Recensione La Stampa

I cani lo sanno e ci amano lo stesso

Se c’è una cosa che gli dà sui nervi è l’umanizzazione dei cani. Quelli che papi, mami, il mio bambino; quelli che ai cocker mettono il tartan di Hermès, che gli attribuiscono tristezze antropomorfe, che li fanno scemi come noi. E se anche gli capita di smentirsi (per esempio quando accompagna una delle sue adorate a conoscere l’amore, e si rifiuta di presenziare), Andrea Scanzi, autore di «I cani lo sanno» (Feltrinelli, da oggi in libreria) resta convinto che loro siano molto meglio di noi: capaci, non essendo umani, di insegnarci a esserlo; equipaggiati di superpoteri come i polpastrelli al pongo, lo sguardo rasoterra e il talento di capire che è ora di andare a letto «prima» che tu spenga la tivù, «perché ha avvertito la vibrazione del tuo corpo».
Dirai: facile se ti capitano due non-umani come quelli. E cioè le labrador Tavira e Zara, madre e figlia, impareggiabili négresses talvolta simili a due Porsche metallizzate, l’una con il ciuffo bianco di Nathan Never, l’altra con la mascella prognatica di Bruce Springsteen. L’autore ti sgriderà, spiegandoti che ogni cane è unico e perfetto; che ti assumerà a suo oggetto d’amore assoluto proprio perché la sua vita dipenderà dalle tue vibrazioni, e che così facendo soddisferà il tuo narcisismo e insieme ti salderà all’armonia del cosmo. «I cani più felici del mondo sono quelli dei clochard. Non hanno alcuna comodità, non vedranno mai cappottini né Spa per animali a quattro zampe. Soffriranno freddo e caldo, afa e gelo. Non avranno certezze. Saranno senza orario e senza bandiera. Ma saranno, sempre, col loro padrone. Col loro capobranco».
Le signorine con le orecchie a Dumbopadella gli sono arrivate nella vita, come sempre accade, quando ce n’era bisogno: Tavira, la prima, «con trent’anni di ritardo, perché mia madre non voleva, mia nonna non voleva»: e lui avanti a fantasticare sui cani dei libri, quelli di Saramago e di Pennac. In un altro momento topico, le due perle nere hanno tentato la fuga da casa, ma anche quello è servito: è proprio con quell’episodio che comincia il libro, praticamente un racconto di Natale strappacore visto che è la vigilia e all’autore nell’anno che si chiude gliene sono successe di tutti i colori. Ma poi tornano, eccome. E si ipotizza perfino che, a un certo punto, una delle due elabori «per osmosi», nel suo corpaccione da meringa con le zampe, un lutto del suo capobranco che canide non è.
Chi ha un cane per casa sottoscriverà ogni parola, e gli verrà voglia di aggiungere milioni di altri esempi. Chi non ce l’ha o correrà subito all’Allevamento della Quercia per portarsi a casa uno Snoopy su misura o si divertirà con l’indice analitico in fondo al volume, anche lui «rasoterra», dove tra Jack Bauer di «24» e i piedi di Cécile de France, Novello Novelli nei film di Nuti e Valentino Rossi che parla senza dire niente si tratteggia un universo. Che è puro Labrador ma soprattutto è puro Scanzi.

Egle Santolini

(La Stampa, 21 settembre 2011)

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