Gaber se fosse Gaber…ascolterebbe Scanzi

cinisello 1“C’è una foto-icona di Giorgio Gaber che ha avuto una grande fortuna in questi anni. È quella che trovate qui a fianco (e in numerosi siti e persino in qualche libro). È una foto scattata nel 1991 da un diciassettenne che – come dice lui stesso – “verrà travolto, come fosse un treno in corsa, dalla forza di Giorgio Gaber”. Quel diciassettenne di allora oggi sta portando con grande successo in giro per l’Italia uno strano spettacolo-lezione appunto su Giorgio Gaber, “Gaber se fosse Gaber”. Quel diciassettenne di allora è ovviamente Andrea Scanzi, giornalista affermato (scrive per Il fatto quotidiano, spesso ospite alla 7, ha scritto diversi libri) e ieri sera ha fatto tappa al Teatro Duse di Genova (replica da tutto esaurito stasera).
Uno spettacolo, come accennavo, piuttosto particolare. Sul palco solo una sedia e un unico attore: l’autore stesso che alterna monologhi a spezzoni video (alle volte inediti) tratti dagli spettacoli gaberiani. Che ci racconta il “suo” Gaber. O meglio “interpreta” il “suo” Gaber. Perché Scanzi non lesina sue interpretazioni, sue considerazioni, alternando brevi accenni biografici a riferimenti storici del periodo e soprattutto inquadrando gli spettacoli gaberiani all’interno del quadro storico in cui lo spettacolo è nato. Un racconto tutto in analessi. Scanzi entra in scena e si siede sulla sedia per mimare l’ultima posa ufficiale dell’ormai malato autore milanese. Siamo nel 2001… pochi mesi dopo Gaber ci lascerà per sempre. Quindi inzia un ideale viaggio a ritroso. Dopo un rapidissimo accenno al primo Gaber (quello di “Torpedo blu”, per intenderci), ecco la prima svolta: il tour con Mina nel 1969. Uno spettacolo in cui nel primo tempo canterà la tigre di Cremona e nel secondo il cantautore milanese. Scanzi – bravissimo a tenere alta la tensione e l’attenzione del pubblico – ama spesso gigioneggiare e trova più di una volta la battuta giusta: “Pensate, una volta avevamo sullo stesso palco Mina e Gaber. Oggi, se ci va bene, Gigi D’alessio e Anna Tatangelo”. Quindi è la volta del Teatro-canzone tramite lo straordinario incontro con Sandro Luporini, un vero e proprio genere inventato dai due. Nasce il Signor G. e i grandi spettacoli teatrali degli anni Settanta, snobbati da radio e televisioni che però riempiono i teatri di tutta Italia (con qualcosa come 180 repliche all’anno). Gaber – ci ricorda Scanzi – pur non “appartenendo” parla di attualità, parla del privato ma anche dei sogni rivoluzionari di quegli anni. La svolta avviene nel 1978 quando Gaber si rende conto che ormai il Sessantotto ha perso la sua carica eversiva e rivoluzionaria, i sessantottini sembrano dei reduci di loro stessi, le grandi battaglie sociali sono ormai una moda. È la volta, insomma, di “Polli di allevamento” con gli arrangiamenti di Giusto Pio e Franco Battiato. Quando Gaber propone in quello spettacolo “Quando è moda è moda” – ci racconta ancora Scanzi – viene spesso interrotto, fischiato e insultato dal pubblico a cui sta cantando (o urlando): “non sono più compagno, né femministaiolo militante/mi fanno schifo le vostre animazioni, le ricerche popolari camogli8e le altre cazzate/e, finalmente, non sopporto le vostre donne liberate/con cui voi discutete democraticamente/ sono diverso perché quando è merda è merda/non ha importanza la specificazione”. Dopo un pezzo simile, continua Scanzi, si può ancora dire qualcosa? Sembrerebbe di no e invece due anni dopo Gaber e Luporini vanno persino oltre giungendo a toccare addirittura Aldo Moro, ucciso appena due anni prima dalle Brigate Rosse: da politicante a statista grazie al martirio. Un qualcosa di inaudito da cantare!
Arrivano così gli anni Ottanta, gli anni del disimpegno (non di Gaber certo), della Milano da bere, dell’edonismo reaganiano e di Craxi. Dopo un periodo di silenzio Gaber e Luporini abbandonano il “politico” per dedicarsi al “privato” (Scanzi, citando Adorno, definisce l’uomo per tutto lo spettacolo “l’albero”), alla crisi della coppia (la splendida e tremenda “Il dilemma” cantata anche da un altro grande collaboratore di Gaber, Gian Piero Alloisio). E poi arrivano gli anni Novanta e Tangentopoli (e qui stranamente – ma forse davvero non se ne può più! – il giornalista non cita Berlusconi).
Lo spettacolo va avanti tra una citazione e l’altra (da Adorno a Pasolini) con un forte impatto sul pubblico (Scanzi sembra bene aver appreso l’arte prossemica di occupare la scena). Si ride, ci si commuove e l’alterarsi di parole “live” e di spezzoni d’antan non rompe la magia e riesce a rendere perfettamente la grandezza del teatro gaberiano. Anche in questo Scanzi è particolarmente bravo. Lo si vede dalla reazione del pubblico genovese, notoriamente “avaro” che invece interrompe spesso con appalusi ora le parole di Scanzi ora quelle di Gaber. Insomma, una scommessa ardua ma che sembra assolutamente vinta, quella di raccontare Gaber anche alle nuove generazioni (moltissimi i giovani in sala)…
ah, a proposito di giovani, – conclude Scanzi – quel diciassettenne “da quel 1991 non ha mai più avuto la fortuna di scattare una foto così bella!”. (Andrea Podestà, Il Pubblicista, 27 marzo 2013)

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