Panevino e il grande Gianfranco Manca

Aprile 11th, 2020

Schermata 2020-04-11 alle 13.16.18Sei anni fa mi sono concesso un viaggio in Sardegna in solitaria. Una notte l’ho passata a Nurri, entroterra sperduto e affascinante. E’ lì che opera uno dei viticoltori più talentuosi, rigorosi e colti che io conosca (e ne conosco tanti). Si chiama Gianfranco Manca e molti di voi lo conosceranno già. La sua azienda, Panevino, fa parte di Vini Veri. Durante quella giornata, piacevolissimo, ho avuto modo di conoscere Gianfranco e la sua splendida famiglia. Ci siamo visti anche anni fa per una cena in Langa, in compagnia di altri fenomeni veri (e amici autentici) come Ezio Cerruti e Paolo Veglio. Manca è uomo senza mediazioni, per certi versi spietato e brutale (anche con se stesso). Sei anni fa ebbi modo dii scoprire la sua terra. La sua cantina. La sua filosofia. Ne rimasi molto colpito.
Sono un bianchista e non amo i rossi con gradazioni monstre, dunque a prima vista non sarei adattissimo ai rossi sardi. Invece quelli di Manca, che hanno l’unico difetto di essere difficili da reperire perché ne fa pochi, li adoro. Li amo proprio.
Era da un po’ che non mi capitava di ricomprarli. Poi ho scoperto che, nel catalogo di Proposta Vini, troneggiavano due suoi rossi. Li ho provati subito. Ogni annata cambia nome e blend, quindi ogni annata si aprono mondi (ed etichette) nuovi. I vini in oggetto erano l‘Axina ‘e’ Ixinau e lo Shugusucci. Il secondo vuol dire “Succo Secco” e racconta l’arida annata 2017. Quindici gradi, ma mitigati dalla consueta acidità e mineralità che è una delle cifre di Gianfranco. L’Axina è invece il coronamento di un sogno che Manca mi raccontò nel 2014: salvare i terreni attorno ai suoi, convincendo i vicini a non espiantare le vigne per usare le terre come pascoli. Deve averne convinti non pochi, perché quel vino è il frutto delle uve conferite dai vicini a Manca. Anche qui 15 gradi, anche qui un blend di uve autoctone non dichiarate (in via teorica sarebbero “vini da tavola”).
Ricordavo Gianfranco Manca come un sognatore dal talento raro. Lo è rimasto. Viva!

Crocizia

Aprile 10th, 2020

Schermata 2020-04-10 alle 12.28.26Ho sempre amato l’azienda parmense Crocizia. In particolare, c’è stato un periodo in cui adoravo bere la loro Besiosa. Una Malvasia di Candia aromatica in purezza.
Ho ritrovato Crocizia grazie a Glu Glu Wine. La Besiosa non c’era, così ho provato due rossi dell’azienda: lo S’cètt, Barbera e Croatina, e il Marc’Aurelio, Lambrusco Maestri in purezza. Vini pienamente riusciti. I rossi frizzanti naturali emiliani si possono – semplificando assai – dividere in due categorie. Quelli fortemente “animali” e un po’ selvatici, e quelli più garbati. Tra i primi, i miei preferiti sono senza dubbio Angol d’Amig, Graziano e Caleffi (che è Cremona, quindi Lombardia, ma la tipologia è quella). Tra i secondi, annovero per esempio Croci e Camillo Donati. Quest’ultimo, non distante anche geograficamente da Crocizia, è (al netto della innegabile personalità delle due aziende) il rimando più efficace per far capire lo stile di Crocizia a chi non si è ancora imbattuto nei loro vini.
E’ un’azienda rutilante e vulcanica, che produce molte etichette (anche il sidro di mele!). Una garanzia.

Le Regone Ven Negar – Caleffi

Aprile 9th, 2020

Schermata 2020-04-09 alle 17.37.15Ho appena bevuto un Lambrusco animale & splendido. 60% Ancellotta, 30% Lambrusco Viadanese, 10% Lambrusco Salamino. L’ho scoperto per caso tramite Proposta Vini e ne sono rimasto davvero colpito. Si chiama Vin Negar e l’azienda è Caleffi. Spineda, dunque Cremona. Metodo ancestrale, dunque un rifermentato in bottiglia.
Premessa 1. Ho aperto questo vino con la mia compagna per festeggiare il sorpasso su Facebook del numero di fan della mia pagina rispetto a quella di Matteo Renzi. Dunque questo vino è partito bene a prescindere.
Premessa 2. In questi giorni sto guardando una serie televisiva su Sky, si chiama Yellowstone e il protagonista è Kevin Costner. Ambientata ai giorni nostri nel Montana, è una serie western perché nel Montana sono ancora al Far West (e non è detto che sia un male). Bevendo questo vino, e sentendo le note oltremodo animali e “stallatiche” (genere gli amatissimi Vittorio Graziano e Scaramusc) che piacevolmente ti assaltano, abbiamo definito questo vino “la bottiglia di John Dutton“. John Dutton è appunto il nome di Costner nella serie, che è tutta piena di cavalli, mucche, fieno e stalle. I primi sentori del vino in oggetto.
Ciò detto e ribadito, il Vin Negar di Caleffi è terminato in un attimo. Vino di carattere e splendidamente ruspante, naturale, perfetto per l’uso quotidiano. Di beva prodigiosa, per nulla anonimo, riuscitissimo e persino divertente. Applausi.

Montemattina 2016 – Il Tufiello

Aprile 8th, 2020

Schermata 2020-04-08 alle 13.00.50Tre estati fa, dopo uno spettacolo teatrale a Sant’Andrea di Conza, andai a mangiare con il “mio” regista a Calitri. Alta Irpinia, lontana e affascinante, luogo (tra gli altri) di Vinicio Capossela. Ci proposero un Fiano di Avellino fatto nel paese stesso: il Don Chisciotte. Lo trovammo sublime, e so bene di averlo scoperto con molto ritardo rispetto a tanti tra voi.
L’altra sera ho aperto il Montemattina annata 2016. L’ho acquistato presso la distribuzione Glu Glu Wine. L’azienda è il Tufello, dietro la quale c’è sempre Guido Zampaglione. Il co-artefice del Don Chisciotte. Dopo la rottura (mi dicono) con il vecchio socio, ha creato l’azienda Il Tufiello con sua moglie Igiea. Ha creato un Fiano di Avellino con la stessa impostazione del Don Chisciotte, chiamandolo provocatoriamente Sancho Panza. Il Montemattina (è il nome della montagna che ospita i terreni di proprietà) non è che la riserva del Sancho Panza. Stessa uva, stessi vigneti, ma un anno in più di affinamento sulle fecce fini. Per dirla in breve, è a mio avviso uno dei bianchi più affascinanti italiani. E ha pure un prezzo “ridicolo”, in relazione alla straordinaria qualità che regala a noi fortunati bevitori.

La Croix Picot 2016 – Domaine FL

Aprile 7th, 2020

Schermata 2020-04-07 alle 13.03.15Più o meno due mesi fa, quando ancora potevamo uscire (o almeno credevamo di poterlo fare, perché il coronavirus c’era già e faceva disastri), ho partecipato a una degustazione per pochi intimi. Eravamo alla Formaggeria de’ Redi di Arezzo, luogo a me molto caro. I vini erano tutti distribuiti da Storie di Vite. L’anfitrione era Ivan De Chiara.
Il vino che mi ha colpito di più è stato uno Chenin Blanc in purezza, secco e fermo, della zona (benedetta) di Savennières. Questo: Le Croix Picot, annata 2016, Domaine FL. Prodigioso.
L’ho subito ordinato e, giorni fa, l’ho bevuto con la mia compagna. Ero curioso di capire se, mesi dopo, mi avrebbe ancora colpito così positivamente. La risposta è sì.
Le vigne si estendono su speroni monumentali, i terreni – scisti scuri – donano grande mineralità. Il cru è quello di Chamboureau. Regime biologico, da pochi anni biodinamico. Lunghi affinamenti, infatti questa (2016) è da Domaine FL ritenuta un’annata recente. Vino di squisita mineralità, con un attacco nettamente agrumato, poi tiglio e uva spina, quindi l’esplosione di note pungenti e il tutto sormontato da una grande acidità. Gran vino, poco da dire.

Qual è il vostro prosecco preferito?

Aprile 3rd, 2020

Schermata 2020-04-03 alle 11.18.19Il Prosecco non è esattamente la tipologia preferita da chi, come me, ama i vini naturali. Il motivo è semplice: al netto dei tantissimi produttori onesti, che operano con giudizio e coscienza, ce ne sono altri che mirano più che altro alla quantità. Un problema che vale per ogni realtà, ma forse più che altrove per il Prosecco: uno dei vini più bevuti al mondo, e quindi anche uno dei vini più a rischio in termini di salubrità e sofisticazioni in cantina.
Ci sono però molti Prosecco di pregio. Anche tra i vini naturali. Lungi da me fare qui una lista esaustiva: mi limiterò a segnalare i miei preferiti. Sperando che, nei commenti qui come pure sulla mia pagina Facebook quando rilancerò questo post, vi scateniate con i vostri (garbati) pareri. I miei Prosecco preferiti sono Casa Belfi (sia “base” che Anfora) e Casa Coste Piane (sia “base” che Brichet). Non ho dubbi su loro due. A volte preferisco l’uno e a volte l’altro, dipende a dire il vero più dal mio momento che dal loro, ma i primi due posti sono assegnati. Per la terza piazza sono più in difficoltà, ma credo che alla fine opterei per il ProFondo di Miotto. Poi, ai piedi del podio ma staccata di poco, Ca’ di Zago. Sono quattro aziende decisamente meritorie. Ricordo che non mi dispiaceva anche Costadilà, che però non bevo da un po’. Senz’altro me ne dimentico altri.
E i vostri preferiti?

Velato Sur Lie Metodo Familiare – Furlani

Aprile 2nd, 2020

Schermata 2020-04-02 alle 11.22.46Adoro i rifermentati, ve l’ho detto e scritto ormai tante volte. Tra i miei (tanti) preferiti c’è il Velato. Capire chi lo produca non è così intuitivo, perché sull’etichetta leggi “Vini dell’Angelo”. Quindi? L’azienda in realtà è quella Furlani di Vigolo Vattaro, in provincia di Trento, di cui ho parlato spesso (e sempre bene. Per esempio qui). Una garanzia.
Se non trovate subito il nome Furlani sull’etichetta del Velato, è perché la cantina realizza questa bottiglia in esclusiva per Proposta Vini. La locuzione “Vini dell’Angelo” è così spiegata: “Con questo progetto sono state recuperate tutte le varietà d’uva presenti in Trentino (in maniera non estemporanea) fino alla Grande Guerra, ne sono stati curati il reimpianto, la coltivazione, la vinificazione e la commercializzazione. (Ri)scoprire i vitigni storici è una risposta efficace al processo di omologazione e contribuisce a restituire dignità a queste uve. I consumatori e gli appassionati avranno modo di poter ritrovare radici culturali ma soprattutto antichi profumi e sapori, valorizzando la biodiversità viticola trentina”.
Il Velato Sur Lie Metodo Familiare, che in rete trovate sui 10 euro o giù di lì, è una bollicina da uve tutte italiane. Un po’ come bere un frizzante di prima della Grande Guerra, meglio ancora pre-fillossera, però con le conoscenze di oggi. Le uve, rigorosamente autoctone e antichissime (nonché rarissime), sono Lagarino Bianco e Valderbara. Affinamento in botti di acciaio. “La chiarifica avviene attraverso il freddo inverno della Vigolana” – riporto dal sito di Proposta Vini – “le botti vengono portate all’aperto nel mese di Marzo con l’aumento della temperatura, in fase di luna crescente, viene imbottigliato con l’aggiunta di mosto d’uva concentrato e lievito, in modo da indurre la seconda fermentazione in bottiglia. In 15 giorni manualmente si mette in sospensione il deposito formatosi in bottiglia e dopo 3 lune può iniziare la commercializzazione“.
Il Velato è un frizzante d’altri tempi. Semplice. Dritto. Allegro. Di beva prorompente. Viva!

Enigma Weiss 2018 – Quantum of Winery (un vino molto punk!)

Aprile 1st, 2020

Schermata 2020-04-01 alle 14.38.20Avete presente quando, al corso per diventare sommelier, ti dicevano che alcuni vini potevano avere sentori di cavallo bagnato – o di sella di cavallo sudato – e ti veniva da ridere? Invece è vero. Eccome se può succedere. E lo sapete meglio di me.
Ieri ho provato un vino austriaco. L’ho acquistato presso la distribuzione Glu Glu Wine. L’azienda, piccola, si chiama Quantum of Winery. Lui è Florian Schumann. Nato nei primi Ottanta, inizialmente lavora in cantine convenzionali. Poi cambia tutto e punta su vini naturali. Molto naturali. Senza compromessi. I suoi vini non sono per tutti, decisamente strong: provateli solo se siete pronti e con chi se lo merita, altrimenti potrebbero lapidarvi (o potreste lapidare me).
Schumann è un vignaiolo punk. Le sue etichette (cambiano ogni anno) sono punk, i suoi nomi (cambiano ogni anno) sono punk. I suoi vini sono punk. Gli somigliano: talento e follia, senza mediazioni. Chi detesta i vini “troppo” naturali passi la mano, chi sente puzza di “marketing finto-alternativo” passi ad altri produttori (anche qui io scorgo marketing, sì, ma più che altro schiettezza e bravura).
Cito da Tannico: “Quantum Winery è una piccola e giovane cantina austriaca, nata con l’idea di produrre vini naturali e genuini che rappresentino non solo i differenti varietali e terroir ma soprattutto la potente impronta della natura nella viticoltura. Con questi presupposti la cantina Quantum coltiva i suoi vigneti in regime biodinamico puntando tutto sulla sinergia tra ambiente, territorio, viticoltura sostenibile e vinificazioni artigianali. La superficie vitata è di circa 2 ettari, su suoli di origine prevalentemente granitica situati sui terreni collinari della Weinviertel, rinomata zona vitivinicola austriaca che si estende nella Bassa Austria, dal Danubio fino al confine con la Repubblica Ceca e con la Slovacchia. Qui, nella Weinviertel nascono da sempre vini d’Austria importanti ed espressivi, che nel tempo hanno meritatamente guadagnato l’attenzione non solo degli appassionati ma anche della critica internazionale. Quantum Winery produce vini artigianali e naturali, basati sul rispetto della terra e del territorio, utilizzando pratiche biodinamiche in vigna e il meno possibile interventiste in cantina, dove non si ricorre all’uso di lieviti selezionati, optando per quelli indigeni per avviare le fermentazioni, ne si filtra il vino in fase di imbottigliamento. Via libera invece a macerazione sulle bucce e ridottissimo aggiunta di solfiti per non alterare la purezza e il profilo gusto-olfattivo dei Schermata 2020-04-01 alle 14.38.44vini. Le varietà coltivate nei vigneti della cantina sono principalmente quelli più conosciuti e diffusi sul territorio, come il grüner veltliner, pinot bianco, pinot nero, portugieser, gemischter satz e merlot. Le viti hanno un età compresa tra i 35 e i 60 anni aumentando così qualità, concentrazione ed espressività di aromi e sapori nelle uve”.
Io ho provato uno dei prodotti più estremi di Florian: l’Enigma Weiss. E’ un Roter Veltliner, varietà a bacca bianca che assume una tonalità rosa scuro una volta giunta a maturazione. Dà vita a vini con grande acidità e ottima propensione all’invecchiamento.
Il vino si presenta non dico torbido: di più. E subito, quando ti avvicini a lui, ti arriva una zaffata decisamente animale. Cosa è? Il famoso sentore di cavallo bagnato, o se preferite di sella di cavallo sudato, perché oltre alla nota animale senti proprio il cuoio.
Già così è un vino da “o mi ritiro subito o rischio e insisto“. Io insisto. E faccio bene.
L’Enigma Weiss ha una progressione esaltante, che definirei una sorta di parossismo di profumi terziari. Ci senti l’ematico spinto (il ferro, il sangue). Lo smalto, per certi versi proprio la vernice. Una decisa componente volatile (o se preferite acetica). Poi il gesso, la grafite. Quindi, col passare dei minuti/ore, un mentolato inatteso e strepitoso.
E ancora il cavallo bagnato e sudato.
Detta così, so bene che molti saranno scappati a gambe levate. Bene: quelli che non lo hanno fatto, lo provino subito. E‘ un vino che ha carattere da vendere. Persistenza, cuore, freschezza. Sapidità. E bevibilità suprema.

P.S. Rinnovo i complimenti al produttore punk anche per altri due suoi vini recentemente provati: il Bastard of Grapes (100% Gruner Veltliner, sorta di “base” bianco dell’azienda) e il Chop Suey Weiss (riuscito rosato 50% Pinot Bianco e 50% Pinot Nero)

Verdicchio di Matelica Casal di Venza 2016 – Marco Gatti

Marzo 31st, 2020

Schermata 2020-03-31 alle 12.15.35Non saprei dirvi perché, ma ho aperto questa bottiglia senza troppe aspettative. L’ho acquistata presso la distribuzione Storie di Vite, che ritengo da tempo una garanzia. Non senza ragione. Lo scetticismo, inteso come “sarà un vino da 6+ al massimo“, era (non) motivato dalla mia conoscenza dei Verdicchio di Jesi ma molto bene da quella relativa ai Verdicchio di Matelica. In più non conoscevo l’azienda agricola Marco Gatti.
Invece è un bel vino. Gatti è un viticoltore vecchio stile. Fa vini semplici, e uso questa parola nella sua accezione migliore. Sono vini che danno il massimo dopo almeno due/tre anni, infatti questa è la 2016. Senti inizialmente il tropicale, che vira però poi – col passare dei minuti – su toni minerali e sulla grafite. Finale decisamente sapido, anzi proprio salmastro. Costo davvero basso, in relazione poi alla qualità innegabile. Matelica vuol dire collina, temperature fredde, grandi escursioni termiche. Sembra quasi una zona montana, ma il mare è a due passi. Un terroir estremamente sottovalutato.
Il Casal di Venza è il cosiddetto base, il Villa Marilla è il fratello appena più ambizioso (sempre prezzi bassi: non l’ho provato). . Strepitosa (mi dicono) la sua Riserva, che però si trova poco perché le bottiglie sono davvero in quantità minima. Provatelo, provateli.

Sidro ucraino: si può? Si può eccome!

Marzo 24th, 2020

In alto i cuori, in alto i calici: mi sono appena imbattuto in una piccola azienda semplicemente pazza, e oltremodo prodigiosa, di sidri ucraini. Ucraini? Sì, ucraini. Tutto merito di Luca Martini, sommelier ex campione del mondo e (tra le molte cose) importatore di alcuni gioielli. Tipo questo. Ho parlato stamattina con Luca dopo avere provato, ieri, il Perry Cider brut e aver gridato al miracolo. L’aziendIMG_6840a si chiama Berryland. Luca l’ha scoperta quest’anno a Fornovo. “C’era un tipo senza stand, ma con dei campioni”. Il tipo spiega bene a Luca la storia delle mannoproteine del miele, che non hanno bisogno di solforosa perché la sviluppano da sole. Vale lo stesso anche per gli idro-mele, che sono quindi (se ben fatti) prodotti naturalissimi.
L’Ucraina non è certo famosa per le mele, a differenza per esempio di Normandia e Asturie (ma pure molte parti d’Italia). Infatti in Ucraina “il 99% delle mele non è edibile”, mi dice Luca, “ma viene usato per i silati come integrazione per animali, oppure viene data direttamente ai maiali”. Eppure Berryland produce 15 (15!) sidri diversi. La lavorazione? ” La scelta delle mele, la macinatura, la macerazione con le bucce. E poi la pressatura del succo, a sua volta fermentato, raffreddato e quindi rimosso dai sedimenti. Infine l’imbottigliamento e la seconda fermentazione in bottiglia”.
Luca importa alcuni tipi di sidro Berryland. Eccone sette.
Kyei Cider – Residuo zuccherino basso. Le mele vengono dalla zona ovest di Kiev: cinque o sei tipi diversi. Mele molto piccole. Acidità media, prodotto “neutrale”, microclima ideale. Una sorta di prodotto “base”.
Bukovyna Cider brut. Viene fatto con mele che provengono da Bukovyna: una zona vicina alle montagne. Terreni più ricchi, grande escursione termica. Massima maturità, ma anche profumi spiccati grazie alle notti fresche. Grande acidità. Poco residuo zuccherino. Sidro tagliente e profondo.
Apple Cider. E’ fatto solo con mele, a differenza degli altri che hanno sempre una piccola percentuale di pere. Sei varietà di mele differenti da sei regioni diverse. Macerazione più lunga sulle bucce, colore più importante. E’ dunque un sidro macerato: “l’orange cider” dell’azienda. Delizioso.
Calvados Barrels aged Cider brut. Questo sidro è come il precedente Cider cuvee brut 2019, ma viene invecchiato un anno in più e alla fine del processo, prima della seconda fermentazione, viene messo in delle botti importate dalla Normandia dove è stato fatto affinare per 5/10 anni il Calvados. Il legno impregnato dal distillato muta il sidro, un po’ come accade al whisky affinato nelle botti di Sherry o Porto. Se però quelle botti rendono il whisky più “dolce”, qui il sidro acquisisce un tono più austero e più complesso. E’ dunque un prodotto complesso, più orizzontale che verticale.
Perry Cider brut. E’ un sidro fatto con le pere. Quattro tipologie differenti. Le pere sono più dolci delle mele, per questo il Perry risulterà un sidro più estivo, elegante e fruttato. E lascerà sempre una dolcezza data dal naturale residuo zuccherino.
Ice Cider sweet. Avete presente gli Ice Wine (o Eis Wein)? Ecco: siamo da queste parti: crioconcentrazione. Le mele ghiacciate vengono pressate: automaticamente l’acqua si separa dal succo di mele e questo crea una concentrazione naturale del succo. Realizzato alla fine di dicembre. Ha un grande residuo zuccherino e un gusto di mela intensa. “Sidro da meditazione”
La gradazione di questi sidri sta tra i 6-6,5% (Perry) e 7-7.5% (gli altri). I prezzi in enoteca stanno sui 15 euro a bottiglia tranne l’Ice Cider sweet, il più impegnativo sotto tutti i punti di vista (anche il prezzo: sui 30-35). In Ucraina si trovano a prezzi ancora più bassi, ma l’Ucraina è uno stato non membro con embargo. Quindi il prezzo (di poco) sale.
Credetemi: sidri strepitosi!