Baricco, stacci: Dylan ha vinto il Nobel, ma sei bravo anche tu

schermata-2016-10-15-alle-12-03-16Per capire il perché del successo di Alessandro Baricco, tornato alla ribalta per il suo attacco al Nobel conferito a Bob Dylan, bisogna risalire al 1994. RaiTre trasmetteva Pickwick e c’era anche Baricco. Ogni volta consigliava un libro ed era praticamente impossibile non comprarlo il giorno dopo. Molti, per esempio, devono a lui la fascinazione per la saga di Daniel Pennac dedicata a Benjamin Malaussène. Divulgatore sublime, Baricco. Poi, secondariamente, ottimo scrittore. Quel “secondariamente” lo infastidirà parecchio, essendo uno degli uomini più permalosi della galassia in coabitazione con Ligabue. E quell’”ottimo” infastidirà al contempo la moltitudine di detrattori, ora la critica e ora chi non ha mai letto mezza pagina di Baricco e per stroncarlo si fa bastare la sua conclamata antipatia, che il diretto interessato si ostina a coltivare con misteriosa civetteria. Sono però vere entrambe le cose: Baricco racconta i libri come pochi e, quando non si limita all’esercizio di stile, sa pure scrivere. E’ il caso di Castelli di rabbia, di Oceano mare, di Novecento. Tutti libri “vecchi”, si dirà, e in parte è vero. Stroncare però tout court City e Questa storia, ma pureSmith & Wesson, sarebbe semplicistico. Un esercizio colpevolmente pretestuoso. E il pretestuoso, con Baricco, c’entra spesso. Dall’alto del suo pulpito narciso, Baricco ha detto che Dylan non c’entra nulla con la letteratura. Ne ha fatto più che altro una questione di genere, “la musica non è letteratura” e robe così, spiegandosi però peggio di come abbia fatto su queste pagine Ernesto Ferrero. Non pochi hanno rovesciato la sua frase, trasformandola in un perfidissimo: “Che c’entra Baricco con la letteratura?”. Una battutaccia figlia dell’astio che Baricco sa generare anche solo respirando, o peggio straparlando di politica. Non appena si arrampica in riflessioni politologiche, sembra un mix – alla moda, sia chiaro – tra Oscar Farinetti e Gennaro Migliore. Un mix confuso, palloso e oltremodo retorico di renzismo & ottimismo, che come noto è il profumo della vita. Pazienza: ognuno può credere ai miraggi che vuole, o forse a quelli che più gli convengono. Stroncare Baricco perché è renziano o perché la sua bella Scuola Holden è più cara di uno Swarovski è assai miope. Solo che il ragazzo, nel frattempo 58enne, se le cerca. Per uno dichiaratamente pop come lui, che a inizio carriera dialogava da allievo provetto con Gianni Vattimo ma al tempo stesso discettava di Rossini e mucche del Wisconsin, asserire che Dylan non è letteratura perché non scrive romanzi è davvero troppo banale. Bene che vada è una frase piccata, male che vada una rosicata rara. In attesa di nuovi romanzi baricchiani, possibilmente con più sangue e meno barrique, osiamo qui ricordargli che c’è più letteratura in Visions of Johanna, o in altri 116 brani dylaniani, che in tutte le pagine di Baricco o di buona parte dei carneadi premiati ultimamente a Stoccolma. Come direbbero i giovani: stacce, Alessandro. (Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2016, rubrica Identikit)

2 Comments

  1. Probabilmente Baricco, novello Paolo di Tarso, è stato fulminato male sulla via di Damasco. Complice forse un quartuccio di vino californiano, s’è convertito (arreso?) alla teoria dei Barbari enunciata da lui stesso.

    Ha alzato muri e muraglie anche lui. Adesso dice che “la musica non è letteratura” spostando l’attenzione sui generi per non focalizzarla sui contenuti, ma io me lo ricordo benissimo ai tempi di Pickwick quando, insieme ai libri di “alta” letteratura, non disdegnò, un giorno, di commentare la storia a fumetti “Zio Paperone e la scoperta del Nulla” definita un piccolo capolavoro. A proposito di contenuti.

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