Trecento di questi albi, Nathan Never

never 1Fa uno strano effetto, scegliere un fumetto come scansione del tempo. Tenendo poi conto che, il fumetto in oggetto, non invecchia mai. Ma tu sì. Nathan Never, il primo personaggio fantascientifico della mai abbastanza lodata Sergio Bonelli Editore, ha raggiunto il numero 300. Si intitola “Altri mondi” e, come da abitudine per le grandi ricorrenze Bonelli, è a colori. Il primo numero vide la luce il 18 giugno 1991. Venticinque anni fa. Inizialmente doveva chiamarsi Nathan Nemo. Fu poi battezzato “Never” dall’autore di Martin Mystère, Alfredo Castelli. E’ un personaggio ideato dalla “banda dei sardi” Medda, Serra e Vigna. A differenza di Tiziano Sclavi con Dylan Dog, non si sono mai defilati. Nathan Never è vagamente ispirato al protagonista di Blade Runner, mentre la sua collega Legs Weaver ricorda Sigourney Weaver in Alien e fa da contraltare rustico-ironico a Nathan: cupo, malinconico e romantico. Never è un agente speciale dell’Agenzia Alfa, diuturnamente impegnato a salvare il mondo in una Città Est (New York) un tempo strutturata a otto livelli e divenuta definitivamente post-apocalittica dopo la guerra tra la Terra e le stazioni orbitanti. La caduta sulla Terra della stazione orbitante Urania ha poi distrutto cinque livelli e provocato milioni di morti. Qui la serie, nel numero 162, ha previsto un salto in avanti ed è ripartita tre anni dopo l’apocalisse, quando la vita è tornata (più o meno) normale. Nathan Never è il primo albo della Bonelli in cui c’è un continuum: le storie non sono a se stanti. Oggi è normale e anche il restyling di Dylan Dog va in quella direzione. Per non parlare dei vari Adam Wild, Lukas, Morgan Lost. Ma al tempo non lo era. Ed era un tempo, il 1991, in cui il Muro era caduto da poco, Internet era agli albori e gli smartphone non avevano cambiato le nostre vite. Tutto è cambiato, anche il mondo di Nathan, che è invece ancora uguale a se stesso: un eroe triste, fuori tempo e condannato a macerarsi. Lo capisci anche solo guardandolo. I capelli bianchi sono il risultato di un trauma terribile: aver visto la moglie trucidata da Ned Mace. La loro unica figlia, Ann, è autistica. Quel periodo verrà ora definitivamente raccontato nel prequel della serie, “Nathan Never Annozero”, saga di sei albi in uscita da giovedì 27 maggio e una delle iniziative previste per festeggiare i 25 anni. Gli autori, sin dall’inizio, hanno tenuto bene a mente i romanzi di Isaac Asimov e le sue tre leggi della robotica. Tra le tematiche ricorrenti c’è la costante ingiustizia sociale di un mondo foschissimo: i poveri vivono agli ultimi livelli, dimenticati e reietti. I robot sono trattati come schiavi e così le variegate forme di “diversi” (mutati, tecnopati). Uno dei migliori amici di Never è un robot vintage, Mac, che fino a pochi mesi fa – prima che gli umani attentassero alla sua vita – si guadagnava da vivere vendendo libri cartacei e vinili ai pochi nostalgici. Tra cui, ovviamente, Never. Nathan ha molti colleghi, ma nessuno assurge davvero a spalla. Neanche never 2Legs. Non ci sono, qui, Kit Carson, Cico o Java. Gli stessi colleghi sono spesso in chiaroscuro, su tutti l’esperto di computer Sigmund Baginov, un polacco che balbetta sempre a meno che non parli con le sue macchine. Tra i personaggi più insopportabili figurava il vecchio capo, Edward Reiser, poi morto ma probabilmente rinato sotto le mentite spoglie del non meno odioso Solomon Darver. Nathan Never è cambiato spesso, per alcuni troppo. Gli autori hanno sottoposto lo sviluppo narrativo a continue rivoluzioni: le “saghe”. La guerra tra Terra e stazioni orbitanti, la saga Alfa, la guerra tra Terra e Marte. Eccetera. Gli autori hanno più volte rischiato tutto: dentro o fuori. La tenuta dell’albo ha dato loro ragione. E’ vero che i primi cento albi erano più sognanti e un nemico zozzone come Aristotele Skotos, forse, non si è visto più. E’ però solo da applaudire la tenuta di un fumetto così “vecchio” e oggi tra i più in forma della Bonelli. Verrebbe da chiedersi perché, ora che il nostro tempo è esso stesso fantascienza (perlomeno l’idea di fantascienza che avevamo nel 1991), Nathan Never abbia ancora successo. Perché il personaggio è intimamente dolente e miracolosamente puro. Perché è scritto e disegnato molto bene. Perché, essendosi dotato di un universo altro, ha resistito alle contaminazioni prosaiche della contemporaneità. E perché Nathan Never sa generare ancora la meraviglia ciclica del non-luogo: la divagazione nella sua declinazione migliore. (Il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2016)

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