Leggo in giro tanto stupore, e pure un malcelato fastidio, per la riapertura del caso Marco Pantani. E’ lo stupore (finto?) di chi finora si è disinteressato alla sua vita, o ha vissuto su Marte, o crede alle favole (anzi agli insabbiamenti). La morte del Pirata è sempre stata piena di misteri, incongruenze, bugie e omissioni. Bastava leggersi “Vie et mort de Marco Pantani” (Grasset, 2007) e “Era mio figlio” (Mondadori, 2008). Nel mio piccolo l’ho sempre scritto anche io, per esempio qui. Ho amato Marco Pantani come molti della mia generazione, e non solo della mia. Gli ho voluto bene. Dopo la sua squalifica, come un fan inconsolabile, andai perfino a casa sua per lasciargli un biglietto di solidarietà: non l’ho mai fatto con nessun altro sportivo. La sua intervista straziante a Gianni Minà la ricordo come una coltellata. Ho sempre pensato che nessuno sportivo italiano, non tra quelli di cui sono stato contemporaneo almeno, abbia subito la gogna vergognosa del passaggio subitaneo da “eroe” a “colpevole”. Ha sbagliato, certo, ma non abbastanza da subire quella mitraglia ipocrita e indistinta. In quella cazzo di camera di Rimini non credo fosse solo. Paiono attestarlo troppe cose: la stanza era mezza distrutta, c’era sangue sul divano, c’erano resti di cibo cinese (che Pantani odiava: perché avrebbe dovuto ordinarlo?). Marco aveva chiamato due volte la reception parlando di due persone che lo molestavano (aneddoto catalogato come “semplici allucinazioni di un uomo ormai pazzo”). Fu trovato blindato nella sua camera, i mobili che ne bloccavano la porta, riverso a terra, il torso nudo, il Rolex fermo e qualche ferita sospetta (segni strani sul collo, come se fosse stato preso da dietro per immobilizzarlo, e un taglio sopra l’occhio). Vicino al suo corpo c’erano delle palline fatte con la mollica del pane, in cui sono state trovate tracce di cocaina. Nella camera non sono state trovate altre tracce di stupefacenti. Non esiste un verbale delle prime persone che sono entrate all’interno della camera, non è stato isolato il Dna delle troppe persone che entrarono nella stanza. Il cuore di Pantani venne trafugato dopo l’autopsia dal medico, che lo portò a casa senza motivo (“Temevo un furto”) e lo mise nel frigo senza dirlo inizialmente a nessuno. Perché il cadavere aveva i suoi boxer un po’ fuori dai jeans, come se lo avessero trascinato? Che senso aveva quel messaggio in codice accanto al cadavere (“Colori, uno su tutti rosa arancio come contenta, le rose sono rosa e la rosa rossa è la più contata”)? Eccetera. E’ mia opinabilissima convinzione che Marco Pantani, ragazzo fragile e talento infinito, sia stato ammazzato due volte. La prima a Madonna di Campiglio 1999, la seconda il 14 febbraio 2004. Temo di non sbagliare. Spero (poco) in un briciolo di giustizia postuma. E conservo il dolore, perché ai fratelli maggiori non smetti di voler bene. E certe ferite non si cicatrizzano mai.
Che bell’articolo. Mi capita di pensarlo sempre più di rado, quando leggo. Ma quel che mi ha colpito più di tutto, è il particolare del biglietto portato a casa. Un gesto ancora più raro, che fa intuire una sensibilità non comune.
Andrea Scanzi, quando ti decidi a scrivere il tuo romanzo? È ora. Lo leggerò, lo so già.
Sono d’accordo con te anche per me Marco ha rappresentato un mito come Lady Diana e caso strano entrambi le morti non sono mai state chiare. Mi ricordo che con mio padre vedevamo le imprese del Pirata come un qualcosa di nuovo e diverso. Non era più il ciclista che si risparmiava ma era quello che dava tutto. E forse per questo era invidiato da anche chi giovane non ammetteva la sua superiorità. Quella volta di Campiglio non me la toglie dalla testa che hanno voluto farlo fuori visto che non ci riuscivano legalmente lo hanno fatto legalmente apprezzo la mamma che vuole la verità speriamo riescano a dargliela
Sig. Scanzi,
le chiedo solo un chiarimento. Nel passaggio “Ha sbagliato, certo, ma non abbastanza da subire quella mitraglia ipocrita e indistinta.” le chiedo di argomentare dettagliatamente quali sarebbero stati gli sbagli di Marco.
La ringrazio in anticipo.
condivido tutto….
Caro Andrea Scanzi,
leggo sempre con piacere i tuoi articoli su FQ, e ti considero una delle “voci” più limpide del giornalismo italiano. Il più delle volte sono in totale accordo con le opinioni che esprimi. Questo articolo non farebbe eccezione, se non fosse che trovo giusto ricordare, per comprendere meglio lo sportivo Marco Pantani, l’episodio di Madonna di Campiglio, a mio avviso, nella prospettiva in cui lo racconta, brevemente, Sandro Donati nel suo “Lo sport del doping” (che io immagino tu abbia letto…).
Grazie sempre e comunque per la passione e la sincerità con cui pratichi la tua professione di giornalista.
F.C.
Quando un articolo è scritto con il cuore, chi legge partecipa dei sentimenti che hanno avvolto lo scrivente, in un abbraccio ideale, che abbellisce l’anima.