Lini Oreste e Figli

Ho scoperto molte etichette dopo Elogio dell’invecchiamento. Il senso del capitolo sui vini outtake è anche questo: la dimostrazione di una ricerca continua. Il tributo a bottiglie non abbastanza note.
Si sa (credo) quanto io ami i Lambrusco. Una delle ultime folgorazioni è stata Lini. Un’azienda storica, che festeggia quest’anno il centenario, poco fuori Correggio. A Canolo, per l’esattezza. Sulla vecchia strada (“Vecchia Canolo”, non a caso). Ci sono stato una prima volta nel settembre scorso, mentre scrivevo Il vino degli altri.
Ero diretto a Cologno Monzese, dovevo parlare con Don Brachino (ahhhhhh) e Barbara D’Urso (ehhhhhhh) per una mia comparsata a Domenica Cinque (uhhhhhhhhhhh). La mia depressione era tale che dovevo far media con qualcosa di positivo. Per quello passai da Lini, senza dire chi fossi o cose simili.
Un’azienda deve essere gentile con te a prescindere di quanto tu sia o non sia noto. Furono gentili.
Sono tornato da Lini giovedì scorso, rispettando un invito di Alicia Lini (foto). Ero reduce dalla serata-evento alla Compagnia del Taglio, protrattasi fino alle 3 e mezzo di notte tra vini e libagioni. Non ero esattamente il ritratto migliore di me stesso. Ciò nonostante, e non per merito mio, è stato un pranzo meraviglioso.
Delle visite in aziende, più della cantina in sé (che può essere noiosissima), mi piace osservare i volti dei vignerons. Ascoltare le loro storie. Ogni produttore di talento ha tratti unici che si ripercuotono nei suoi vini. Ho riscontrato questo aspetto “simbionte” anche in Lini.
Il Lambrusco Reggiano è più cremoso e corposo di quello Modenese. Dipende dalla tradizione e dai diversi tipi di Lambrusco (Sorbara nel Modenese, anzitutto Salamino nel Reggiano). Questa tendenza a fare Lambrusco “cappuccinati” trova massimo sfogo in alcune zone (non tutte) del Parmense, puntualmente celebrate dal Profetta della Fruttuosità Luca “Logisma” Maroni.
Trovare Lambrusco Reggiani eleganti, oltre che rossissimi, non è facile. Lini è un buon approdo. Uno dei migliori. Se declinare il Sorbara a Metodo Classico è prassi quasi comune di alcune aziende modenesi (Bellei, Cavicchioli, Chiarli, Fiorini), non così è per il Reggiano. Lini opera a pochi passi dal confine con Modena e può quindi disporre di uve con giusta acidità e sapidità. Da qui l’idea, abbastanza eretica, di fare Metodo Classico con Lambrusco Salamino.
La loro cantina sembra uno scherzo champagnista in terra d’Emilia. Il plotone di Metodo Classico, sui 15 euro a bottiglia, contempla un Rosso che nasce proprio da uve Salamino. Lo trovo uno degli azzardi reggiani più eleganti e riusciti, persino più affascinante dei pur buoni Metodo Classico Bianco e Rosè. Questi ultimi vengono da uve Pinot Nero. Qua il vitigno-Kiarostami non può avere la complessità della Montagna di Reims o la matrice boschiva di certe enclavi nell’Alto Adige. E’ un Pinot Nero – dall’Oltrepo’ Pavese – più esile, onestissimo nel suo perlage e con una finezza accattivante.
Da amante del Lambrusco, trovo però che la cartina al tornasole di queste aziende siano i loro vini frizzanti. Il Lambrusco propriamente detto: quello “vero”, per intendersi. Non il Metodo Classico estetizzante, ma quello di cui parla anche Luciano Ligabue (che non per nulla è di Correggio e adora Lini). In questo senso, se voglio bere Reggiano, uno dei miei approdi sicuri è l’accoppiata Lambrusco Scuro + Lambrusco Rosè. Bottiglie da 6-7 euro fatte con tutti i crismi, riuscitissime.
Della giornata di giovedì, ho quindi un bel ricordo. Per la qualità dei prodotti, per la bellezza anche architettonica dell’acetaia (l’azienda produce Aceti Balsamici Tradizionali sontuosi), per la bontà del pranzo in sé a base di pesce crudo. Per la gentilezza della famiglia Lini (responsabile anche dei vini della cantina di Quistello, di cui parlo in Elogio). Per la dicotomia tra “vecchia” e “nuova” generazione, la prima più rigorosa e meno attenta al marketing, la seconda (comprensibilmente) interessata anche a conquistare il consenso di guide e giurati (inutile dire che, da buon 36enne snob e rigoroso, sono più vicino al primo approccio).
Un’ultima considerazione. Durante il pranzo ho avuto modo di bere bottiglie di Metodo Classico Bianco appena sboccato e senza ancora l’aggiunta di sciroppo di dosaggio. Dei veri e propri Lini “pas dosè”. L’azienda non ha ancora voglia di metterle sul mercato, nemmeno in piccole quantità. Commercialmente posso capirlo, ma è un peccato. Il Millesimato 2005, in particolare, era un gioiellino. Io ci farei più di un pensiero.

Tags:

22 Responses to “Lini Oreste e Figli”

  1. daniele ha detto:

    Per continuare il viaggio negli outtake e a proposito di vignerons veramente particolari:
    Azienda agricola Strade Vigne del Sole, Grottaferrata vicino Roma
    Varrone 2004 da uve Sangiovese nobile e Tor de passeri
    Rosso Vittoria 100% Tor de passeri
    Albarosa 100% Albarosa
    e tanti altri con vitigni quali Usignola, Chiapparone, Malvasia rossa, Malvasia Albana ecc…
    Chiacchierare col grande vecchio Antonio Cugini (e leggere il suo libro) è stata una bellissima esperienza…

  2. gianmarco ha detto:

    bè ho provato il rosso e il rosato metodo classico e non mi sono dispiaciuti, ma a differenza tua continuo ad avere una certa idiosincrasia per il lambrusco e anche per lo bollicine in generale (nel secondo caso, anche per il costo eccessivo di champagne e franciacorta). ne approfitto per segnalarti due outtakes che non piacerebbero al nostro caro parker né al profeta del logisma: l’aleatico secco che il mio omonimo gianmarco antonuzi fa a gradoli (vt), da vigneti condotti senza chimica e cantina senza tracce di solforosa (ma fa anche un buon bianco macerato sulle bucce e un rosso da greghetto, clone di sangiovese; l’azienda si chiama “le coste”); il ciliegiolo in purezza dei ventimiglia (azienda “sassotondo”, maremma toscana, tra sovana e pitigliano), una vera bontà che non vede legno di alcun genere, euro 8,50 in cantina

  3. Massimo Barbolini ha detto:

    Sui pas dose’ li capisco benissimo. Le nostre non sono zone adatte ad un prodotto del genere. Lini, se non sbaglio, produceva anche il Grand Prix spumante molto in voga negli anni 70/80..

  4. antonio ha detto:

    Concordo in pieno!!Il lambrusco è un gran vino soprattutto se dietro c’è un grande/piccolo vigneron.Lini è un’azienda attenta che ha rispetto per il territorio e per noi consumatori finali.
    Qualche mese fa sono rimasto folgorato dalla giovane azienda agricola Quarticello di Montecchio (Reggio Emilia) fa 2 lambruschi frizzanti secchi:Barbacane e Rivellino il primo beverino, il secondo decisamente complesso!!

  5. Valentina ha detto:

    ho sempre preferito qli modenesi, però sono aperta ai cambiamenti, poi se dici che hanno ben preservato la cantina con un restauro attento già mi stanno simpatici, spesso purtroppo i vinai fanno minchiate architettoniche, in realtà la tipologia edilizia della cantina ha dato luogo in altri paesi a risultati mirabili negli ultimi anni. Oddio mi sono messa a parlare di architettura e vi faccio addormentare!

  6. Andrea Scanzi ha detto:

    Il Lambrusco Modenese è più elegante e meno colorato, più fresco: dipende dall’uva Sorbara. Il Reggiano è più colorato e cremoso. Lini fa un Reggiano che non tradisce la sua natura ma che (anche per motivi geografici) ambisce alla eleganza del modenese. E in più fa il Salamino come Metodo Classico. Ottima azienda.

  7. Gando ha detto:

    Analisi perfetta.

  8. Marco ha detto:

    Andrea, se ripassi dal reggiano puoi passarmi a trovare, io faccio finta di non conoscerti ma ti tratto bene! eheh!
    (ti offro una quadrupel belga, così vari un po’)

  9. gian paolo ha detto:

    Ciao ,mi permetto di dissentire su quanto detto sui modenesi privi di colore…forse dipende dalla zona;il Grasparossa non è certo un vitigno privo di colore,magari la zona di Sorbara per ovvi motivi risulta quella più “chiara”,il Salamino di Santa Croce-Carpi -Modena- è anche questo ricco di colore, e poi dipende da quanta ancellotta ci finisce dentro e dal tipo di vinificazione.Come si capisce sono di parte giallo blu :):) anche se negli ultimi anni ho sempre riconosciuto ai cugini “quadratini”-leggi sponda reggiana amichevolmente- una più frizzante iniziativa enologica.
    Se posso una domanda ,parli di pinot nero in Correggio???dove viene coltivato?non siamo proprio una zona molto vocata per quel cornutone/stupendo vitigno che è il P.Nero.Ciao Gian Paolo

  10. Andrea Scanzi ha detto:

    Gian Paolo, quando penso a Modena penso al Sorbara. Per me il Lambrusco di Modena è quello. Poi è verissimo, il Grasparossa, fruttato e morbido, è colorato. Come pure il Salamino, che però ritengo più reggiano che modenese (infatti nel modenese è proprio al confino, tipo Carpi, non distante dalla Correggio di Lini).
    Peraltro ho degustato ottimi Grasparossa, ad esempio quello di Casali Viticoltori. Hai fatto bene a specificare. 😉

  11. Nic Marsèl ha detto:

    Andrea dici che : “Delle visite in aziende, più della cantina in sé, mi piace osservare i volti dei vignerons”. A costo di passare per maschilista : “ettecredo!”

  12. Andrea Scanzi ha detto:

    🙂 Nic. Capisco cosa vuoi dire, ma non è che tutti i vignerons hanno i volti di Giulia Cavalleri o Cinzia Campolmi. Intendevo solo dire che mi piace ascoltare le loro storie e osservare i segni sul loro volto, più della messa cantata su barrique, vetroresina, tonneuax, etc. Tutte cose interessanti, siamo d’accordo, ma se anche non mi racconti la temperatura esatta della fermentazione controllata o la famiglia dei lieviti indigeni, io sto bene lo stesso. 🙂

  13. Gregorio ha detto:

    ciao
    ho letto il tuo libro qualche settimana fa! complimenti, mi è piaciuto molto! volevo dirti di un vino outtake, magari ne sei già a conoscenza: il Pusterla.
    Ho provato giusto adesso a scrivere pusterla su google…ecco, non è vinipusterla.it, puoi trovare qualcosa scrivendo “pusterla brescia”.
    A Brescia c’è il castello, sotto questo castello c’è un vigneto, che a quanto pare è il vigneto urbano più grande al mondo (sono circa 4 ettari), alla faccia di quello di Montmatre. Questo è di proprietà di una vecchia famiglia bresciana, i Capretti se non sbaglio. Fino a una decina di anni fa era mezzo abbandonato; qualche azienda ci aveva messo l’occhio, ma alla fine questi Capretti hanno deciso di darlo in affitto a mio papà (agronomo) e un suo amico enologo (Piero Bonomi, lavorava per Bellavista, ora credo a Petra) che erano intenzionati a valorizzare e a fare conoscere questo vigneto. Il vitigno principale nel vigneto è l’Invernenga, una vecchia varietà a bacca bianca autoctona bresciana. Il suo nome viene dal fatto che grazie alla buccia molto spessa arriva a maturazione molto tardi, a fine ottobre. In seguito veniva posta su dei graticci e fatta appassire per poi reidratarla e mangiarla fino a natale. Le viti, tra l’altro, sono quasi centenarie: sono davvero enormi e con tralci lunghissimi.
    Il vino prodotto è il Pusterla (dal nome del vigneto), bianco 100% Invernenga. Se ne producono circa 10000 bottiglie, molto interessante, anche per quanto riguarda l’invecchiamento (abbiamo aperto una bottiglia del ’96, la prima annata, quasi 15 anni e non li dimostrava). L’obbiettivo era quello di fare conoscere questo vigneto più unico che raro e negli ultimi anni Slow Food ha cominciato ad interessarsene. Rimane comunque ancora un vino outtake, sconosciuto persino alla maggior parte dei bresciani. Secondo me sarebbe bello che fosse lo stesso comune ad interessasrsene e a valorizzarlo come patrimonio della città.
    Spero di averti incuriosito e/o dato qualche nuova informazione.
    Se ti interessa assaggiarlo lo vendono all’enoteca “ai ronchi” a brescia (mi pare costi sugli 8-10 euro) sennò se sei di passaggio ad Asti io sono li a seguire i corsi della specialistica in viticoltura ed enologia con degli amici, se ti capita e hai voglia, possiamo farci una bevuta in compagnia. Sennò ancora, io abito in Franciacorta, a Rovato.
    Fatti sentire!

  14. Michele ha detto:

    Ciao Andrea,
    sono Michele un tuo fan modenese, ti volevo segnalare una tipologia
    di vino di cui non ti ho mai sentito parlare e che vorrei segnalarti in quanto
    mi sta particolarmente a cuore per la capacità di invecchiare a lungo.
    Il vino è il lugana una piccola doc che unisce pochi paesi del lago di garda
    delle province di brescia(desenzano,pozzolengo, sirmione) e verona(peschiera
    del garda), il vitigno è il trebbiano di lugana chiamato turbiana, si dice che
    sia parente streto del verdicchio, la peculiarità del terroir è lo strato di
    argilla che dona ai vini una sapidità, salinità e acidità che gli garantiscono
    una lunghissima vita, incredibile come dei lugana di 10 anni siano
    sorprendentemente in piena forma quasi come dei borgogna bianchi.
    Dopo aver assaggiato praticamente tutte le cantine della doc, la mia cantina
    del cuore che ti segnalo è ca lojera di rovizza di sirmione(p.s. la sua riserva
    che si chiama riserva del lupo nell’ultima guida dell’espresso,sempre di più la
    mia favorita dopo la recente spazzatura del g.r, è stato premiato come miglior
    lugana dell’anno) in quanto è la più autentica e fedele interprete della
    denominazione, vinifiacno solo uve loro e praticano un’agricoltura di basso
    impatto chimico.Inoltre visto che anche tu cerchi la poesia nelle storie dei
    vigneron, i coniugi Tiraboschi oggi entrambi sopra i 70 annni hanno iniziato a
    vinificare in proprio circa 13 anni fa, una volta andati in pensione..!!!E oggi
    la signora Ambra accoglie i visitatori oltre che con un grande sorriso anche
    con tanto orgoglio e amore per i loro vini.Tra l’altro hanno un bellissimo
    agriturismo in cantina dove a 20/25 si mangia divinamente e si bevono i loro
    vini con la presenza del signor Franco che spesso e volentieri viene al tavolo
    a bere e a commentare il vino.
    A parte la poesia i vini sono davvero fantastici e a prezzi onestissimi(6,50
    lugana base d’annata, il 2009 è spettacolare per beva,acidità e frutto,

    9,00 il superiore che è l’unico che fa botte grande, in questo momento il 2001
    è al top per

    mineralità e poi il 2004)

    la riserva del lupo solo acciaio nel millesimo 2006 è commovente tanto è buona
    e il 2003 è

    considerata il miglior lugana mai prodotto da sempre dal bravissimo Angelo
    Peretti(blog internet gourmet)
    In vendita troverai tutte le annate dal 1999 in poi per fare le verticali
    sempre allo stesso prezzo dell’ultima annata in commercio!!!
    Scusami Andrea per la lunghezza e spero di averti fatto una segnalazione
    gradita e sarei felicissimo un giorno magari di leggere proprio una tua
    recensione su un buon lugana capace si sfidare gli anni.
    Ciao
    Michele

  15. Claudio ha detto:

    Fu proprio una bottiglia di Lini, qualche anno fa, a farmi riscoprire il “vero” Lambrusco…di lì a poco in occasione di una viaggio a Bologna feci una deviazione nel modenese solo ed esclusivamente per visitare Bellei ed assaggiare il loro Metodo Classico Rosso. Devo però dire che anch’io continuo a preferire il Lambrusco tradizionale rispetto a quello rifermentato in bottiglia, se fatto bene è veramente una delle bevute più goduriose e versatili a tavola. A proposito di Lambruschi, Andrea: che ne pensi di quelli di Ceci? io credo siano forse un pò “taroccati” e morbidoni ma l’Otello Nero si fa bere in un amen!

    PS quoto in pieno chi ha citato Strade Vigne del Sole e Le Coste come vini outtake, forse le migliori realtà del Lazio!

  16. Luca Lopardo ha detto:

    Ho scoperto, con sommo giubilo, che anche in Friuli esistono vini outtake addirittura da “applausi”. A Duino (luogo caro al Rilke), per la precisione. Andrò a provare tal meraviglia. P.S. Grazie a te, ho appreso dell’esistenza di Giulio Casale. Davvero interessante.

  17. Andrea Scanzi ha detto:

    Caro Luca, grazie una volta di più per la tua presenza (nonostante la distanza inaccettabile) a Modena. Davvero. Quanto a Giulio, è un fratello gaberiano, che vedo meno di quanto vorrei.

  18. Luca Lopardo ha detto:

    Ah, figurati, mi sono divertito parecchio. Ci ho guadagnato. A proposito, sul mio blog (se hai tempo da buttare) trovi il resoconto della giornata (si sprecano gli elogi, ovviamente), oltre all’analisi obiettiva dell’oscenità palesatasi ieri sera a Cape Town. Ciao e grazie:)

  19. mic ha detto:

    se quello di Ceci è lambrusco io sono Capezzone

  20. Claudio ha detto:

    @mic

    ahah in parte condivido, effettivamente i lambruschi di Ceci sono molto poco lambruschi ma ognuno ha le sue debolezze…il mio Lambrusco preferito è quello di Camillo Donati però se mi offrono un Otello Nero, lo butto giù volentieri, che devo fà?

  21. Dante ha detto:

    Se parla con i sardi il capichera e la loro bandiera più dei cannonau. Purtroppo il vino Si’ e un Po internazionalizzato nel gusto. Non e quello anche di 5-6 anni fa. Il test comunque va fatto sulla vendemmia tardiva, certamente più curata e di maggior pregio ( purtroppo anche di costo). Io personalmente il base non lo compro più ( ma me lo regalano e lo bevo). Salutissimi. Io sono un bevitore champagne, amo il vino buono ma Si’ deve presentate bene. Se vuole altri outtakes oltre alle migliaia che avrà ricevuto le mando due- tre chicche.

  22. Della ha detto:

    L’ho bevuto proprio ieri sera un lambrusco rosso di Lini. Ottima impressione davvero. Confermo la “cremosità” del vino e soprattutto il corpo. Per essere un lambrusco frizzante direi che era anche quasi morbido.. Gustoso!
    E che dire del perfetto abbinamento: insalatone tonno e cipolla, caprese, proscutto e melone….(esatto non centra proprio una mazza, ma sapete, era una cena sportivo-goliardica e non si è proprio badato a questo aspetto. E stanotte ci ho messo un pò a vincere la battaglia con la cipolla di Tropea… 😉 )

Leave a Reply