Kurt Cobain, il suicidio degli Anni Novanta

dueFu una strana cronaca di una morte annunciata, quella di Kurt Cobain. Tutti sapevano che sarebbe finita così, ancor più gli italiani, che un mese prima lo avevano visto finire in coma a Roma per avere ingerito “ per errore” 50 dosi di Rohypnol e Champagne. Eppure, quando l’elettricista Gary Smith lo trovò suicida nella casa al 171 di Lake Washington Blvd, East Seattle, ci fu comunque stupore. Anche se era una storia già scritta. Anche se tutti sapevano che quell’angelo aveva la pelle troppo sottile. Anche se era stato Cobain stesso a dire – anzi urlare – che non ce la faceva più. Una volta, in Brasile, salì sul palco con una maglietta su cui c’era scritto: “Mi odio e voglio morire”. Il titolo di una canzone che poi tagliò da In Utero. Il resto della band gli chiese dove mai avesse trovato una t-shirt così macabra. Lui rispose che se l’era fatta da solo e poi sorrise. Uno di quei suoi sorrisi in dissolvenza, che nascevano già malati e tristi. Come quando, il 23 febbraio 1994, quaranta giorni prima di morire, gravitò a Tunnel su RaiTre. Riuscì persino a spaventarsi per uno scherzo di Corrado Guzzanti, travestito dallo studente grunge Lorenzo. Serena Dandini lo descrisse come “una persona di una sensibilità estrema, indifesa, che difficilmente riuscivi a guardare negli occhi, con uno sguardo di paura come di un cucciolo braccato dal mondo”.
Il cucciolo braccato, dal mondo e da se stesso, si sparò al volto con un fucile a pompa il 5 aprile 1994. Venti anni fa. Lo trovarono tre giorni dopo. Accanto aveva una lettera d’addio. Era destinata al suo amico immaginario Boddah. Tra le altre cose, diceva: “Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare unoil cartellino ogni volta che salgo sul palco”. Citava anche una canzone di Neil Young, “My my, Hey Hey (Out of Blue)”: “È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”.
L’uscita di scena perfetta per il cantore (suo malgrado) di una generazione che aveva disperatamente bisogno di un nuovo martire, pronto a immolarsi prima e iscriversi poi al “Club 27”. L’età che aveva Kurt quando si ammazzò: la stessa di Jimi Hendrix, di Janis Joplin, di Jim Morrison.
La sua vita cambiò nel 1991. Nevermind, il disco più celebre dei Nirvana, solo negli Stati Uniti sforò i 25 milioni di copie di vendute e sconfisse il favorito Dangerous di Michael Jackson: da una parte la rivolta più di pancia che di cuore, dall’altra i postumi degli Ottanta malamente sfavillanti. Il grunge fu per i primi anni Novanta ciò che il punk era stato nella seconda metà dei Settanta: la protesta, l’iconoclastia, il rovesciamento del sistema non per un ideale politico ma – semplicemente – perché non se ne poteva più delle finzioni. Molte icone del grunge seguirono una sorta di copione intimamente condiviso anche nel processo di scomparsa. Una delle maniere con cui Cobain annunciò la sua morte fu un concerto crepuscolare per MTV. Diciotto novembre 1993. Un’esibizione “unplugged”, acustica, che contiene una versione straziante di  All apologies. In quella canzone Kurt era già morto. Come lo era Johnny Cash nelle American Recordings. Come lo era Layne Staley nell’MTV Unplugged degli Alice in Chains.
Cobain era l’antieroe perfetto: il tramite ideale per innamorarsi di un’utopia sufficientemente sporca e fatalmente sconfitta. Il giorno in cui l’Italia apprese la sua morte, le due notizie principali erano il suicidio di Cobain e l’accordo tra Fini e Bossi. Una sorta di decesso al quadrato: il privato e il pubblico prontamente estinti, e chi si è visto si è visto. Prima mito e poi musicista, le sue doti paiono oggi colpevolmente passate in secondo piano. Cantante prodigioso, artista dotato di una sensibilità pionieristica. Inventore di un look studiatamente errato, cristologico nei capelli e iconografico nella maniera di imbracciare la chitarra, tenendola bassa e suonandola con la mano sinistra per sottolineare la propria originalità. Drogato in ogni modo e praticamente da sempre, un po’ per curare i dolori di stomaco e molto per illudersi che il malessere potesse conoscere tregua. Bipolare. Il trerapporto problematico con i genitori separati, il matrimonio scombinato con Courtney Love, la figlia Francis Bean oggi 22enne. I suoi ultimi giorni, dubbi e complotti compresi, sono stati raccontati non senza licenze poetiche da Gus Van Sant in Last Days. Suicidi tentati, fughe da cliniche
riabilitative: gridi di aiuto ascoltati da tutti e recepiti da nessuno. Riteneva che il suo album migliore fosse In Utero, dissonante e fieramente anticommerciale. Il mondo continua a preferirgli Nevermind e “l’inno dei ragazzi apatici” Smells Like Teen Spirit. Cobain intendeva scrivere una canzone “alla Pixies”. La band ritenne inizialmente quel riff “ridicolo”. Il titolo deriva da un profumo che si chiamava Teen Spirit. Un’amica di Cobain, dopo una notte passata insieme tra alcol e vandalismo, scrisse sul muro della casa dell’artista che “Kurt puzzava di Teen Spirit”. Cobain non conosceva quel profumo e credette che la ragazza alludesse ai discorsi fatti su punk e anarchia. Lo prese per complimento: “Profuma di spirito adolescenziale” e dunque di rivoluzione. Il titolo sbagliato per un inno a una generazione non meno fraintesa e sfuocata, di cui Cobain fu – prim’ancora che portavoce – soldato in trincea. Senza alcuna speranza di sopravvivere. (Il Fatto Quotidiano, 28 marzo 2014)

18 Comments

  1. Scanzi, ammetto che quando scrive di politica non trova quasi mai il mio apprezzamento. Ma, da appassionato di rock e membro di una cover band grunge, mi complimento per l’articolo, di livello davvero superiore e che pone l’accento su aspetti raramente considerati.

  2. @Nicola: no, fu una scelta. Cobain da ragazzo usava entrambe le mani, ma decise di usare la mano sinistra perché o chitarristi mancini erano più rari.

    ” Cobain era ambidestro, ma più in là scelse di suonare la chitarra da mancino poiché c’erano pochi musicisti mancini, in tal modo sarebbe stata una caratteristica che lo avrebbe distinto. Alla fine del concerto MTV Unplugged in New York del 1993, Cobain si ferma a firmare degli autografi utilizzando la mano destra.” (Wikipedia)

  3. “[…] tenendola bassa e suonandola con la mano sinistra per sottolineare la propria originalità”

    per sottolineare la propria originalità? Non è che semplicemente era mancino?!

  4. Caro Andrea,
    Ripercorrendo le storie di cospirazione come quella del falso Paul McCartney, leggevo dell’autopsia di Kobain che riportava un quantitativo di eroina talmente alto che in nessun modo, gli avrebbe permesso di spararsi con un fucile…
    Una morte annunciata… ma da chi? La generazione X faceva paura e lui ne era il mentore… Ora noi di quella generazione, siamo i + precari della storia… e secondo me non è un caso (e non so se hai presente la nuova generazione di giovani selfie-biber…)

    • Ma dopo un articolo del genere ti metti a scrivere di complotti?
      E’ calibrato, quasi perfetto come ogni “biografia” scritta da Scanzi e tu vieni a parlare di complotti sulla morte di Kobain?
      Scriveva canzoni, non era Gandhi o Mandela.

  5. Ciao Andrea.
    Mi é piaciuto molto questo articolo, l’ho trovato un giusto mix di emozioni e storia riguardo a un mito che purtroppo molto spesso si conosce troppo poco. Si pensa a lui solamente come un nome di un ‘musicista drogato che si é sparato’, specie tra le nuove generazioni, ma leggendo questo pezzo traspare molto di piú.
    Saluti.
    Marco.

  6. Il cantante era affetto da una grave malattia psichiatrica (sindrome bipolare).Il 13 % di costoro muore suicida ma quasi tutti ci provano. Caratteristica comune sono una menteprolifica e vivace che si tratti di musica, letteratura, poesia.

  7. Righe e frasi essenziali, con dentro praticamente tutto ciò che è stato Cobain e ancora oggi, purtoppo, molti non sanno. Grazie di queste parole Andrea. Da un figlio degli anni 90!

  8. Bell’articolo, forse non proprio precisissimo ma è comunque bello vedere che qualcuno ricorda ancora un uomo che ha letteralmente cambiato e/o influenzato un’intera generazione di adolescenti.
    Ma ancora nessuno ha mai detto che Cobain e il Grunge sono stato l’ultimo movimento musical-rock-rivoluzionario degli ultimi anni. Dopo il grunge…l’oblio musicale (se non per qualche meteora…).
    Ciao

  9. Caro Andrea io ti adoro in ogni tuo scritto.anche in questo su Kurt Cobain ,pur non essendo sua fan,.sono una fan però di Michael Jackson e visto. Che l’hai nominato mi piacerebbe sapere il tuo parere su di lui.sono proprio curiosa

  10. Andrea, bell’articolo!
    grazie per tenermi sempre al corrente di cio’ che succede in Italia.
    un abbraccio da Sydney

    Andrea

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