Diabolik, il fumetto che non cambia mai

diabNon cambia mai, neanche di una virgola, da più di cinquant’anni. E’ incredibile, improbabile e pieno di ingiustizia. Non è la Repubblica Italiana, ma uno dei fumetti più fortunati di sempre: Diabolik. Sky lo tramuterà in una serie ambiziosa, co-produzione internazionale e 13 episodi. Messa in onda 2016/2017. Chissà se, all’estero, la fascinazione per un prodotto così immutabile sarà analoga a quella riscontrabile in Italia, dove del resto ciò che sembra cambiare e non cambia mai conquista quasi sempre la maggioranza. Più che “Il Re del Terrore”, titolo del primo albo uscito nel novembre del 1962, Diabolik è un mistero (commerciale). Tradotto in più parti del mondo, ideato dalle sorelle Giussani e caratterizzato da un formato iper-tascabile (12×17 cm), Diabolik esce tre volte al mese: l’albo inedito il primo del mese, la prima ristampa il 10, la seconda ristampa (denominata “Swiisss” come il rumore dei coltelli lanciati) il 20. Più due “Grande Diabolik” l’anno. Sempre per la casa editrice milanese Astorina, che probabilmente non riesce a spiegarsi neanche lei il successo. Negli anni Diabolik è diventato film (regia di Mario Bava), videoclip (il figlio Lamberto curò un progetto dei Tiromancino in cui Eva Kant era Claudia Gerini), parodia (Dorellik). E’ entrato nell’immaginario collettivo. Perché, 53 anni dopo, Diabolik vive e lotta – e più che altro uccide – in mezzo a noi? Inizialmente fece leva sul suo essere politicamente scorretto: un antieroe feroce, di cui non si sapeva quasi nulla. Sei anni dopo l’uscita, gli autori raccontarono (in Diabolik chi sei?) qualcosa del suo passato. Sopravvissuto in fasce (evento di per sé probabilissimo) a un naufragio, l’imberbe serial killer viene cresciuto da un’allegra congrega di malviventi al soldo di King, che Diabolik ripagherà uccidendolo e appropriandosi del nome che King aveva dato a una pantera. In un crescendo di eventi oltremodo credibili, Diabolik saltella dall’Oriente (il lisergico Deccan) all’Occidente (la rutilante Clerville), apprendendo – da vari contrabbandieri e zozzoni – cose che nella vita di tutti i giorni servono moltissimo: come seminare il nemico, come lanciare coltelli, come ipnotizzare un prigioniero. E come costruire invenzioni al cui confronto Asimov era un emulo verista del Verga. Col tempo, più che la novità, a rendere appetibile il fumetto è diventata la consuetudine: il sempiterno fascino del male. Oltretutto Diabolik è cool, molto cool: non solo non invecchia, che per un antieroe di carta è normale, ma veste pure tipo Eric Clapton a fine Anni Ottanta e guida una sobria Jaguar E: auto che ovviamente in città conoscono tutti, e Clerville (ispirata a Parigi) non è neanche una megalopoli, eppure le forze dell’ordine non lo acchiappano mai. E se lo acchiappano, lui fugge subito. Ne consegue che il sadismo non è tanto quello di Diabolik ed Eva Kant, quanto quello degli sceneggiatori nel tratteggiare il tontissimo ispettore Ginko. Un pover’uomo mosso da nobili intenti e sempre sconfitto, appesantito da sensi di colpa per il suicidio del migliore amico Gustavo Garian e accompagnato (almeno quello) dalla fighissima Altea. Ginko – “Rinko” in una caricatura di Teocoli – è l’ispettore più bravo di tutti (figuriamoci gli altri), capace di farsi fregare da 53 anni nello stesso modo dalla stessa persona. Ogni mese la storia va più o meno così: arriva un riccone citrullo con la fregola di fare una mostra a Clerville (o luoghi vicini tipo Ghenf o Lampea), e già qui c’è del masochismo titanico nello scegliere proprio Clerville; polizia e museo garantiscono diab2che “il sistema di sicurezza è assolutamente infallibile”; Diabolik, grazie a tecnologie pazzesche e con le sue maschere in pure resina vegetale provenienti dalla nota isola di Bo-Tang (popolata da fans di Diabolik, e non è una battuta), si sostituisce al babbeo di turno e ruba tutto; Ginko ci rimane male; Diabolik ed Eva Kant se la godono. Sempre così. Strada facendo gli autori hanno reso Eva meno subalterna e Diabolik meno sanguinario, ma neanche poi tanto: nel numero inedito in edicola, Morte in alto mare, Diabolik ammazza a sangue freddo un poliziotto corrotto che aveva già confessato. Il punto fermo della serie è che Diabolik è un genio, sì, ma tutti gli altri son bischeri parecchio. Viene poi da chiedersi perché ogni mese Diabolik avverta il bisogno di rubare diamanti “unici” (che poi, se sono unici, come fanno a essere così tanti?), tenendo conto che i soldi ormai neanche sa più dove metterli. Infatti è pieno di rifugi segreti e, nei ritagli di tempo, si allena col pentothal o si esercita nelle 757 specialità paraolimpiche di criminalità in cui eccelle: tagliatore di pietre preziose, abile trasformista, finissimo stratega. Eccetera. Se ogni fumetto diventa col tempo ripetitivo e per nulla credibile, Diabolik esagera. E chissà come faranno quelli di Sky a convincere un americano che quel tizio lì non è un lestofante sopravvalutato, agevolato da avversari scemi e aduso a indossare calzamaglie appena equivoche, ma addirittura un mito nazionale. Eppure, ed è poi la cosa più importante, Diabolik – misteriosamente – funziona. Ogni volta. Anche se è sempre uguale, anche se sai per filo e per segno come andrà e finirà. Se vi capiterà di ricominciare a leggerlo dopo averlo abbandonato per anni, e a chi scrive è capitato, probabilmente non saprete più smettere. Quando ciò accade, vuol dire che sceneggiatori e disegnatori sono bravi. Molto bravi. Ed è questo il caso. (Il Fatto Quotidiano, 22 settembre 2015)

4 Comments

  1. Guarda, Andrea, che Diabolik è molto cambiato rispetto alle origini. Forse non lo leggi tutti i mesi, ma il Diabolik degli anni sessanta-settanta non esiste più. Quello di oggi è un personaggio più vicino a Lupin III (degli anime) che al Re del Terrore ideato da Angela Giussani.

  2. Non ci posso credere!
    Ho appena visto una versione nostrana dei Fantastici Quattro/Cinquestelle nella trasmissione In Mezz’ora, corrispondevano pure le quote di genere!
    Se poco poco si va ad elezioni e se per un altro poco il Movimento le vince, qua ci sono tutti i presupposti per una rivoluzione (come l’ha chiamata Stefano? Ah, “inversione di tendenza”. Modestone…).
    Amministrare una città corrotta e zozzona come Roma sarà una bella sfida.
    Bisognerà riscrivere tutta la sceneggiatura. Io rispolvererei la vecchia e cara mitologia prendendo spunto dalle dodici fatiche di Ercole.
    Per esempio, per ripulire quella stalla che è la Capitale si potrebbe deviare il corso del Tevere, che ce vò?
    Poi magari qualche fatica un po’ più improba, tipo stanare il cane a sei zampe dagli inferi, la rimandiamo alle politiche, d’accordo?

  3. E’ vero, dopo la lettura dei primi episodi ti senti allargare un vuoto dentro nel quale si fa strada una domanda dal sapore escatologico : “Va bè, e mo’?”.
    In un’ansia apocalittica di risposta, ci si ostina masochisticamente ad andare avanti nella lettura degli episodi fino ad arrivare ad una conclusione dall’olezzo scatologico tipo “ma che mer.. di trame!”.
    Questi pensieri, ora espressivamente compiuti, ricordo che li incubavo all’alba della mia adolescenza quando leggevo i fumetti della Marvel, in special modo I Fantastici Quattro. Erano i miei preferiti perché sembravano colmare le mie aspettative: al posto del singolo supereroe velleitariamente onnipotente (e anche un po’ monomaniaco, diciamolo), i quattro supereroi offrivano un’interessante prospettiva alternativa ricca di possibilità fatte di combinazioni, diversificazioni, soluzioni inaspettate e così via. E invece no. La novità densa di promesse veniva pian piano schiacciata dalla ripetitività, dalla banalità, dall’approssimazione, da una tale mancanza d’inventiva che veniva quasi voglia di prendere le pagine a morsi per un’occasione tanto più sprecata proprio perché così ghiotta.
    La morale è quasi banale: i serial comics possono rivelarsi una disgrazia (non tanto per chi li produce quanto per chi li legge con occhio, ehm, un tantinello critico) se non c’è una squadra di Sherazade della sceneggiatura a sorreggere l’idea iniziale.

  4. Purtroppo Diabolik-personaggio cosi imprevedibile e inedito non è molto conosciuto all’estero per niente.Poi,se trasmette cosi tanta forza di carattere e multiculturalità lo rendono veramente unico e vale la pena tirarlo fuori dal cofanetto, dove stava
    dimenticato e rispolverarlo.
    Non tutti i giorni si può avere da fare con un “genio” in mezzo a tanti bischeri che improvvisamente diventano bravi e leggono alla sera prima delle nanne il fumetto.

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