingere alle fonti sicure, meglio se sono uomini con storie importanti“; e “è una persona pulita, franca che sa esprimere idee e concetti chiari senza ricorrere a sotterfugi, perifrasi, eufemismi“. Poiché scritte da una figura autorevole e poco incline al regalo, me le tengo strette. Tanto quanto le critiche.

Recensione: Enofaber’s Blog

venerdì, Maggio 7th, 2010

Ecco una recensione appena trovata.

(Enofaber’s Blog) Forse l’avevo già scritto, ma il fatto di utilizzare molto il treno per gli spostamenti, permette di farsi delle sane dormite e avere tempo per delle [non sempre] piacevoli letture (talvolta le seconde, quando particolarmente tediose, sono il prologo delle prime). In questo caso, lo devo ammettere, la lettura non ha aiutato l’ingresso nel mondo di Morfeo. Il colpevole di questo spregevole comportamento nei confronti della mia stanchezza, è “il caso editoriale” del momento, ossia il nuovo libro di Andrea Scanzi, noto giornalista che in passato scrisse una delle pietre miliari della cultura enoica italica (e non solo, a mio parere): Elogio dell’Invecchiamento (qui il post che scrissi tempo fa). Sto quindi parlando de “Il vino degli altri” (con relativo blog).
Se l’opera prima, Elogio dell’invecchiamento, era stata una sorta di cavalcata wagneriana o, mi si perdoni l’azzardo con la musica metal, una sorta di Master of Puppets, questa seconda creazione del sommelier toscano è più complessa e a mio parere meno lineare ed immediata. Elogio era (ed è e sarà) un libro da divorare in un attimo, dotato di ritmo sostenuto con le pagine che si susseguono rapidissimamente. Il Vino degli altri, invece, ha capitoli splendidi, emozionanti, divertenti con alcuni momenti in cui il ritmo cala e richiede maggiore concentrazione. Forse, rispetto ad Elogio, questo secondo scritto è volutamente più riflessivo e meno d’impatto. Continuando ad azzardare paragoni musicali, in questo caso non vedrei male l’accostamento all’ultimo album dei Portishead, Third (qui il singolo We Carry On), disco che ho dovuto ascoltare più e più volte prima di apprezzarlo appieno.
Certo non manca l’ironia, la battuta che strappa il sorriso o addirittura fa ridere a crepapelle. Scanzi, sommelier sicuramente preparato e ben rodato, si prende bonariamente in giro, raccontando di sue (presunte) gaffes, senza mai perdere di vista l’oggetto del suo raccontare: il vino degli altri (dove per altri si guarda all’estero) e i relativi paragoni con l’Italia enoica. Il vino e soprattutto i vigneronnes, con passaggi di enorme spessore laddove lascia la parola a personaggi quali, uno tra i tanti, Maule (piccola critica a margine: tanti refusi nel testo. Da eliminare nella prossima ristampa)
Per dovere di cronaca è giusto sottolineare che l’uscita del libro, soprattutto a seguito di certe affermazioni riportate, ha scatenato polemiche enormi (che non cito volutamente; se volete avere un’idea del polverone che si è alzato potete andare a caccia per la rete: non è poi così difficile, visto il clamore suscitato.).
Un vino da rileggere tra qualche tempo, dopo averlo fatto decantare un po’. In ogni caso, nonostante la minor immediatezza rispetto ad Elogio, è a mio modesto parere, un’altra bella prova per il giornalista-sommelier toscano (Enofaber’s Blog).

Bella recensione. Non credo così tanto che Il vino degli altri sia così “meno immediato” di Elogio, anzi lo trovo per molti aspetti più personale e cazzeggiante, ma è opinione – peraltro non negativa – che rispetto. E che tendo a sposare, se vuol sottendere l’idea di un libro meno manualistico e più denso di opinioni, nozioni e affermazioni destinate a far riflettere. D’altra parte sono passati tre anni da Elogio e in quei tre anni un po’ ho studiato. E sono (un po’) cambiato. Per fortuna: guai a incidere sempre lo stesso disco.
L’affetto di cui ancora gode Elogio mi rende molto felice.
Sui refusi: ci sono, ma adesso non è che ce ne sono ottomila, eh. 🙂 In 330 pagine farò mille nomi di aziende e addetti ai lavori. Una decina (o poco più di refusi) ci possono stare, via. Senz’altro andranno tolti nella prossima edizione, e me ne scuso.
L’accostamento coi Portishead mi piace molto.
Grazie ad Enofaber.

Recensione: WineNews

venerdì, Maggio 7th, 2010

Ecco la recensione di WineNews. Alla fine, una mia piccola riflessione. Da domani ricominceremo a parlare di vini bevuti: nel taccuino ho le riflessioni su Jacquesson, Il Cantante e altro.

E’ da pochi giorni sugli scaffali delle librerie “Il vino degli altri” (Mondadori, pagine 327, euro 18,50), l’ultima fatica letteraria di Andrea Scanzi, che segue idealmente “Elogio dell’invecchiamento” (2007), come ci suggerisce lo stesso autore nell’introduzione (“mi sono detto che un seguito di Elogio poteva starci”). Si tratta di una sorta di viaggio che conduce il lettore dalla Franciacorta all’Etna, dalla Toscana a Bordeaux, dalla Mosella all’Abruzzo, dalla Rioja all’Argentina, con lo scopo non di stabilire graduatorie ma di conoscere meglio i vini degli altri attraverso il confronto con i nostri.
Scanzi non fa mistero dei suoi maestri, la rivista “Porthos” su tutti, né tanto meno cerca improbabili mediazioni quando ci guida tra le sue preferenze enoiche (tenendo, però, a specificare che “il vino migliore non esiste” e “nessuno, nel mondo del vino, ha ragione”). Con passione e la giusta dose d’ironia e, soprattutto, con una prosa dotata di un bel ritmo, finisce per considerare, forse a ragione, il vino squisitamente come un oggetto evocativo di situazioni, luoghi e persone (dagli stessi protagonisti del mondo enologico, agli sportivi, dagli scrittori ai musicisti, in un piacevole caleidoscopio di fatti e citazioni, che spaziano dal cinema alla tv, dalla letteratura alla politica), che rispetta decisamente il modo di considerare il vino di Andrea Scanzi: “non riesco a concepire il vino senza la sua naturale connotazione conviviale”.
Il libro è molto ricco e non manca, come sembra ormai imporre questo vero e proprio nuovo genere letterario, diciamo enologico-esistenziale, la caratterizzazione di precisi “idealtipi”: dal “bevitore-damigiana” al “bevitore-Grandeur”, dal “bevitore-edonista” al bevitore-radical chic” fino al “bevitore-Buddha”, né tanto meno una specie di “checklist” delle dieci cose che l’autore pensava sul mondo del vino prima di questo libro e le dieci dopo questo vino.
Un punto di vista sul vino che proviene da “un innamorato che studia”, come si definisce l’autore, che si rivela decisamente una piacevole lettura, ma che non sembra togliere o aggiungere nulla alle discussioni modaiole più in voga nell’autoreferenziale e un po’ stanco mondo del vino italiano, questo, evidentemente, senza nulla togliere alla divertente e divertita scrittura di Andrea Scanzi (WineNews).

Ringrazio WineNews per la recensione e le belle parole. Sono iscritto alla loro mailing list ed è una delle fonti che cito nel capitolo Backstage. Un portale meritorio.
La critica finale è interessante: “decisamente una piacevole lettura, ma che non sembra togliere o aggiungere nulla alle discussioni modaiole più in voga nell’autoreferenziale e un po’ stanco mondo del vino italiano“. Non so se sia vero. E’ possibile. La mia volontà era proprio quella di non essere autoreferenziale e barboso (un po’ modaiolo sì) come molti libri sul vino. Spero di esserci riuscito.

Recensione: Intravino

giovedì, Maggio 6th, 2010

Ecco la recensione di Intravino, a firma Alessandro Morichetti. Alla fine, qualche mia considerazione.

“Andrea Scanzi è uno dei migliori giornalisti della sua generazione, che è poi la mia. Ha una moglie e due labrador di bellezza esemplare, nelle rispettive categorie. Brillante, eclettico – spazia dal tennis al vino passando per politica, Beppe Grillo, Ivano Fossati e Marco Van Basten – ha uno stile incalzante che non annoia mai. Quale che sia il tema, acchiappa il lettore e ”Il vino degli altri“, edito da Mondadori, bissa il successo del precedente “Elogio dell’invecchiamento“. Vista la drammaticità di certi numeri due è stata una piacevole sorpresa.
Pur giovave, Scanzi ha una maturità invidiabile nel mixare con equilibrio ironia,  già-sentito e momenti toccanti. Se Elogio era una sorta di “manuale del sommelier” frizzante e personale, arricchito dal racconto di 10 vini italiani d’eccellenza, Il vino degli altri è un piacevole viaggio nell’enografia, un Bignami romanzato, ironico, volutamente parziale eppur documentato di denominazioni, terroir e regioni vitivinicole del mondo. Intendiamoci, Scanzi non vuole inventare nulla, racconta zone più o meno note attingendo a piene mani da molteplici fonti: Porthos come la manualistica Ais, le guide ai vini come i consigli di preziosi compagni di viaggio (tra questi, anche i nostri Giulia Graglia per l’Argentina e Andrea Gori per la Spagna). E questo è un merito, sia chiaro. Nell’epoca del “ti cito ma mi fulminassero se lo ammetto”, Andrea Scanzi ricorda con trasporto le sue fonti, le menziona, ne prende spunto e le celebra. La lettura fila dritta come un passante di Ivan Lendl e non disdegna colpi di genio e sregolatezza alla Boris Becker. Personalmente, ho trovato più coinvolgenti i capitoli sul vino italiano e più asettici quelli esterofili. Questioni di sfumature, chiaro.
Tanti i passaggi che meriterebbero la citazione: gli approcci allo Champagne – a. leghista, “quella roba lì se la bevano i francesi”, e a. Abramovich, “sono ricco quindi lo bevo” – il Vangelo secondo Jacques Beaufort (“L’Apocalisse è aprire gli occhi, comprendere che la chimica era il linguaggio del demonio. Io l’ho compreso”), i retroscena della storica puntata di Report, il clamoroso e simpatico autogol che l’autore commette visitando Von Schubert, in Mosella – “Ci ha detto se volevamo sentire qualcosa. Certo, ma non sapevo come dirlo. Così ho detto che volevo sentire tutto tranne i Trocken. Credevo fossero i vini più scadenti. Che coglione”). Il testo letteralmente s’infiamma nei lunghi stralci d’intervista – quasi porthosiani – ad Angiolino Maule, Giampiero Bea, Francesco Valentini. Preziosi.
A cercare il pelo, un pò noioso “Il Bignami del Consumatore Iconoclasta”, evitabile qualche barocchismo da Baricco della barrique (cit.) e qualche scivolone editoriale (conoscete un affermato sommelier di nome Luca Cardini?), ma sono dettagli. Ce ne fosse di gente che parla di vino così, filtrando tutto e aprendo l’obiettivo. Ho letto “Elogio” un paio di volte e ripasserò anche qui per il bis. 18,50 euro ben spesi, altro che pizza e birra. A margine, ineccepibile il marketing 2.0. Anche stavolta un blog accompagna l’uscita del libro, con tanto di strascichi polemici. Forte, carta che rimanda al web e viceversa. Niente da dire, Andrea Scanzi è uno di noi”. (Alessandro Morichetti)

Trovo che questa recensione sia particolarmente ispirata. Anche nelle critiche. Degli strascichi polemici non intenderei più parlare, anche perché la dinamica è adesso chiara a tutti (e per questo attendo ancora scuse da qualche barone sbaronato).
Sono d’accordo: i capitoli italiani sono più appassionanti di quelli esteri. Ma è voluto e lo spiego nella prefazione: i capitoli esteri sono didattico-divulgativi, quelli italiani lirici, quelli di costume alleggerimenti.
Sulla gaffe con Von Schubert ci ho un po’ marciato: mi piace dare l’idea di essere un appassionato che sbaglia, non un espertone. L’autoironia, ancor più nel mondo cattedratico e bacuccone del vino, è necessaria. Salvifica.
Il capitolo sul Bignami Iconoclasta è un divertissement, come lo era quello sui partiti politici dei vitigni in Elogio. Anche in quel caso, fu un capitolo che piacque moltissimo ai lettori comuni (nel senso di non esperti) e ruppe un po’ le palle agli esperti (e Morichetti lo è). Ma io non scrivo su Porthos, non scrivo solo per chi sa a memoria i libri di Samuel Cogliati e i vitigni autoctoni della Loira: io scrivo per un pubblico trasversale. Devo parlare a tutti. E infatti, in radio o in tivù, c’è sempre qualcuno che mi chiede (con entusiasmo) come sia il Vino Muccino e come il Vino Battiato. E’ una cosa che funziona, su un certo pubblico. E a me faceva sorridere l’idea – per dire – di un Vino Seppi (eddai).
I refusi ci sono, almeno una decina. E sono imperdonabili: Luca Cardini (chi?), gruppo Longarotti, Barbaruc (è Barbabuc, a Novello), Avignonesi e non Frescobaldi (nel Consorzio di Cortona), etc. Me ne scuso, ma sono inevitabili quando fai un libro di 320 pagine pieno zeppo di nomi (e Mondadori non è una casa editrice settoriale). Nelle prossime edizioni le correggeremo.
Felice che anche Morichetti, come tutti i lettori, abbia compreso come il capitolo su Valentini sia uno dei più appassiona(n)ti. Lo hanno capito tutti. Tranne Valentini.
La mia compagna e le mie due labrador sono molto belle. Concordo.
La sindrome da Opera Seconda terrorizzava anche me.
Qualche baricchismo nella barrique (cit) c’è. Volutamente. A volte ero in vena zuzzurellonica (?). Già immaginavo Edmondo Berselli che mi telefonava e mi tirava le orecchie, come faceva sempre. Ma qualcuno ha diversamente voluto. E ancora mi girano.

Stasera, dalle 18.30-19, a Piazza Farnese, comincia la serata (fino a tarda notte) dedicata al Premio Durruti. La premiazione ci sarà attorno alle 21-21.30. Il Gran Cerimoniere sarà Fulvio Abbate, che presenterà il suo nuovo libro, Manuale di sopravvivenza. Se ci siete, ci vediamo.