Archive for Luglio, 2012

Berthet-Bondet – Jura Naturé

giovedì, Luglio 5th, 2012

Lunedì sera, dopo Gaber se fosse Gaber al Festival Caffeina, ho mangiato al Ristorante Enoteca La Torre di Viterbo.
Come vino, ci è stato consigliato un Cotes de Jura. Annata 2010, Domaine Berthet-Bondet. “Naturè”, ovvero Savagnin in purezza. Il vitigno autoctono tipico dello Jura, in qualche modo imparentato al Traminer.
Dieci ettari nel villaggio chi Chateau-Chalon, suoli marnosi di origine giurassica. Non posso dire il prezzo, perché la cena è stata offerta dal Festival.
Nei miei libri, e poi in questo blog, non ho mai espresso grande passione per i vini dello (del? della?) Jura. Al tempo stesso, è oggettivamente una delle regioni vitivinicole più ricche di storia del mondo, con punte di eccellenza nei bianchi: Savagnin e Chardonnay.
Il Naturè di Berthet-Bondet, bevuto con piacere di tutti i commensali, mi dà la possibilità di riprendere il concetto. Bianco secco, senza macerazione sulle bucce. Vinificazione tradizionale in bianco, non fa legno. Credo che riposi un po’ sui lieviti (flor), come tipico dei vini dello Jura. E’ il Savagnin base dell’azienda, distribuita in Italia da Alessandro Ceretto (e prima da Bellenda).
Del Savagnin non mi attrae l’ossidazione che, spinta o leggera, c’è sempre. Fa parte della tradizione dello Jura. Il velo di lievito serve da tampone ossidoriduttivo ed evita le ossidazioni eccessive. Nel “vin jaune”, in particolare, l’ossidazione è accentuata, unita anche a valori elevati di etanale.
Il Naturé ha una ossidazione molto bassa, praticamente impercettibile. E’ il Savagnin “base”. L’ho bevuto giovane, quando è invece un vitigno che si adatta all’invecchiamento.
A colpirmi positivamente è stata la grande tipicità – che può non piacere. Al di là di freschezza e mineralità, sempre gradite e qui innegabili, il Savagnin è un vitigno (praticamente) aromatico che si riconosce per i profumi di mandorla, limone e soprattutto mallo di noce. Il Naturè 2010 non faceva eccezione. Nei Savagnin più evoluti dominano ancora di più i profumi terziari, uniti a note di erba di campo, camomilla, frutta secca.
E’ un vino non facile, di spiccata personalità, agrumato e sapido, splendido con il passare degli anni. Io lo preferisco non ossidato, e so che qui sono in tanti a non essere d’accordo.
Tornando al Naturè 2010 Berthet-Bondet, è un vino riuscito. Provatelo.

Franciacorta: sì o no?

lunedì, Luglio 2nd, 2012

Qualche settimana fa ho comprato un Franciacorta in una enoteca di Milano. Il posto si chiama Vino al vino, via Spontini angolo Piazza Bacone, zona corso Buenos Aires. Discreta enoteca, con mescita e cucina semplice.
Ci tornerò con più calma.
Non c’era una grande scelta di Metodo Classico, Cavalleri e Haderburg li conosco sin troppo bene. Così, su consiglio del proprietario, ho comprato un Franciacorta Nature di Enrico Gatti. Venti euro, forse qualcosa più, non ricordo bene.
85 percento Chardonnay e 15 Pinot Nero. Ventiquattro mesi sui lieviti. L’azienda è ad Erbusco.
L’ho bevuto con amici. Com’era? Discreto. Non puoi dire che è cattivo, non puoi dire che ti fa impazzire. Piacevole, ma anche un po’ scontato e scolastico.
Ecco: questa stessa recensione posso spenderla per la stragrande maggioranza di Franciacorta bevuti negli anni. Non voglio dire, come pensano molti vinoveristi, che i Franciacorta sono automaticamente “industriali” e quindi rappresentano “il male”. Generalizzazioni manichee, che non sopporto. Ammetto però che, tolti i soliti nomi, le aziende in grado di incendiarmi sono poche. Non mi dispiacciono, ma si attestano quasi tutti tra il 6- e il 6+.
A parte Cavalleri; a parte Faccoli (che mi piace molto); a parte Colline della Stella di Andrea Arici (Pas Dosé) e Il Pendio, di cui ricordo con piacere Il Contestatore; a parte altri 2-3 nomi (che vi prego di fare, anche solo per aiutare chi visita questo blog); a parte le versioni deluxe (e non esattamente economiche) dei nomi più griffati tipo Ca’ del Bosco e Uberti (Sublimis); a parte alternativi che dividono (Casa Caterina); a parte i vari panda qua e là, come la mettiamo?
Voi, se bevete Franciacorta (non Oltrepò Pavese o Trento: Franciacorta), cosa bevete?

 

Croci – Alfiere

domenica, Luglio 1st, 2012

Attenzione: non c’è nessun motivo per non provare questo Metodo Classico. E’ un vino outtake meraviglioso. Molti di voi lo conoscono già.
Si chiama Alfiere. Ortrugo in purezza, piacentino.
Ne esiste anche una versione rosè, che non ho ancora provato (Bonarda, Barbera, Malvasia Nera).
L’azienda è quella di Massimiliano Croci, a Castell’Arquato. Naturale, semplice, coraggiosa.
Ventiquattro mesi sui lieviti. Pas dosé, niente sciroppo di dosaggio. Tiraggio con salasso di mosto di Lubigo (la versione frizzante dell’Ortrugo: leggi la recensione qui).
E’ un tentativo di elevare l’Ortrugo, non attraverso il metodo Charmat ma quello Classico.
Sul web e in enoteca si trova attorno ai 14-16 euro. Franco cantina poco sopra i 10 (ma posso sbagliare).
E’ pienamente riuscito. Tra gli spumanti italiani che vantano il migliore rapporto qualità/prezzo.
Riesce a comunicare la diversità (unicità) del vitigno, la semplicità di un Metodo Classico (quasi) da tutti i giorni e al tempo stesso l’eccellenza di uno spumante fresco, minerale, appagante.
Non cercateci i profumi e le emozioni indimenticabili degli Champagne deluxe, ma ricordatevi che l’Alfiere costa tre/quattro volte meno (ma anche dieci) delle bollicine francesi più blasonate.
Mi ha fatto l’effetto degli ancora meno cari Lambrusco Metodo Classico, quelli più convincenti (ne esistono, ne esistono: Paltrinieri, Bellei, i deluxe di Charli, etc).
Qui però siamo di fronte a un Blanc de Blancs piacentino: un azzardo – in realtà legatissimo alla tradizione – che vi consiglio senza alcuna remora.

P.S. Di Croci ho provato ieri sera anche il Gutturnio 2010, “Frizzante Naturalmente“, sui 10 euro in enoteca. Barbera e Bonarda. Ben fatto, rispetta la tipologia del rosso piacentino più noto e sa accompagnare con gusto il pasto. Per nulla concentrato, bella beva, un po’ corto. Superiore al Gutturnio fermo, che mi ha convinto di meno. Paragonabile ad alcuni Lambrusco reggiani “dritti” e non grassi.
Sono ovviamente vini molto diversi tra loro, ma per avvicinarsi a Croci consiglio di più i bianchi.