Tre orange wines

Li chiamano orange wines. Sono i bianchi sottoposti a macerazione, più o meno lunga, sulle bucce. Vinificati, di fatto, in rosso.
Normali nei Cinquanta e Sessanta in Italia, non per moda ma perché al tempo non era così scontato per i contadini la differenza di lavorazione tra bianchi e rossi. Tornati in auge, partendo dal Friuli, per motivi in qualche modo “ideologici”. Su tutti il rimando alla tradizione eurasica georgiana. Quasi sempre legati ad aziende produttrici di vini naturali.
Il primo nome che viene in mente è quello di Josko Gravner, ma non è certo il solo. A volte capolavori, altre volte azzardi pleonastici. Vini non per tutti i gusti, che richiedono conoscenza e attenzione. Profumi da passito ma gusto secco, deciso. Colore tendente all’aranciato, da qui il nome con cui li si identifica.
La macerazione sulle fecce dà ai bianchi maggiore complessità olfattiva, più struttura (e tannini), spigoli. Nei casi migliori, grande longevità, carattere e persistenza. Il rischio dell’autogol, del famolostranismo, è sempre dietro l’angolo.
Ho ritenuto doveroso fare questa premessa perché, ultimamente, mi sono imbattuto in tre orange wines che ho apprezzato.
Il primo era il Dettori Bianco Romangia 2007. Vermentino sardo. Alessandro Dettori fa vini duri e crudi, grammaticalmente scorretti come ammoniscono le guide, ma spietatamente fedeli al territorio (Sennori, nel sassarese). Non piacciono a tutti, hanno personalità spiccata e alcolicità dirompente (15.5 gradi in questo caso). Bevuto al Pane e Vino di Cortona a 17 euro. Il calore dell’alcol era mitigato da splendide acidità e sapidità. Nulla a che vedere con certi (la maggioranza) Vermentino fighetti, barriquati e stancanti. Naso di frutta gialla matura, tropicale, con note erbacee e salmastre, balsamiche. Un vino di tre anni che cominciava ad essere pronto adesso. Bianco coi muscoli, ma non ingombranti. Promosso a pieni voti, anche se l’ultimo bicchiere, bevuto da solo e fuori dalla cena, ha dimostrato come sia più un vino da abbinamento che non da meditazione (e questo può stupire).
Il secondo orange wine è stato il Terra dei Preti di Collecapretta. Trebbiano spoletino in purezza, macerato una decina di giorni. Sui 10 euro in cantina. Lo conoscevo già e ne avevo parlato. Ho ribevuto, a casa dei produttori, le annate 2008 e 2009. Più grassa e “facile” la 2009, con note al naso da passito di pregio (miele, frutta candita), ma acidità splendida. Più dritto e nitido il 2008, che ha smaltito il gran frutto esibendo le note più minerali. Di Collecapretta, piccola azienda familiare umbra a Terzo La Pieve, preferisco il Trebbiano non macerato: il Vigna Vecchia, uno dei migliori bianchi d’Italia, confermo e rilancio. Il Terra dei Preti è però un orange wine pienamente riuscito. E dal prezzo giustissimo.
Il terzo bianco macerato, provato alla Bottega del Vino di Castiglion Fiorentino, è stato un Triple A Velier. Sassocarlo Terre a Mano 2007, Fattoria di Bacchereto. Sui venti euro al ristorante. Trebbiano 80 percento e Malvasia 20. Carmignano, nel pratese. Un bianco da uve surmature, sottoposto a breve macerazione (evidente alla degustazione). Rispetto agli altri due, un orange wine più grasso e strutturato, impegnativo. Ha meno alcol di Dettori, ma si sente di più. Segno di un’acidità minore, ma comunque decisa (ancor più se considerato il territorio) e sufficiente a valorizzare il prodotto.
Nessuno di questi vini ha la macerazione infinita e “brutale” degli orange wine friulani e sloveni. Per questo li ritengo maggiormente adatti ai neofiti, o giù di lì, per avvicinarsi a una tipologia spinosa ma affascinante.

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17 Responses to “Tre orange wines”

  1. Daniele ha detto:

    Sono sempre stato un grandissimo fan dei bianconi di struttura. Conosci Franco Terpin, ne sono sicuro. Quello che nella mia ignoranza mi domando è come sia possibile far rendere 14, 15, addirittura 15,5 gradi a bianchi che non sono propriamente passiti. lieviti strani? zuccheri non permessi? Come si fa a fare un bianco “pulito” con quella gradazione?

  2. Andrea Scanzi ha detto:

    Il dubbio c’è. Di sicuro l’aumento della temperatura media, in ogni parte d’Italia (e del pianeta), ha aiutato questa esplosione di alcolicità. La surmaturazione è pratica lecita e consentita, tipica dei bianconi di struttura. Di solito molti vignerons si lamentano del troppo calore dei loro vini, quindi aggiungere zucchero (chaptalisation) in molti casi è più un autogol che una furbizia. Che poi alcuni lo facciano, nonostante sia proibito (da noi: in Francia è lecito), non posso escluderlo.

  3. gianmarco ha detto:

    e poi c’è sempre la scorciatoia dei mosti concentrati rettificati

  4. Luca Miraglia ha detto:

    Probabilmente lo spartiacque tra un bianco macerato fruibile ed uno pachidermico è costituito dalla capacità di mantenere un’adeguata spalla acida, tale da conferire, pur nella ricchezza ed opulenza gusto-olfattiva, un livello di freschezza atto a mitigare le inevitabili note oleose.
    In un quadro di questo genere, non facile da trovare, suggerisco l’assaggio del Fiano “Don Chisciotte” (Fattoria Il Tufiello di Calitri, alto avellinese) e del Bacca Bianca di Tenuta Grillo (cortese del Monferrato in purezza).
    Ambedue sono creature dell’enologo napoletano Guido Zampaglione.

  5. michele malavasi ha detto:

    Ciao Andrea,
    seppure non abbia una macerazione spinta, come non ricordare il mitico pico di Angioline Maule di cui nel vino degli altri dedichi un bellissimo capitolo.Nel friuli trovo molto interessanti le versioni(macerate) di Zidarich e Vodopivec(di cui una versione vinificata in anfora) del vitigno autoctono vitovska e i bianchi della Castellada.

  6. Giovanni Corazzol ha detto:

    conta niente quel che dico, lo faccio solo per un confronto con voi, partendo da cognizioni di base scarse: ho bevuto sia il bacca bianca che il don chisciotte (molto presenti assieme ai vini di tenuta grillo in certe enoteche e ristoranti, almeno in veneto)e mi sono parsi entrambi senza corpo. ho pensato a bottiglie sbagliate, ma ho riprovato a distanza di tempo e m’è sembrato ancora soffrissero. a tal proposito molte volte sento le lamentele degli enotecari che stentano a tenere bottiglie di questo genere perchè troppe volte rifermentate o con puzzette. i clienti si lamentano e loro faticano a rifarsi sui produttori. io terpin e maule tutta la vita, radikon a natale, gravner solo dopo un 5+1 o una serata generosa con lo scanzi.

  7. Antonio Marino ha detto:

    I vini di Zampaglione a mio parere sono snelli, fini e beverini con un buon corpo ed un tenore alcolico giusto.
    Tra i miei “orange” preferiti oltre tutti i vini di Radikon e Terpin c’è il Dinavolo – Denavolo di Giulio Armani da uve autoctone della zona piacentina
    il Saharay – Porta del Vento ,catarratto in purezza
    ed il Poggi Alti – Santa Caterina, vermentino ligure
    su tutti però c’è il pinot grigio di Dario Princic!!!!!
    Il Terra dei preti di Collecapretta mi ha sorpreso.

  8. Andrea Scanzi ha detto:

    Maule e Dario Princic signoreggiano, da sempre, e con sicumera. Vini strepitosi.

  9. giovanni corazzol ha detto:

    allora avrò sbagliato le bottiglie. sarà stata colpa dell’africa(cit). bunga bunga a tutti.

  10. Claudio ha detto:

    Non credo sia un caso che tu abbia trovato il Bianco di Dettori più adatto ad accompagnare il pasto che a bersi da solo, ho sempre avuto l’impressione che gli “orange wines” fatti con equilibrio siano vini da pasto sontuosi che consentono tra l’altro un’incredibile versatilità di abbinamento. Sono contento che tu abbia apprezzato il Terre A Mano, ho sempre trovato ottima tutta la loro gamma, a partire dai loro stupendi Carmignano.

  11. gianni Z. ha detto:

    caro Andrea, un piccolo su Duline… a i n una pubblicazione del Veronelli di 6/7 anni fa una piccola nota a margine… poi chi la fece ben conoscere fu Eugenio ex oste dell’enoiteca La sosta di Mogliano,allievo per così dire di Lorenzon, grande conoscitore sopratutto del Friuli… a cui personalmente devo moltissimo…
    Devo dire che si fa sempre l’errore, a mio avviso, di associare gravner agli altri produttori, beh credo che Gravner sia a sè, assolutamente non comparabile sia quando i suoi vini siano non nella loro migliore espressione che quando sono stupefacenti, bisogna solo ricordarsi di assaggiarli dopo 4/5 anni dall’imbottigliamento.
    Saluti.

  12. gianni Z. ha detto:

    un piccolo appunto…

  13. Andrea Scanzi ha detto:

    Caro Gianni, lungi da me credere davvero di avere “scoperto” Vignai da Duline. Ci mancherebbe altro, sono l’ultimo tra gli ultimi. Mi fa solo piacere che, tre anni fa, non erano così noti e trasversalmente celebrati come (meritatamente) accade adesso in molti ambienti.

  14. alberto ha detto:

    Bravo Scanzi !

  15. Antonio ha detto:

    Non sapevo niente di questo tipo di vino e leggerti è stato sufficiente a colmare la lacuna. Grazie 1000.
    Ps. Non sono nessuno è come ti sarà evidente non sono neanche un intenditore di vini ma ogni tanto mi scatta l’embolo della curiosità.
    Ciao

  16. Paolo Raseni ha detto:

    Approfitto del occasione per informare gli appassionati orange wine di una mostra veramente importante che avrà luogo a isola (Slovenia) a circa 30 minuti da Trieste, decine di produttori di questo magico nettare….dai vari Radikon, Terpin, Dario Princich, Zidarich, Skerk, Batich, inh, Rencelj, Skerlj, e altre decine di produttori non meno noti, la mostra sarà allestita nel centro storico di Isola d’Istria, in un palazzo stupendo stile veneziano, ci saranno pure i migliori cuochi italo sloveni a presentare loro specialità da accompagnare ai vini, la mostra si svolge venerdi 29 aprile dalle 14 alle21…..
    Sono un appassionato da sempre di questi unici nettari, la riscoperta della macerazione avviene a metà anni 90 grazie alle intuizioni di Gravner, Radikon, Maule, i loro prodotti vengono inizialmente osteggiati (vedere articoli anni 1996 1997 sul mensile il mio vino)…..Stanko Radikon mi confidava con amarezza…….quando li facevo in bianco negli anni 80 ero osannato ma il vino non mi convinceva…..decisi assieme a Josko Gravner di fare un vino che piaccia a noi prima che al mercato….pure la quantità ql ettaro passò dagli 70-80 quando si faceva in bianco agli 40 attuali…….i vini non sono filtrati, si usano quantità omeopatiche di solforosa, come detto l’inizio è stato difficile, ma essendo vini di nicchia cominciarono ad essere apprezzati dopo i primi anni 2000……..in quegli anni conobbi i vignai Duline in una degustazione nel mitico bar Malabar di Trieste……ogni venerdì era presente un produttore che descriveva il suo vino da degustare….

  17. Michele ha detto:

    Ciao Andrea, qualche tempo fa sono passato
    da questa cantina in Trentino ed ho assaggiato questo vino bianco http://www.pisonivini.it/vini/codecce/ che trovo
    strepitoso. Secondo te si può considerare
    un Orange Wine?
    A presto
    Michele

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