Viaggiare in treno è molto emozionante: un brivido continuo. Il treno arriverà o no? E anche se arriverà, quanto ritardo accumulerà? I bagni saranno lisergici come l’ultima volta o magari pure peggio? E quella fragranza inconfondibile, a metà tra il trapasso e l’agonia, saprà farmi di nuovo compagnia? Poi il treno arriva – se arriva – e con lui ti giunge il brivido più irresistibile di tutti: scoprire a quale fauna appartengano i compagni di viaggio. Sono soliti dividersi in varie categorie, tra le quali spiccano queste.
Pargoli. I bambini, si sa, sono immacolati per antonomasia. Guai a criticarli, e dunque vanno lasciati liberi. Tanto liberi. Troppo liberi. Scorrazzano da un vagone all’altro, brandiscono videogiochi che emettono il suono dell’Apocalisse e fanno un caos che ne basterebbe la metà. Però non si può dire, perché: “Son bambini, lasciamoli divertire”. Così, mentre smontano accuratamente il vagone con la piacevolezza di tanti Macaulay Culkin, osservi i genitori e li scopri fierissimi. Mai un rimprovero, mai un rimbrotto: i figli van lasciati liberi di colpire e meglio distruggere. Come e più dell’aria.
Ruminanti. L’italiano ama mangiare in treno. E’ proprio una cosa che lo fa godere come un riccio libidinoso. Mangia con gusto assoluto, quasi che non si cibasse dai tempi di Bava Beccaris. Non appena si siede, tira fuori dalla valigia ogni libagione immaginabile. Addenta poi lo sfilatino – crauti e mortazza – con crassa cupidigia, impiegando un tempo infinito a terminare il pasto e facendo sì che ogni passeggero possa ammirare l’affascinante pratica del cibo che si fa bolo e va alfine incontro alla deglutizione. Uno spettacolo bellissimo. E nel frattempo i tuoi vestiti si saranno impregnati per sempre dimortazza (e crauti).
Fissanti. Si siedono e ti fissano. All’inizio pensi a una paresi, poi scorri con la lingua i denti temendo che ti sia rimasto incastrato un po’ di prezzemolo (anche se non lo mangi dal ’77). Niente: loro ti fissano. Sempre. E chissà poi perché.
Chiacchieranti. Non hai voglia di parlare, hai acceso il computer, indossi pure le cuffie. Non basta: lui ti busserà alla spalla e domanderà qualsiasi cosa pur di attaccare bottone. “Dove va?”, “E’ di Piossasco anche lei?”, “Ci ha mai fatto caso che l’acqua è bagnata?”. Sarà l’inizio della fine. Non si zitterà: mai.
Incontinenti. Vanno in bagno, rigorosamente, quando il treno si ferma in stazione: qualsiasi stazione, l’importante è che il treno sia fermo durante l’anelata minzione. Evidentemente hanno la prostata che soffre di labirintite.
Camminanti. Pullulano nei regionali. Entrano in un vagone, si guardano attorno, non sono soddisfatti. E provano quello successivo. Ma non gli piace neanche quello. Allora vanno avanti ancora, e ancora. E poi indietro, e ancora. Ogni tanto li vedi passare, fai ciao con la mano e li guardi andarsene. In dissolvenza. Come piccoli soldati al fronte.
Trillanti. Il loro cellulare squilla sempre, a un volume che imbarazzerebbe financo gli Iron Maiden. Rispondono dopo una mezzoretta, durante la quale hai modo di ascoltare una sfavillante cacofonia che va dalla Pausini riletta con lo xilifono a tutto il repertorio di Rocco Hunt rappato in aramaico. Una meraviglia.
Ottimisti. Ci tengono a farti sapere che loro, vada come vada, il bicchiere lo vedranno sempre mezzo pieno. Magari non te ne frega niente, però te lo dicono. Il treno è in ritardo di mezzora, e loro: “Pensi, potrebbe essere in ritardo di 40 minuti”. Un passeggero sviene, e loro: “Che fortuna, non è morto”. Una frana travolge il vagone, e loro: “Ho sempre amato l’insondabilità della natura”.
Furbi. Hanno il biglietto di seconda classe, ma si acquattano in prima come scaltri vietcong. Quando il controllore li sgama, fanno finta di nulla: “Perbacco, avevo letto male”. Ne nasce un melodramma di quattro atti, che serve al furbo per fare tutto il viaggio in prima classe. Giusto come desiderava.
Imbucati. Non hanno proprio il biglietto, ma ci provano. Quando il controllore si avvicina, si camuffano da tappezzeria del treno, restando immobili e mimetizzandosi all’ambiente con sguardo spento. A volte gli va bene. In altri casi il controllore se ne accorge, sorride e gli chiede: “Scusi, ma perché stava imitando Orfini?”.
Irrequieti. Ha il posto finestrino e, puntualmente, ti siede accanto. Per alzarsi deve per forza chiedere a tua volta di alzarti. Lo fa. La scena si ripete almeno una decina di volte. Quando non ne puoi più e gli chiedi per quale motivo si alzi così tanto, il tizio risponde: “Per vedere il paesaggio”. Allora gli ricordi che il paesaggio si vedeva anche dal suo posto. E lui: “Sì, ma dal vagone 7 la prospettiva è migliore”.
Comunicanti. Passano tutto il viaggio al telefono, parlando a voce altissima: non sia mai che qualcuno perda una sola sillaba. Peraltro sono sempre frasi di importanza vitale, tipo “Ha mangiato la Dudi?” o “Compra le rape per cena”. Notizie dirimenti, con cui Mentana aprirà l’edizione delle 20 del Tg. (Che poi, ogni volta, uno si chiede: ma chi cavolo è ‘sta Dudi?).
Rissosi. Prendono il treno con l’unico obiettivo di litigare con il controllore. Ogni pretesto è buono: il ritardo, i bagni, gli articoli di Pigi Battista. Hanno la capacità straordinaria di avere torto anche quando hanno ragione. Ingolfati da una rabbia trattenuta da decenni, si sfogano così. Poi tornano a casa. Indossano il pigiamino di Peppa Pig, le babbucce dei Gormiti. E si sentono invincibili.
Erniati. Che tu lo voglia o meno, accanto a te ci sarà sempre una donna incapace di mettere la valigia nel ripiano sopra il sedile. Ci prova, ma niente. Allora ti senti in colpa e, con fare macho, dici: “Ci penso io”. La donna ti guarda come Ed Norton guardava Rosario Dawson ne La 25a ora. Ti senti figo, molto figo. Punti la valigia, la impugni con sicumera e fai per sollevarla. Non appena ci provi, ti partono tre ernie. Però fai finta di niente. Salvi il salvabile, e in qualche modo issi la valigia – di piombo o forse ghisa – nel ripiano. La viaggiatrice ti ringrazia, tu reagisci con una smorfia che lei fraintende per sorriso. Poi ti risiedi. E non ti alzi più. Mai più. (Il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2015).
aggiungiamo a queste scocciature i disservizi a bordo dei treni e sulle banchine delle stazioni ferroviarie, causa mancanza di personale qualificato.
Invito alla lettura anche sommaria di questo documento che ha dell’incredibile:
portevetture-dei-treni-e-sicurezza+allegati_FiltPisa_mag2008.pdf