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Rosso delle Donne 2005 – Conti

venerdì, Dicembre 17th, 2010

Mica è una brutta vita, quando si scrivono due libri sul vino che hanno successo. Capita che fai amicizie e persone fidate ti propongano bottiglie di pregio. Rare e stimolanti.
Ho parlato giorni fa di Barbara Brandoli, artefice di Divino Scrivere e Terre di vite. Devo a lei la scoperta del portentoso ‘A Vita di Francesco Maria De Franco, Cirò impeccabile, e di questo Rosso delle Donne. L’azienda è Conti – Cantine del Castello. Tre sorelle, che dopo esperienze diverse si sono fatte carico della tradizione familiare.
Siamo a Maggiora, nel Novarese. Terra di Nebbiolo difficile, nei corsi Ais ci insegnano a dire “ferrosi”, per questo ingentiliti con piccoli tagli di Vespolina e Bonarda Novarese (o Uva Rara).
La Docg di Novara è il Ghemme. Conti produce invece il Boca, una Doc non famosissima – ma di grande tradizione – dei comuni di Maggiora (appunto), Cavallirio, Prato Sesia e Grignasco.
Il Rosso delle Donne, con etichetta di Oreste Sabadin, è una Doc Boca. L’etichetta, nel ’96, ha sancito il passaggio dell’azienda alle tre sorelle. Il vino ha partecipato a Terre Di Vite, da qui la segnalazione (leggi: il regalo di una bottiglia) di Barbara Brandoli.
Ho bevuto quel vino la stessa sera del Cirò Calabrese di De Franco. Entrambi convinsero appieno i presenti e molti di loro hanno preferito proprio il Rosso delle Donne.
Si tratta ovviamente di tipologie molto diverse, sia per annata (2005 e 2008) che soprattutto per vitigno e propulsione evolutiva. Non è però un caso che il Rosso delle Donne abbia colpito maggiormente i palati meno smaliziati.  Il complimento migliore che gli si possa fare, ed è questo il caso, è quello di rappresentare al meglio il terreno da cui proviene. Un Nebbiolo novarese, da una zona non certo al primo posto nella playlist degli appassionati, che sa testimoniare il riuscito connubio tra uomo e natura.
Vino di bel corpo, profumi complessi che spaziano dalla frutta rossa matura (ma non passita) a speziature e sentori erbacei, con un piccolo ritorno di sottobosco (come parlo? Come parlo???? Devo smetterla di leggere Luca Maroni).
Al gusto ha struttura importante e buon allungo. Per i miei canoni, sempre più pauperisti, l’ho trovato – un po’ – in debito di freschezza ed eleganza. L’alcolicità si avverte decisamente. Ciò può inficiare, alla lunga, la piacevolezza della beva. Aggiungo che la bottiglia, annata 2005, andava attesa ulteriormente, sempre di Nebbiolo si tratta e non vanno aspettati soltanto i Barolo di Monforte.
Non conosco il prezzo del prodotto, ma sarei curioso del vostro punto di vista, perché si parla di un vino salvato quasi dalla dimenticanza e pienamente tipico. Non approcciatevi ad esso (?) con l’idea di paragonarlo a un Rinaldi o un Cappellano: è un’altra cosa. Un’altra storia.
In boc(c)a al lupo alle tre produttrici. Mi piacciono le persone che sanno sfidare e sfidarsi.