Archive for Febbraio, 2015

Vini ostinati e contrari: San Rocco Castello di Stefanago

lunedì, Febbraio 23rd, 2015

IMG_0934Per gli amanti del bianco, il Riesling è l’ultimo approdo: il vino “ideale”, per eleganza e complessità. Ancor più se arriva dall’Alsazia. Ancora più se proviene dalla Mosella. Trovare Riesling fermi e secchi di qualità non è facile in Italia. La zona più vocata è l’Alto Adige, ma c’è un altro microcosmo adatto a questo vitigno esigentissimo: l’Oltrepo’ Pavese. Una terra, per tanti versi, tutta da scoprire (e in buona parte da valorizzare). E’ a Borgo Priolo, provincia di Pavia, che si incontra il Castello di Stefanago. La famiglia Baruffaldi fa vino da cinque generazioni, ma è da pochi anni che sta provando a emergere realmente nel mercato. I vini nascono grazie ai fratelli Antonio e Giacomo, mentre il settore commerciale è seguito dalla sorella Antonietta. Cinquantamila bottiglie prodotte ogni anno, venti ettari vitati. Parte delle uve viene ancora venduta, perché l’azienda non può permettersi di produrre tutto ciò che arriva dai suoi vigneti. Castello di Stefanago fa parte dell’associazione VinNatur. Le etichette prodotte sono 13, ognuna delle quali non raggiunge le 5mila unità. Bianchi, rossi, Metodo Classico ancestrali, frizzanti “col fondo”. Quasi tutti i vini affinano in acciaio, qualcuno in botte grande di acacia. Spicca, all’interno di questa piccola galassia, il San Rocco. Riesling Renano fermo e secco in purezza. Ammalia per freschezza, mineralità e bevibilità. Le guide lo definirebbero “ideale come aperitivo”, ma in realtà è un vino “ideale”. E basta. (Il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2015. Quindicesimo numero della rubrica “Vini ostinati e contrari”. Ogni lunedì in edicola)

Vini ostinati e contrari: Stella Retica ArPePe

lunedì, Febbraio 16th, 2015

arpepeLa chiamano viticoltura eroica, e c’è un motivo. Vigneti a strapiombo, più o meno intatti, che costringono l’uomo a una lavorazione quasi sempre manuale. Capita in Liguria, capita sull’Etna. E capita anche in Valtellina, dove il Nebbiolo ha saputo adattarsi al clima particolarissimo fino a trovare massima espressione con il nome Chiavennasca. Le guide parlano soprattutto dello Sfursat, sorta – semplificando – di Amarone della Valtellina, ma i vini migliori sono quelli che alla muscolatura preferiscono l’eleganza. Per esempio quelli della giovane azienda Dirupi. E più ancora la pioniera ArPePe. L’azienda è nata nel 1984: un’intuizione di Arturo Pelizzetti Perego, il cui lavoro è oggi proseguito – con analoga tradizione e ispirazione – dai figli. Rossi personali, di grande bevibilità e ancor più grande classe. Vigne di più di 50 anni, 70mila bottiglie prodotte. La cantina è scavata nella montagna alle porte di Sondrio. Le etichette sono molte, dalla sottozona Inferno a quella Grumello, ma le tre bottiglie più prodotte sono il “base” Rosso di Valtellina (30mila bottiglie), il Sassella Stella Retica (24mila) e il Rocce Rosse (18mila). Il base costa 15 euro in cantina ed è uno dei vini “quotidiani” più ispirati d’Italia. Si sale, di prezzo e complessità, con la Stella Retica (la Riserva più giovane) e con il Rocce Rosse, che migliora di anno in anno (anzi decennio). I vini di ArPePe sono i classici rossi che piacciono anche a chi di solito preferisce bere bianchi. Imperdibili. (Il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2015. Quattordicesimo numero della rubrica “Vini ostinati e contrari”. Ogni lunedì in edicola)

Vini ostinati e contrari: Pinot Grigio Princic

lunedì, Febbraio 9th, 2015

2015-02-09 13.07.34Trovare i suoi vini è molto difficile, perché ne produce pochi (attorno alle 35mila bottiglie l’anno) e perché il 90% lo vende all’estero: Giappone anzitutto, poi Francia. Gli appassionati, però, Dario Princic lo conoscono bene. Fa parte del gruppo Vini Veri ed è uno dei talenti della zona magica di Oslavia, sopra Gorizia e a due passi dal confine con la Slovenia: la terra di Gravner, di Radikon, di Podversic, de La Castellada. I bianchi, da quelle parti, si concepiscono macerati: a contatto con le bucce, come fossero rossi. C’è chi li fa in anfora (Gravner) e chi in tini aperti (Princic). Macerazioni tra i dieci giorni e il mese abbondante. Poi acciaio, botte grande e talora barrique (mai nuova). Princic produce Jakot (Tokaj al contrario), Ribolla Gialla (il più macerato), Pinot Grigio e il Trebez, un blend di Sauvignon, Chardonnay e Pinot Grigio. Ci sono anche due rossi, Merlot e Cabernet Sauvignon. Poi, sottotraccia, una “seconda linea” più bevibile e meno macerata per i mercati giapponesi e sloveni. La “prima linea” costa 20 euro in cantina, la seconda 10. Se la Ribolla Gialla paga il confronto con i mostri sacri (Gravner su tutti), spiccano per qualità il Jacot – uno dei migliori Tocai italiani – e ancor più il Pinot Grigio. Quest’ultimo è spiazzante: abituati come siamo ai Pinot Grigio industriali, tanto giallini quanto asettici, il Pinot Grigio di Princic si presenta come un rosato stravagante e di gran carattere: non per tutti i gusti, ma assai di pregio. (Il Fatto Quotidiano, 9 febbraio 2015. Tredicesimo numero della rubrica “Vini ostinati e contrari”. Ogni lunedì in edicola)

Vini ostinati e contrari: Castelcerino Filippi

lunedì, Febbraio 2nd, 2015

soaveIl Drugo non è solo un’invenzione cinematografica dei fratelli Coen, ma anche uno dei più ispirati produttori di Soave. Un vino prodotto troppo (5 milioni di bottiglie), ma a volte prodotto bene. I vigneti di Filippi, la cui somiglianza con il protagonista de Il grande Lebowski è spiccata tanto nel look quanto nell’indolenza, sembrano fuori dal tempo: immersi nei boschi, miracolosamente intatti. Lui è persona schiva, di gran cuore e talento autentico. Produce 50mila bottiglie l’anno che potrebbero essere 80mila, se solo lui volesse essere più “furbo”. La tenuta, del Trecento, apparteneva ai nobili fiorentini Alberti. I cru sono tre: Castelcerino, Monteseroni, Vigna della Brà. I terreni variano da calcareo-sabbioso a vulcanico-argilloso. La zona è appena fuori da quella del Soave Classico e non distante dalla Valpolicella. Le vigne, 400 metri sul livello del mare, hanno più di 50 anni. Filippo lavora nel mondo del vino dal 1992. Produce in proprio dal 2003, prima con il fratello e poi da solo. Fa parte dell’associazione VinNatur, ma era e resta un anarchico buono. Naturalista ma non estremista, in cantina ti parla dei vini senza tirarsela troppo ed è consigliata la degustazione direttamente dai serbatoi. All’interno della sua piccola galassia delle meraviglie contadine, merita un plauso particolare il Soave Castelcerino. Garganega in purezza. Teoricamente il vino “base”, ha un rapporto qualità/prezzo raro. Grande beva e sapidità a fiumi. Uno spicchio di Veneto che non intende tradire se stesso (Il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2015. Dodicesimo numero della rubrica “Vini ostinati e contrari”. Ogni lunedì in edicola)