Recensione Il Fatto Quotidiano


Da Mann a Berselli, i precedenti illustri

Non tragga in inganno la copertina un po’ ruffiana (un cucciolo languido), “I cani lo sanno” di Andrea Scanzi non è l’ennesimo, stucchevole libro sui cani. Ricorda semmai, nel suo ironico e poetico attraversare i sentieri e i destini canini, precedenti illustri come il divagare di Edmondo Berselli in “Liù, una biografia morale”, o la voce della “cana” Contessa evocata da Asor Rosa in “Storie di animali e altri eventi”. O l’intrecciarsi d’amore fra il cane Baushan e il suo padrone, Thomas Mann.
Come loro, Scanzi, fiero “capobranco” (la definizione è sua) di due labrador nere, non ci pensa neanche lontanamente a nascondere la disdicevole bestialità delle sue adorate. E quindi il lettore sia consapevole che: i cani odorano di pongo, perdono i peli, fanno puzze mefitiche, scappano per futili motivi, sono rumorosi quando dormono, sono dei cagoni (capaci di inarrivabili nefandezze, come mangiare la cacca), si sporcano di fango, li devi lavare anche se pesano 35 chili, e ti fanno pure sentire in colpa quando li lasci nella pensione più figa del mondo.
Dunque, perché prendersi la briga di averne uno? Perché i cani, scrive Scanzi, lo sanno. Sanno che noi, senza di loro, siamo bipedi sfigati: “Un cane è pace, bussola, riferimento. E’ guinzaglio che tira. E’ ombra che aspetta fuori dal bar. E’ il nostro milite ignoto. Un cane muore al tuo posto per vedere la strada che ci sarà dopo e poi raccontartela. Un cane va in perlustrazione nell’abisso”. Più chiaro di così.

Arianna Martini

(Il Fatto Quotidiano, 21.09.2011)

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