Ecco l’intervista integrale che ho rilasciato a Marzia Sandri, pubblicata in due diversi stralci sul numero di giugno 2014 del bimestrale Mantovachiamagarda e sul mensile Lo Sguardo. L’intervista è stata effettuata a metà maggio, prima delle elezioni europee.
Esperto di vini, scrittore, conduttore televisivo, opinionista, attore teatrale, e chi più ne ha più ne metta. Quale ruolo ti appassiona di più e quale ti regala più emozioni?
“Il collante è sempre l’amore per la scrittura. E’ quello che tiene tutto attaccato. E poi mi annoio rapidamente. Parafrasando Fabrizio De André: “Perché già dalla prima trincea/ero più curioso di voi/ ero molto più curioso di voi”. Ecco: io sono sempre stato più curioso della media, bruciato da uno strano morbo della conoscenza e della sperimentazione. Non potrei mai essere uno “specialista” tout court: scrivere e parlare sempre della stessa cosa è pallosissimo. A chi mi definisce “tuttologo”, rispondo che l’ultima risposta spetta sempre al pubblico: se ti segue sempre e comunque, vuol dire che ti reputa preparato. Se avessi scritto un libro sul vino pieno di sciocchezze, mi avrebbero fucilato. E così se sparassi bischerate a iosa a Otto e mezzo. E così se non fossi anche solo credibile sopra un palcoscenico. Se poi l’alternativa è essere specialisti come Pigi Battista o Polito, gente che non ne ha mai indovinata una neanche per disgrazia, preferisco beccarmi l’accusa di tuttologia. Tu vivi a compartimenti stagni? Io no. Scrivo, e mentre scrivo ascolto musica, e mentre ascolto musica magari bevo vino. E via così. Basta con questa stitichezza emotiva e questi giornalisti che annoiano anche solo a guardarli”.
Spesso ospite di talk show e dibattiti televisivi (ma non dimentichiamo neppure le piacevolissime apparizioni al G’Day di Geppi Cucciari), non si può negare che in poco tempo sei diventato un vero e proprio personaggio, oltre che un accreditato opinionista cui si fa riferimento quando sia richiesto un parere autorevole. In qualunque campo tu ti muova – enologia, sport, musica, politica – non manchi di raccogliere consensi e apprezzamento. Quale ritieni sia la tua principale caratteristica che sta alla base del successo che stai ottenendo?
“Anzitutto ti ringrazio per avere ricordato Geppi, con il suo GDay è stata la prima tra le star nazionali a credere stabilmente alle mie qualità televisive – insieme ad Antonello Piroso. Geppi ti demoliva in ogni puntata, o eri autoironico o non ne uscivi vivo. Mi ha insegnato tanto. E’ vero, dal 2013 molto se non tutto è cambiato. Era già tutto veloce, ma dopo lo scazzo con Alessandra Mussolini a L’aria che tira nel gennaio 2013 la ruota ha cominciato a girare vorticosa. Ormai vivo più in autostrada che a casa, ma va bene così. Non so quale sia la mia principale caratteristica: forse la schiettezza, forse l’oratoria, spero l’onestà intellettuale. Quando incontro i lettori, per strada o dopo gli spettacoli a teatro, mi dicono: “Sei la nostra appartenenza, dici quello che diremmo noi se potessimo, continua così”. Parole meravigliose, così responsabilizzanti da farti tremare i polsi”.
Ti sei laureato con una tesi sui cantautori della 1° generazione, su due di questi, Giorgio Gaber e Fabrizio De Andrè, hai costruito due spettacoli teatrali che porti in giro per l’Italia con ampio seguito, sei un grande fan di Ivan Graziani e hai collaborato alla stesura di un libro con Ivano Fossati, che pure ami. Tutti artisti di un’epoca che non ti appartiene, vista la tua età. Da dove viene questa passione? E che meriti riconosci agli artisti di quella generazione che mancano a quelli più moderni?
“In Non è tempo per noi racconto la mia generazione, quella dei nati nei Settanta. Parlo lungamente dell’uomo in più della mia generazione, Paolo Sorrentino. Anche lui narra storie di personaggi appartenenti alla generazione dei genitori, a conferma di sentirsi un po’ fuori tempo. Per me è lo stesso. Voglio bene alla mia generazione, ma è innegabile che – soprattutto per ciò che attiene alle fascinazioni artistiche – devo guardarmi indietro. Sono cresciuto in una famiglia in cui la cosa più leggera erano i cantautori. La politica c’è sempre stata, i libri ci sono sempre stati, l’impegno c’è sempre stato. A quattordici anni leggevo Gabo Marquez e Pennac, a sedici Saramago. Mio padre, anche chitarrista, mi cresceva cantandomi Girotondo di De André e Dio è morto: per forza che poi nasci disturbato. Gaber, Fossati e De André li ascolto da sempre e li ho visti la prima volta dal vivo quando avevo 16 anni: impossibile, poi, abbandonarli. Ivano è un amico e un gigante. Gaber è con Pasolini l’intellettuale che più mi ha influenzato: la figura critica e scomoda, che insegue il cortocircuito per costringere lo spettatore a riflettere. La vita mi ha fatto davvero un gran regalo, permettendomi di raccontarlo a teatro – casa sua – in tutta Italia per più di 120 repliche. Nei Settanta c’erano anche talenti meravigliosi in apparenza leggeri e in realtà intrisi di talento: Edoardo Bennato, mai più così bravo; Rino Gaetano; e poi Ivan Graziani, che mi vanto di avere contribuito a riportare all’attenzione nazionale (mai abbastanza) attraverso alcuni articoli e la direzione del Premio Pigro. Vale più la sua Fuoco sulla collina da sola che la carriera intera di Vecchioni”.
Cambiando tono e venendo a domande di attualità. Si può dire, senza timore di sbagliare, che sei una voce fuori dal coro, capace di offrire un punto di vista inedito e a suo modo coraggioso rispetto alla media dei tuoi colleghi. C’è qualcosa che rimproveri a tanta parte dei giornalisti e del giornalismo di oggi?
“C’è anche chi mi critica, e menomale: se piacessi a tutti, non sarei nessuno. Cioè (ideologicamente) sarei Jovanotti: un disinnescato per scelta e per comodo. Chi mi attacca mi definisce “fazioso” e “megafono di Grillo”. O è gente che non mi ha mai sentito, o ha il poster in camera di Renzi nudo e si eccita così. In tal caso, ti do una notizia. Al Fatto ci siamo messi d’accordo sui ruoli e questo è quanto abbiamo legiferato: Travaglio è l’Emilio Fede di Grillo, Gomez il Sallusti di Casaleggio, Padellaro il Belpietro di Vito Crimi e io – più sborone – il Robin Hood della Lombardi. L’imparzialità non esiste: tutti hanno le loro idee. Esiste l’onestà intellettuale, esiste la credibilità, esiste il talento. Bocca era imparziale? Montanelli non era schierato? Lo so, sto citando maestri enormi e io sono solo un signor nessuno: l’approccio è però lo stesso. Molto più semplicemente, sono uno che ha capito sin dall’inizio la portata politica di Grillo e non credo – come quasi tutti i miei colleghi – che la colpa sia sempre e a prescindere dei 5 Stelle. L’altra accusa è di tipo estetico: fighetto, gay, narcisista, lampadato, “troppa ferraglia”. Le leggo e mi viene da ridere: capisco che siate abituati a Belpietro o Menichini, ma essere bruttini non è un requisito obbligatorio per essere giornalisti. Se il mio difetto peggiore è avere cinque anelli, allora sono persino più bravo di quanto già credessi. Li avevo anche tolti dopo una scommessa con Aldo Busi, ma poi li ho rimessi: senza mi sento come nudo, non so perché. Le lampade? Uno sfottò che ci stava, me le sono fatte a lungo e ho smesso quest’anno. “Gay” non è certo un insulto, ma nel mio caso è comunque un falso storico: né omosessuale né bisessuale. Eterosessuale convinto e fervente, infatti sono divorziato. La mia unica stranezza – ammesso che lo sia – è il feticismo del piede femminile, persino più di Bunuel e Tarantino. Il mio sogno resta sempre una seduta di trampling con Rosario Dawson vestita come in Sin City. Ho una splendida compagna, che mi ha fregato la prima volta proprio per la bellezza inusitata dei suoi piedi. Dirmi che sono “narcisista” è come dirmi che ho gli occhi azzurri: lo so da solo, ragazzi. Sono così narciso che, citando Libero, quando mi sveglio preparo due caffè: uno per me e uno per il mio ego. L’informazione italiana ha colpe enormi: ha quasi sempre abdicato al suo ruolo, tirando a campare, ossequiando il potere e correndo sempre in soccorso del vincitore: ieri Monti o Letta, l’altroieri Berlusconi e oggi Renzi. Una delle forze del Fatto Quotidiano è propria questa: essere diversi, essere liberi. Ed essere molto più bravi. Una delle più grandi cazzate della mia vita è stata dire no a Marco Travaglio quando mi chiese di lavorare per il non ancora nato Fatto. Era l’aprile del 2009, stavamo cenando dopo un incontro al Festival del Giornalismo di Perugia. Lavoravo alla Stampa, mi aveva voluto nel 2005 Giulio Anselmi che era appena stato sostituito da Mario Calabresi. Ci pensai e non me la sentii di seguire Marco. La pagai cara: reputandomi troppo poco piddino, Calabresi mi dirottò a fare l’inviato di moto al seguito di Valentino Rossi. Così non avrei potuto fare danni parlando di Grillo. Ho resistito altri due anni scarsi e nel 2011 sono – finalmente – andato al Fatto. Lì, di colpo ma non certo casualmente, la mia carriera ha preso la piega che sognavo”.
Anche nei confronti della politica attuale non manchi di esprimere critiche spesso feroci, sicuramente caustiche. Quale ritieni sia la responsabilità più grave dei nostri politici?
“La politica italiana ha la colpa imperdonabile di avere disboscato qualsiasi forma di appartenenza e fiducia. Come ama dire il mio amico Giulio Casale, siamo un paese “antropologicamente fuorilegge”. E la classe politica è figlia di questa nostra anomalia genetica. Abbiamo da vent’anni il peggior centrodestra d’Europa e anche il centrosinistra, dove la parola “sinistra” è ovviamente pleonastica, è sulla buona strada. Se il “nuovo” sono la mascella inutilmente volitiva della Picierno o Karina Huff Boschi, ridateci Rumor. Il giornalismo dovrebbe essere guardiano di regole e Costituzione, ma troppi miei quasi-colleghi abbaiano unicamente a difesa e guardia del potere. In tivù, come negli articoli, faccio quello che chiunque dotato di senno e spina dorsale dovrebbe fare: non fingere, non fare sconti. La stima non si regala e io non ho la perversione di stimare i Gasparri o le Biancofiore, i Formigoni e gli Alfano. E’ gente a cui, anche prima di andare in onda in tivù, spesso neanche stringo la mano. Hanno contribuito in prima persona a demolire questo paese: dovrei pure dirgli “bravo”? Vale anche per il giornalismo: mi sento collega (e allievo) di Peter Gomez, ma di tanti altri proprio no”.
Pensi ci sia un’alternativa all’attuale situazione politica italiana – in termini di atteggiamento nel modo di governare, se non di schieramento politico – capace di dare una speranza al futuro?
“Lo scenario attuale mi sembra molto facile da interpretare, credo potrebbe arrivare a comprenderlo persino Boccia: volete il cambiamento morbido e garbato, ottimista e Moccia style di Renzi, rottamatore per finta e gattopardesco sul serio, o un salto nel vuoto rischioso ma realmente nuovo come quello dei 5 Stelle? Non posso dirti che la seconda strada sia la salvezza, io non ho certezze e solo dubbi. Ho però ben chiaro come la prima strada non porti a nulla, se non al perdurare dell’attuale e depravatissimo sistema. Renzi è un restauratore, per giunta comicamente narciso. Vive nel magico mondo di Fabio Volo e dei Righeira: non svegliatelo, o per lui è un casino”.
E chiudiamo con uno sguardo allo Scanzi di domani. Continuerai a dedicare lo stesso spazio alle molteplici vesti che hai indossato fino ad ora o, data la tua innata e bulimica curiosità, come tu stesso l’hai definita, possiamo aspettarci di vederti prossimamente interpretare ruoli inediti e ancora imprevedibili?
“Faccio fatica a capire anche solo cosa farò domani. Figuriamoci tra qualche mese o anno. Di sicuro non potrei mai vivere senza scrittura. La tivù mi piace e non ho mai coltivato il gusto per la nicchia: mai avuto paura del successo, mai inseguito il feticcio snob del “pochi ma buoni”. Il teatro è adrenalina pura, il romanzo prima o poi arriverà. L’attore l’ho già fatto (male) per la seconda stagione di Mario ideata da quel gran genio di Maccio Capatonda. Forse il mio gesto più rivoluzionario sarebbe riposarmi, ma al momento non mi riesce”. (Di Marzia Sandri)
Oltre a Ivan Graziani sarebbe bello che tu dedicassi uno scritto o altro a Rino Gaetano del quale, finora, sono riuscito a vedere solo in orribile fiction in tv. Lo meriterebbe…
Andrea Scanzi, sei meno “birbante” di quanto si possa pensare…
Hai proprio ragione: la curiosità è una fiamma che scintilla, disperdendo la misera tentazione del compiacimento e “costringendoci” ad avanzare, liberi e impavidi, nel vasto mare della Bellezza.
Che il tuo Viaggio possa essere lungo e traboccante di soddisfazioni!
Intervista molto bella, chi ti segue seriamente ha la conferma che non sei diverso da come ti proponi. Oltre a conoscere molto bene ciò che viviamo, ho l’impressione che conosci bene anche te stesso, e questo credo sia la cosa che più ammiro. Sicuramente quando ti guardi allo specchio puoi avere la certezza che chi hai di fronte non ti riserverà sorprese.
è vero che le riunioni di redazione siete costretti a farle all’aperto perchè non c’è abbastanza spazio per il tuo ego?
continua così, non condivido tutto ciò che scrivi, ma nutro grande ammirazione per le persone oneste.grazie
mario miceli