Oggi, a pranzo, ho bevuto quello che definirei un perfetto “entry level macerato”. Mi spiego: quando un macerato è ben fatto, non ha difetti e al tempo stesso non è esasperato, è dominato dai sentori olfattivi di frutta gialla. Pesca e albicocca su tutte. Tale frutto si sente poi anche al gusto: ne percepisci tutta la polpa e a morbidezza, quasi che stesso bevendo un “vino dolce” (perché questo sembra al naso) che poi però si rivela secco al gusto (e ciò spiazza puntualmente i neofiti).
Ecco: il Bure Bianca di Val di Buri, piccola azienda naturale toscana (Baggio, Pistoia) che ho scoperto nel catalogo di Bibo Potabile tramite il ristorante Dietro le quinte, è esattamente così. Poche bottiglie prodotte. Vino da tavola, i vitigni non sono specificati: si sa solo che le uve sono “a bacca bianca autoctone”. In rete, dove si trova (poco) attorno ai 21 euro, si parla di Trebbiano in purezza. Il produttore, in un commento sotto a questo post, ha confermato. Diraspatura manuale e fermentazione spontanea senza controllo della temperatura a chicco intero in vasche di acciaio inox e damigiane, 2 follature e/o rimontaggi giornalieri. Contatto con le bucce 1/3 della massa per 25 giorni, 2/3 fino a Pasqua (7 mesi). Affinamento: 1/3 in botticella di acacia di primo passaggio per 6 mesi. 2/3 in acciaio. Ulteriori due mesi di invecchiamento in acciaio dopo il blend.
Ne risulta un macerato “entry level” di buona fattura, forse con troppo pochi spigoli per chi cerca da un macerato un surplus di azzardo, ma quando la bottiglia finisce in un amen (ero con la mia compagna) vuol dire che quel vino è un buon vino.
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Si parla e si scrive tanto delle fermentazioni spontanee, del rispetto della materia prima, del “meno interviene la mano dell’uomo” per fare vini “naturali” è poi si usano barriques di acacia per stravolgere completamente il quadro aromatico e gustativo della materia prima. Mi pare ci sia qualche contraddizione.
Non capisco dove sia la contraddizione nel produrre un vino (naturale) fermentando spontaneamente e utilizzando il legno di acacia. Fermentare il trebbiano coi lieviti da sauvignon neozelandese stile Cloudy Bay e conservarlo in acacia, non sono la stessa cosa. Certo, i legni cedono: si tratti di rovere americano, del Massiccio Centrale o della Slavonia; di gelso, castagno, frassino o acacia; ognuno di questi “stravolge” un vino. Ma, a ben guardare, nessun materiale è inerte dal punto di vista aromatico, inclusi acciaio e terracotta – l’unica eccezione forse è rappresentata dal solo cemento vetrificato. La scelta di un legno piuttosto che un altro, di una tostatura più o meno marcata, di questo o quel bottaio… ha certamente a che fare coi diversi stili aziendali ma è bene tenere a mente che in un contenitore il vino si “eleva” e che il legno non ha quindi solo la funzione di arricchire il profilo aromatico di un vitigno. Anzi, se il re è nudo lo si può truccare quanto si vuole… saluti
p.s. la BURE BIANCA è prodotta con solo uve Trebbiano Toscano.
daje Giacomo, il bure bianca è un capolavoro di finezza ed eleganza, e tu un vero fuoriclasse, può passare inosservato solo a chi è abituato a vini tutto muscoli e basta, giudicarne poi la vinificazione senza averlo assaggiato, bah