Nelle ultime settimane, tra un luogo e l’altro, ho provato alcuni vini. Anche bollicine: spumanti e frizzanti, Metodo Classico e più raramente Charmat. Al Palazzaccio di Castelbuono (Palermo) ho degustato il Murgo Brut, Tenuta San Michele. Un Brut bianco da uve nere, peraltro non certo note per la spumantizzazione: l’uva è infatti il Nerello Mascalese, ritenuto in qualche modo “il Pinot Nero dell’Etna”. E (quasi) come il Pinot Nero, il Nerello Mascalese così declinato si rivela piacevole e sorprendente. Nei giorni scorsi, presso la amata Enoteca La Torre di Mosciano Sant’Angelo (Teramo), ho assaggiato il Blanc de Noirs Extra Brut Franciacorta di Sullali. Mi ha convinto: Pinot Noir in purezza, non proprio una tipologia frequentissima in Franciacorta, eppure è un Extra Brut pienamente riuscito. Sullali è la piccola azienda (Erbusco) di Jessica e Dario Vezzoli, figli del più noto Giuseppe. Bene anche il “solito” Brut di Haderburg, che alcuni amici mi avevano detto essere in calo negli ultimi anni: a me non è parso. Meno convincente l‘Extra Brut Ribolla Gialla di Puiatti: gran vitigno, ma declinato in versione spumantizzata non mi fa mai impazzire. Si è rivelato piacevole e la bottiglia è finita con facilità, sempre buon segno, ma l’ho trovato peccare un po’ in carattere, eleganza e lunghezza.
Qualche sera fa, a casa, ho poi assaggiato la Malvasia di Camillo Donati, un frizzante (poco) che amo soprattutto d’estate e che ha un rapporto qualità/prezzo invidiabile: Malvasia aromatica di Candia in purezza secca, personale e dalla bevibilità spiccata. Poi un azzardo: Bubbly, azienda Les Briseau Nana Vins (Loira). I loro Chenin Blanc sono di pregio. Il Bubbly è un frizzante naturale rosé da uve Cinsaul, vitigno di Corsica e Languedoc non proprio nobilissimo, dalle alte rese, adatto appunto alla vinificazione rosé e presente in Italia con il nome di Ottavianello. Da provare, ma non mi ha convinto appieno. I profumi sono schietti e ammiccanti, fiori e frutti rossi, più fragola che lampone (più Brachetto che Lambrusco, giusto per scomodare vini diversissimi ma in qualche modo analoghi nei sentori). Al gusto è a mio avviso indebolito da un finale “dolcino” che non ne agevola granché la beva, comunque – in ultima istanza – piacevole.
Menzione finale per Zero Infinito, provato di recente al Papposileno, l’encomiabile ristorante di Cavriglia. La loro carta dei vini è molto incline ai naturali e anche per questo è uno dei miei ristoranti preferiti nella provincia di Arezzo. Zero Infinito è uscito da poco ed è prodotto da Pojer e Sandri. E’ un rifermentato in bottiglia trentino da una delle poche uve – ibride – resistenti a iodio e peronospora nella zona della Val di Cembra, la Solaris. I vigneti di bosco, via via riconvertiti a vigneto, arrivano fino a 900 metri. E’ una zona – comune di Grumes, al confine con l’Alto Adige – che Pojer e Sandri vorrebbero recuperare e restituire alla tradizione vitivinicola. Da qui anni di sperimentazioni di cui Zero Infinito è il primo risultato. Nome e bozza di etichetta sono di Francesco Arrigoni, il giornalista del Corriere della Sera precocemente scomparso. E’ un rifermentato in bottiglia, un ancestrale. Due atmosfere e mezzo. Per certi versi ricorda i Prosecco Colfondo, però alla vista è più pulito e ha più bollicine. Al naso è appagante ma non fino in fondo: bella beva, ma finale morbido e “dolcino” che cozza con l’effetto limonato. Non appena la temperatura della bottiglia si alza, il vino (fatalmente) perde ancora un po’ in bevibilità. Buone freschezza e sapidità. Non troppo spiccata l’originalità. Luci e ombre, per un progetto nobile e apprezzabile ma non ancora centrato appieno.