Cesanese del Piglio

Venerdì scorso ho presentato Il vino degli altri a Frosinone, presso il Caffè Ithaca. Con me c’era il musicista Sergio Marazzi. Una bella serata, cominciata con una cena all’ottima Enoteca Celani.
In rete c’è qualche resoconto dell’evento, che ha raccolto molte persone. Era la mia prima presentazione post-cena. A giudicare dall’esito finale, andrà senz’altro rifatta.
E’ stata anche l’occasione per visitare una zona, la Ciociaria, che non conosco bene. Alcuni luoghi, come Fumone, mi hanno colpito molto.
Da un punto di vista enologico, è la zona dell’unica Docg laziale, nata nel 2008, quella del Cesanese del Piglio. Un po’ durante la cena e un po’ a casa, grazie ai campioni che mi sono stati spediti dalla Strada del Cesanese, ho avuto modo di conoscere meglio una tipologia di cui nel libro parlo appena (riuscendo peraltro a mettere un refuso nell’unico Cesanese citato: bravo Scanzi).
Il Cesanese d’Affile dà vita alla Doc ominima, al Cesanese d’Olevano Romano (per alcuni il più rustico, per altri il più vero) e alla Docg Cesanese del Piglio.
Il livello medio è buono. E’ un vino che per troppi anni è stato vittima di una concezione massale e quantitativa (leggi: vino sfuso). Ancora oggi trovo che alcune aziende gestiscano male il legno piccolo e, in generale, mi pare che l’alcolicità sia alta. Il pur buono Hernicus 2008 di Coletti Conti, per dire, va sui 16 gradi. Troppo caldo? Uve surmature? Tendenza al vino iper-concentrato? Boh.
Il Cesanese d’Affile, più nobile del Cesanese comune (il famoso e famigerato rosso dei Castelli Romani), può vantare almeno una decina di aziende quotate. La Docg fissa una presenza del vitigno in almeno il 90 percento. Il rapporto qualità/prezzo è molto buono. Due esempi. Il Velobra 2008 di Giovanni Terenzi, nella Guida Espresso, ha preso 17/20 e non costa più di 8/9 euro. Meglio ancora il Tenuta della Ioria 2008, 18/20 e stesso prezzo in enoteca. Anche per questo è una Docg da seguire con attenzione.
Il vitigno ha tannini importanti, anche per questo ha (tuttora?) la nomea di rosso poco elegante. In realtà dipende molto da come lo si traduce dalla vigna in cantina. Alcuni produttori vorrebbero vederci punti di contatto con il Pinot Nero, a me pare che invece certi Cesanese tendano più a rodaneggiare che a borgogneggiare.
L’acidità, quando non sepolta dal rovere, è apprezzabile e mitiga l’alcolicità troppo spesso esuberante. Canonizzare il profumo del vitigno è discutibile oltre che difficile, tuttavia si nota spesso una speziatura dolce, frutto rosso maturo, finale amaricante (tipo cacao amaro) e una evidente natura ematica e ferrosa.
In base ai vini da me provati, il Cesanese del Piglio “classico” più riuscito è il già citato Tenuta della Ioria di Casale della Ioria. Tipico vino da Tre Bicchieri, ma in senso buono. Non ho provato il Romanico di Coletti Conti, mentre il base Hernicus è pregevole nonostante i 16 gradi dell’annata 2008.
Su ottimi livelli Velobra e Colle Forma di Giovanni Terenzi, i Cesanesi più animali ed ematici: sembra davvero di avere a che fare con emoglobina e fegato (descritti così sembrano vini terrificanti, me ne rendo conto, ma l’intento è opposto). Significativa anche la sapidità.
Bene, seppure appena dietro le tre aziende sin qui citate, il Casal San Marco di Mario Terenzi (il Cesanese citato nel libro tra i vini outtake), l‘Agape di Petrucca & Vela, il Terre del Cesanese Colli Vignali (niente male davvero) e il Vigne Nuove di Massimo Berucci. In quest’ultima bottiglia e nel Santa Felicita di Cantina Martini, entrambe Superiori 2008, l’alcol è però davvero eccessivo (rispettivamente 16.5 e 16.2). A conferma di una tipologia che non deve cedere alle lusinghe del marmellatone, o dell’Amarone alla Laziale.
La bottiglia di Seronero Rapillo era difettosa. Non ho ancora avuto modo di provare altre aziende importanti come Colletonno, Manfredi Opificio e Giuliani.
Se poi cercate un Cesanese del Piglio meno educato e convenzionale, la bottiglia più invitante è la Priore de La Visciola, un’azienda neonata che lavora in biodinamica. Il Cesanese con più personalità, anche se non per tutti i gusti (la solita storia, sì). De La Visciola ho apprezzato anche il Donna Rosa, una Passerina del Frusinate di carattere. Venti euro il rosso, un po’ meno di 15 il bianco. Da provare.

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13 Responses to “Cesanese del Piglio”

  1. F. ha detto:

    Grazie per la bella e interessante serata di ieri a Frosinone. Spero di incontrarti qui nel mio comune per una nuova conferenza a tema, visto che ti ha contattato l’assessore alla cultura Brigida Fraioli alla quale mi lega una grande amicizia. Per concludere, ritornando sul tema di ieri, mi diresti a quale vino accosteresti il Berlusca? Io personalmente a quello con cui si condisce l’insalata. Uu abbraccio e a presto

  2. Valentina ha detto:

    Frosinone e soprattutto Valentina ringraziano per la piacevole serata.
    Che fossi un bel personaggio non è una novità per nessuno ma che fossi anche così gradevole da ascoltare (oltre che da vedere ) , così sensibile e anche un pochino timido non me lo aspettavo.
    Una “piacevole” scoperta anche questa.
    Da oggi potrò dire di Andrea Scanzi che è una bella persona dentro e fuori……….direi una rarità …ihihihihi …….ciao ciao

    PS verrò senz’altro a vedere il tuo spettacolo se farà tappa anche a Roma.

  3. Terry ha detto:

    grazie ancora per la tua presenza in terra ciociara e per la tua simpatia …
    a presto.

  4. Laura ha detto:

    Peccato non esserci stata. E allora vi lascio la mia recensione su “La Provincia”. Soprattutto per Andrea Scanzi: libro fichissimo.

    di Laura collinoli
    I libri sui vini non sono noiosi. Non tutti almeno. In realtà ho sempre pensato che lo foss…ero. Come la maggior parte dei lettori che si diletta a sfogliare pagine di volumi in cui la lista dei nettari si mischia con un elenco troppo lungo di aggettivi. Fruttato, profumato, aromatico, aspro, asciutto, frizzante, secco, acido, invecchiato, maturo. Ah, c’è pure strutturato, che nella lingua italiana vuol dire organizzato o sistemato, ma nel linguaggio di chi si intende di vini inspiegabilmente significa profondo, corposo, importante. Giusto per aggiungere altri aggettivi.
    Ecco! Ora immaginate un lettore qualsiasi che per caso inizia a sfogliare uno di questi volumi. Così. Non perché sia un enologo o un appassionato di rossi e bianchi, ma semplicemente per il gusto di leggerlo.
    A quel punto non è che gli venga la fantasia di assaggiare qualche buon vino. Anzi. Ci si è talmente ‘strutturati’ che forse si passa alla più teutonica ‘bionda’, ché la birra è senz’altro meno intrisa di attributi.
    Il fatto, ahiloro (dei crucchi, intendiamoci…), è che il vino è cento volte più buono della birra. Alla faccia di chi preferisce l’Oktoberfest al Vinitaly. O, meglio ancora, a quei deliziosi appuntamenti in cui nettari divini si sposano con le più gustose meraviglie gastronomiche.
    Tornando alle letture, meno male che c’è anche qualche bel libro che non sia irrimediabilmente noioso. In qualche caso addirittura soporifero. Come dopo una sbornia.
    ‘Il vino degli altri’, di Andrea Scanzi, è proprio un bel libro. Scanzi sorride agli aggettivi. Il suo vino preferito? Uno “che non è buono se non è emaciato, sofferente e un po’ bruttino”.
    Un libro di quelli che si leggono senza poggiarlo mai sul comodino. Che verrà riposto in libreria giusto con poche poche ‘orecchie’, perché poche volte ci si è interrotti nella lettura. Il luogo comune direbbe tutto d’un fiato. In realtà è davvero così, ché i luoghi comuni spesso ci pigliano veramente.
    ‘Il vino degli altri’ è un viaggio. Scrive l’autore nel suo libro, edito Mondadori, “un viaggio alla scoperta dei migliori vini del mondo (e dei loro rivali italiani)”. Cosicché gli altri sta per nettari che non sono di casa nostra in una sfida con abbinamenti spesso coraggiosi e in un confronto tra Abruzzo, Sicilia, Toscana, Piemonte e strisce di Argentina, Francia, Spagna…
    La cosa bella è che Scanzi non si limita ad elencare la qualità dei nettari o i metodi di vinificazione così, tout court, ma racconta di queste terre, dei loro produttori, delle loro filosofie di vita. Perché no, anche di rivalità e piccole manie, che fanno di queste pagine un libro autentico e scritto con ironia e vivacità. Facendosi anche qualche risata, che non guasta mai. Frizzante insomma, giusto per rubare qualche aggettivo agli amanti ‘ufficiali’ del vino. Ché qui, di ‘ufficiale’ in questo senso, c’è un fantastico capitolo del “Bignami di un Consumatore Iconoclasta”. Sfrontato e spassoso.
    In qualche pagina c’è pure qualcosa di scomodo (con un presunto ‘magheggio’ nella produzione dei vini toscani) che probabilmente troverà altra sede rispetto alle più naturali librerie, e anche questo fa del libro un volume curioso.
    Assolutamente divertente il capitolo su ‘Le dieci cose che pensavo sul vino prima di questo libro’, in cui l’essere di parte (voluto, tra l’altro) emerge in maniera particolare. Insieme ad altri aneddoti a dire il vero.
    E allora si va dai vini francesi “troppo cari” (con qualche ripensamento nel finale) a quelli americani al gusto di vaniglia. Dalla disapprovazione dei nettari sudamericani – “I vini del Sudamerica costano poco. Giustamente” – all’esaltazione dei rossi italiani.
    E per chi non beve. “Gli astemi mi fanno paura”. Il più terribile – e sacrosanto – dei comandamenti.
    Da leggere. Tutto d’un fiato. Ecchisenefrega dei luoghi comuni.

    25/01/2011

  5. Claudio ha detto:

    Outtake tra gli outtake, ti consiglio un Cesanese di Olevano Romano, quindi DOC e non DOCG: il Silene di Damiano Ciolli, serio produttore che imbottiglia solo due etichette, entrambe di cesanese (l’altra è il Cirsium che fa legno, mentre il Silene passa solo in acciaio). Sono vini schietti, che ogni annata cambiano, come filosofia e come stile è simile a quella de La Visciola anche se forse sono un pò ruvidi. Ed in generale tutta la DOC Olevano Romano è in crescita quasi quanto il Piglio.

  6. Matteo ha detto:

    ti posso segnalare questo articolo? sembra interessante:
    http://winereality.wordpress.com/2011/02/02/vino-biologico-e-biodinamico-in-giro-troppe-bufale/

    (ovviamente, se vuoi, cancella pure questo commento, non sapevo in che altro modo segnala…re l’articolo sulla tua bacheca)

  7. Corrado ha detto:

    a saperlo che eri lì…..

  8. Lara ha detto:

    Sono felice che finalmente che qualcuno riconosca il potenziale del Cesanese del Piglio, vino principe della mia terra! 🙂
    Io amo molto il Romanico (il cui produttore, Antonello Coletti Conti, è stato un mio appassionato insegnante all’AIS)… e come disegnatrice grafica ne apprezzo molto anche l’etichetta, che mi pare abbia vinto qualche premio per il suo valore estetico (è ispirata a un particolare della pavimentazione a commesso della cattedrale di Anagni). Quando tornerai da queste parti non perderti l’Abbazia di Casamari a Veroli: è il miglior esempio in Italia di arte cistercense (io sono spudoratamente di parte, ma prima di me lo diceva G. C. Argan! 😉

  9. Strada del Vino ha detto:

    Anche noi qui per ringraziarti di nuovo della bellissima serata in tua compagnia.
    Nonostante tu abbia voluto sottolineare la grandezza di alcuni importanti giornalisti di vino, trovo che la tua impressione di “cesanesi rodaneggianti”, non solo sia unica e vera, ma possa costituire anche una linea tracciata per la futura lingua da far parlare a questo vino. Ci mettiamo al lavoro subito…

    Ergo…non credete mai a Scanzi quando dice che di vino capisce abbastanza ma non troppo..è una tranello per azzeccare meglio i territori..

  10. marina ha detto:

    il buon Cesanese di Agape che scioglie i sensi, la voce calda di Sergio Marazzi che carezza l’anima, gli arguti pensieri di Andrea Scanzi che stimolano l’intelletto. Questa è stata Ithaca la sera del 28 gennaio. Quando “il vino degli altri” è diventato nostro

  11. Andrea Scanzi ha detto:

    Ringrazio tutti per le belle parole. Sono stato molto bene anch’io.
    Riguardo alle parole degli amici delle Strade del Vino Cesanese, ne faccio tesoro. Cercherò di esserne all’altezza.
    Stamani ho sensibilmente aggiornato il blog, dopo avere bevuto con amici altre due bottiglie di Cesanese del Piglio. Mi pare che gli unici due limiti possano essere da una parte una eccessiva convenzionalità (anche se nei casi migliori ho qui trovato piuttosto una felice tipicità) e dall’altra una gradazione alcolica davvero impegnativa. I Superiore 2008 viaggiano tutti sopra i 16 gradi e, nonostante l’acidità, non sono facili da bere.
    Trovo però che questa neonata Docg, e le Doc similari (Affile e Olevano Romano) siano da seguire con grande attenzione.
    Grazie ancora.

  12. buonsangue ha detto:

    Lietissimo di poter leggere qualcosa sul Cesanese, complimenti! Mi auguro di trovare qui in futuro qualcosa pure sul Burson, uva interessantissima di cui non si parla quasi mai e che, secondo me, puo dare risultati veramente notevoli!

  13. Daniele Coutandin ha detto:

    Ciao Andrea,
    Da quando mi hai fatto scoprire questo blog lo leggo sempre con molto interesse. Ho anche subito acquistato e letto quasi d’un fiato il tuo libro “il vino degli altri”, però….. mi manca il 1° “elogio all’invecchiamento” che non riesco più a trovare da nussuna parte. E’ in ristampa? o qualcuno mi può aiutare a trovarlo? Grazie
    mail: ramie.coutandin@alpimedia.it

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