Recensione La Nazione

L’amore è questione di sguardi, sempre e comunque. Sia che si tratti di due paia di occhi umani che si incrociano sia che a trovarsi lungo la stessa traiettoria siano gli occhi di un uomo e del suo cane. O dei suoi cani, come nel caso di Andrea Scanzi (nella foto)che ha scelto di raccontare in «I cani lo sanno», edito da Feltrinelli, com’è cambiata la vita da quando ci sono le sue splendide labrador: prima Tavira, la saggia, la buona, la grande madre e poi Zara, figlia della prima, allegra, irruente e bellissima nonostante (o forse proprio per) l’incipiente prognatismo. Lo avevamo conosciuto quale saggista, ci aveva parlato dei vini, di Beppe Grillo, di Villeneuve, di Marco Van Basten. Ma ora, per il suo esordio con la narrativa pura, lo scopriamo in qualità di fratello, padrone no, pena la scomunica, premuroso e attento, di due femmine di labrador, una persona molto diversa dal giornalista tagliente e irreverente che siamo abituati a leggere o a guardare in televisione.
Che Scanzi scriva bene non è una novità, si apprezza in particolare lo stile essenziale e la capacità di buttare qua e là, con apparente noncuranza, frasi destinate ad aprire un mondo di riflessioni. Un po’ come lo champagne, allegre bollicine che danno l’illusione di bere qualcosa di leggero, quando poi ti accorgi che quella leggerezza ti ha dato alla testa, sei già ubriaco. Al di là della tecnica, leggendo le avventura delle due labrador, del giorno in cui sono scappate di casa, di quando hanno avuto qualche malanno, più o meno grave, delle loro abitudini alimentari o della posizione in cui dormono non si può fare a meno di sorridere e intenerirsi.
Ma ci si può anche commuovere, leggendo di come l’eroica Tavira abbia sofferto al posto dell’autore perché lui non riusciva a stare male abbastanza; dell’abnegazione totale di quelle due grandi matasse di pelo, carne e cuore, tanto cuore, che lo guardano mentre sta male e fa finta di stare bene, si innamora, non è più innamorato, fa l’indifferente ma è colpito nel profondo. Il tutto sempre senza dire una parola, con tacita e partecipata comprensione. Un libro che può piacere a tutti, anche a chi preferisce i gatti o, per sua sfortuna, non ha mai avuto un animale che gli insegnasse a essere umano.

(Dory D’Anzeo, La Nazione Arezzo, 30 settembre 2011)

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