Archive for Dicembre, 2010

Kit Kat (Vanilla Yogurt)

venerdì, Dicembre 10th, 2010

Trash Moment. E’ il momento dell’orrido. Puntuale, arriva. E a quel punto non c’è salvezza. Devi assecondarlo.
Non di solo slowfood si vive, non di solo biodinamico. L’uomo è un animale stupido che si nutre anche (anzitutto?) di stupidità. E’ il suo carburante. Lo dimostriamo ogni giorno, soprattutto in Italia.
Così, ciclicamente, e voi lo sapete bene, mi trovo a dover tamponare (senza successo) dei rigurgiti di cattivo gusto. Ci sono giorni in cui non posso non nutrirmi di Twix Bianco o Kit Kat Bianco. Altre volte deifico il Nutkao. La mia ultima fissa sono i Loacker Milk & Cereals. Tutte cose inaccettabili. Ancor più per me, che odio i dolci e non ordino un dessert al ristorante da quando avevo 5 anni (e anche allora me l’ordinarono i genitori, almeno credo).
Ma tant’è (cit).
Stamani vado a fare la spesa. Lascio Tavira a guardia del vile supermercato, attentando al consumismo imperante col mio cappottino figo e i capelli da paggio dei Bee Gees. Mi guardo sicuro di me, tra gli scaffali, come un single navigato (scrivo tutte queste cose perché per le donne è molto sexy un uomo autonomo, che fa la spesa e ama pure i cani. Ed io, modestamente, sexy lo nacqui).
Quando vai a fare la spesa, la differenza tra un uomo e una donna è che la seconda compra solo cose necessarie. L’uomo, al contrario, soprattutto quelle superflue. E’, questo, uno di quei campi che danno pervicacemente torto alle femministe, perché nulla è più irrinunciabile del superfluo. E le donne non vogliono capirlo.
Ma non divaghiamo (re-cit).
Dovevo comprare latte e poco altro, mi trovo il carrello invaso da surgelati inaccettabili. Sono il solito coglione. Ho pure le patatine surgelate a forma di smile (che me ne faccio? Cosa me ne facciooooo???). Poi, l’agnizione. Nella zona latte, scorgo un improbabile Kit Kat Vanilla Yogurt. Sì, avete capito bene: il Kit Kat in salsa yogurt. Il campanello d’allarme dello Scanzi Trash tocca vertici a cui perfino io non sono aduso.
Il formato è rettangolare, c’è scritto “New” a conferma che siamo di fronte a un’anteprima. Irresistibile. 178 calorie per un prodotto che sarà sicuramente cattivo. Come rinunciare? Non si può. Infatti lo compro. Ma solo una confezione, ché anche al masochismo c’è un limite.
Arrivato a casa, è il momento di degustarlo. Tavira mi guarda sconsolata, un po’ perché non ne mangerà neanche un pezzo (sorso? cucchiaio? Boh) e un po’ perché intuisce che sarà un disastro.
Apro la confezione, sollevando il coperchio Nestlè (me misero, me tapino). Alla sinistra, la vaschetta dello yogurt dolciastro alla vaniglia. In alto a destra, la piccola confezione del Kit Kat propriamente detto. Otto palline di Kit Kat Pop Choc, da inserire nello yogurt. Girare e mescolare, indi mangiare.
Com’è? Di cosa sa? Di yogurt vanigliato col Kit Kat a pezzettini. Non è buono, non è cattivo: non è. Non ha la ridondanza meringata del Twix Bianco, non ha la crassa ignoranza diabetica del Kit Kat Bianco. Se fosse un vino, sarebbe un Merlot da discount.
Vi è sostanziale sconforto in me. Tavira aveva nuovamente ragione.

Tenuta Migliavacca

giovedì, Dicembre 9th, 2010

Luigi Brezza è stato il primo vigneron biodinamico italiano. I dettami di Rudolf Steiner li ha portati lui, nei Sessanta. In tanti sono stati suoi allievi, anche Stefano Bellotti di Cascina degli Ulivi. Se n’è andato quattordici anni fa, a ereditarne l’arte è stato il figlio Francesco.
L’azienda si chiama Tenuta Migliavacca. Il luogo, poco battuto dai turisti, San Giorgio Monferrato nell’alessandrino.
Non avevo mai bevuto i loro vini. L’ho fatto l’altra sera perché, a Luserna San Giovanni, un appassionato torinese me ne ha fatto dono. Si chiama Paolo Rossi, ringrazio lui e sua moglie.
Le bottiglie erano una Barbera del Monferrato e un Grignolino del Monferrato Casalese. Entrambi 2009. Nove euro il primo, dieci il secondo (prezzi da enoteca onesta). Ottimo rapporto qualità/prezzo.
La Barbera è come deve essere: semplice, verticale. Schietta, direbbero le guide. Buona (non buonissima) bevibilità. A colpirmi maggiormente è stato il Grignolino: tra i migliori che abbia bevuto (un altro è quello di Luigi Spertino). Il Grignolino è uno dei tanti autoctoni rossi “minori” piemontesi. Per forza: quando hai il nebbiolo, tutto il resto pare una diminutio. Questa cosa, a me, fa un po’ rabbia. Tendo a inalberarmi quando non si dà il giusto risalto a Dolcetto, Freisa, Ruchè, Pelaverga. E Grignolino. Un vitigno all’apparenza senza pretese, ma capace di conquistare con discrezione, grazie a tannini nevrili (?) e un che di speziato. Frutto non scontato, alcolicità giusta, bevibilità suprema.
Se il Barbera Migliavacca è un bel vino, il Grignolino di Francesco Brezza è un inno ai piccoli piaceri della vita.

Due piccoli grandi bianchi

mercoledì, Dicembre 8th, 2010

Oggi segnalo due vini outtake (un conio linguistico di cui vado molto fiero, tra parentesi). Due piccoli grandi bianchi, scoperti non per merito mio.
Il primo è La Vigna Ritrovata. Spergola in purezza, un vitigno autoctono pressoché scomparso (da qui il nome). L’azienda, a Jano di Scandiano nel Reggiano, è Tenuta di Aljano di Marco Ferioli. La bottiglia mi è stata regalata dal proprietario del ristorante slowfood La Ghironda a Montecchio Emilia. Annata 2007, Doc Colli di Scandiano e Canossa. Un bianco fermo a vendemmia posticipata. Le viti hanno 40 anni, l’agricoltura è biologica. La surmaturazione – si scelgono solo i grappoli dimenticati nei filari dopo la vendemmia canonica – porta a un’alcolicità importante di 15 gradi. Un dato che può impaurire, ma che fa il paio con una spiccata acidità. C’è una lieve macerazione sulle bucce, che porta ai riflessi dorati e soprattutto a sentori di frutta secca e matura. Non è un orange wine propriamente detto, ma ci si avvicina. Bella personalità, buona mineralità, discreta persistenza. La produzione è esigua, 1333 bottiglie. La mia era la 77. Un vino che può essere bevuto da solo, quasi da meditazione, o con formaggi importanti e affettati della tradizione emiliana. L’azienda lo consiglia con gli erborinati, tipo gorgonzola, ma non sarei così didascalico (e poi, per quanto ambizioso, il vino ci perderebbe). Davvero un bel vino, a un prezzo che dovrebbe aggirarsi sui 15 euro.
L’altro vino è il Mantonicoz Bianco dell’Azienda calabrese L’Acino. Tre fratelli che si sono messi a fare vino, con rispetto della natura e grande amore per la loro terra. Cercando di rivalutare anzitutto vitigni autoctoni e reputati ingiustamente minori, come questo Mantonico Pinto. 1800 bottiglie per un vino – annata 2008 – che è il primo nella storia dell’azienda. Sei mesi in vasche d’acciaio, giusto un 10 percento in tonneaux grandi e mai nuove. Ne risulta un vino fresco e di buona sapidità, che definirei onesto e dignitoso. Perfetto d’estate a bassa temperatura, apprezzandone la spiccata bevibilità e il giusto equilibrio. Non lo avrei conosciuto senza Ezio Cerruti, rimasto positivamente colpito dalla filosofia dei proprietari, incontrati qualche settimana fa a Terre di Vite. Credo che anche in questo caso il prezzo sia sui 15 euro, ma cercherò di essere più preciso.
In entrambi i casi, due esempi significativi di coraggio e ispirata veracità.

Ostrea Edulis 2009 – Luigi Spertino

martedì, Dicembre 7th, 2010

Ecco un altro orange wine. Me lo ha regalato sabato scorso Luca Coucourde, il proprietario dell’Enoteca Tredicigradi di Luserna San Giovanni, su volontà del produttore Mauro Spertino. Figlio di Luigi, vigneron storico di Mombercelli (nell’astigiano), famoso anzitutto per una Barbera amaronizzata, cioè da appassimento, e per un Grignolino splendido.
Quest’anno è uscito il primo bianco dell’azienda. Un Cortese in purezza, annata 2009. In versione orange wine, ovvero da (lungo) appassimento sulle bucce. In rete si trova pochissimo, giusto una condivisibile recensione di Enofaber’s blog, a cui ho “rubato” la foto.
Proprio sabato, a Luserna, dicevo di amare Gravner ma non molto la gravnerizzazione. Questa moda dei bianchi macerati è spesso ingiustificata. I bianchi che sostano sulle bucce, come i rossi, sono tipici della zona di Gravner, oppure di quelle terre contadine dove decenni fa il bianco si faceva come i rossi. Macerare i bianchi ovunque non ha senso.
Ero quindi scettico con questo Vilét Ostrea Edulis (il nome dell’ostrica comune). E invece.
Il Cortese macerato di Luigi e Mauro Spertino, di cui segnalo anche un buon Pinot Nero, è un bel prodotto. Provenendo da una macerazione di quasi due mesi, è ovviamente molto giovane. L’annata è la 2009 e andrebbe bevuto tra due o tre anni, sebbene il Cortese non sia certo famoso per le potenzialità evolutive. Il tannino è spiccato e anche per questo non va bevuto freddo. Provatelo a 14-16 gradi, temperatura da rosso.
Il vino non è chiarificato e filtrato, ma il deposito è minimo e il colore vira su un bel giallo dorato. Profumi appaganti, anzitutto di albicocca disidratata. Fiori, lieve nota erbacea, miele. Complessità di pregio. Al gusto colpisce il tannino, poi una grande acidità e una buona morbidezza (la malolattica è partita spontaneamente, ha raccontato il produttore).
Buon equilibrio, notevole persistenza, apprezzabile bevibilità. Non è un orange wine che stanca: la bottiglia finisce senza accorgersene, ed è un buon segno, ma è consigliabile lasciarlo evolvere nel bicchiere. Oppure comprarne due o tre bottiglie, per lasciare una piccola scorta da aprire tra qualche anno.
Non so il prezzo esatto, ma l’azzardo a mio avviso è riuscito. E parlo da amante esigente degli orange wine.

Una settimana intensa

lunedì, Dicembre 6th, 2010

Il Vino degli altri Tour 2010 è finito. Ci saranno forse due piccole propaggini, una a Treviso e una a Cortona, ma saranno comunque cose diverse.
Da mercoledì scorso a domenica ho passato giornate intense. Meritano di essere raccontate.
Mercoledì. Dopo avere ospitato il cantautore Luigi Mariano a casa mia il giorno prima, con tanto di mini-concerto unplugged per pochi intimi, parto per Modena. Alle 20.30 c’è una degustazione di 4 Moscatisti alla Compagnia del Taglio. Marina è una garanzia e ogni sua presentazione è un capolavoro. Oltretutto a Modena ho tanti amici. E tanti ricordi berselliani. La serata è piacevole. Sul piano tecnico, pasteggiare a solo Moscato è dura. Puoi farlo con i formaggi stagionati ed erborinati se il Moscato è Passito, come il Sol (botritizzato e no) di Ezio Cerruti. Puoi farlo come si usa fare col Moscato, abbinandolo ai dolci natalizi: in quel caso il massimo sarà Paolo Saracco, industriale quanto si vuole ma oggettivamente impeccabile nella categoria. Negli altri casi, è una tipologia che soffre. Gli altri due moscatisti erano Alessandro Boido, che con la sua Ca’ d Gal ha dimostrato come perfino il Moscato può invecchiare, e il ghiribizzo (l’ennesimo) di Walter Massa, che vedo molto più a suo agio con il “suo” Timorasso.
Giovedì. Decido di far pranzo, anche se la fame era zero, per provare un ristorante consigliato da Marina. Prima di partire, acquisto alla Compagnia del Taglio i lisergici Torroni Baci del Cavalier Borrillo (semper fidelis) e il Panbriacone della Pasticceria Bonci (lode a te). Il ristorante è Da Faccini, Sant’Antonio di Castell’Arquato. Nel piacentino. Uscita Fiorenzuola d’Arda. C’era la neve (a Berlino Est, cit). Gran posto, di tradizione secolare e buoni prezzi. Antipasto vegetariano, con tortino alle verdure e un flan con porri. Quindi caramelle ricotta e spinaci, fatte in casa. Da bere, un dignitosissimo Gutturnio Vivace 2009 di Casa Benna. Rifermentato in bottiglia, 5 euro. Piccolo residuo zuccherino a renderlo più ammiccante, bel profilo organolettico (?) di frutto e spezie. Dal Gutturnio non ti aspetti che ti cambi la vita, ma che sia onesto e vero. Questo lo è. Come il luogo in cui l’ho bevuto.
Alla sera, cena di Natale all’Ais di Lodi con presentazione del Vino degli altri. La delegazione di Lodi è stata molto gentile e ha avuto l’ardire di scegliere come cantina Lopez de Heredia. L’azienda spagnola di cui parlo nel libro. Il bianco era del ’92, il rosso dell’81. Da loro – nella Rioja – funziona così: sono pazzi. L’annata più giovane ha come minimo dieci anni (per smaltire il legno e non solo). Il bianco ha ovviamente deluso (a me è piaciuto non poco), il rosso era un capolavoro di austerità, freschezza e mineralità. Ed aveva 29 anni. Chapeau. A loro, a chi mi ha invitato e a Guido Invernizzi, vulcanica prima firma Ais con cui ci si rivedrà (spero) perché le affinità elettive non sembrano mancare.
Venerdì. Il giorno della presentazione a Torino, Circolo dei Lettori, del libro di Vauro (Farabutto). Ho grande stima di Vauro ed è stato un momento splendido. Ad averne, di momenti così. Non ne parlo molto qui, perché non è il luogo adatto, ma è di ciò che si vive.
Alla sera, facendo un po’ le corse, cena monumentale (ero digiuno dalla sera prima a Lodi) a Borgomale. Langa, e Langa è vita. Borgomale è il feudo di Silvio Pistone, pazzo scatenato – e sosia di Franz Di Cioccio – che un bel giorno ha abbandonato il suo lavoro abitudinario (piastrellista) e si è messo a fare tome. 50 pecore – ora 30 -. Fa tutto da solo, anche pane e polenta. La cena è stato il trionfo dei suoi formaggi. Un godimento quasi violento. Pistone è anche uno dei protagonisti di un documentario – Langhe Doc – in uscita in questi giorni. Da vedere.
A cena c’erano Ezio Cerrutti, Federico Ferrero con la sua compagna e suo padre (storico compagno di viaggio di Beppe Rinaldi). Dulcis in fundo Sobrino, che ha portato i suoi vini. Mi hanno positivamente colpito la sua Barbera 2004 e i Barolo 2003 e 2001. Di Sobrino mi aveva parlato bene già il proprietario del Bunet di Bergolo. Accennavo a lui in Elogio. Cerruti ha portato i suoi Sol passiti (applausi), oltre a due bianchi decisamente apprezzabili: l’esordiente calabro Montonicoz 2008 dell’azienda L’Acino (da seguire) e il 2006 Carco Blanc dello storico produttore naturalista corso Antoine Arena. Sontuoso – anche se giovanissimo – il Barolo Rinaldi 2006, portato quasi en primeur. Di serate così ce ne vorrebbe una alla settimana, come minimo.
(ora che ci penso: mentre mangiavamo, in stalla è nato un agnello. L’ho visto. E ho visto tutti quegli animali. Mi chiedo, una volta di più: come cazzo fate a mangiarli?).
Sabato. Pranzo ad Alba con Federico Ferrero, anche se pranzo è una parola grossa. Giusto un piatto di tajarin burro e salvia alla Piola (ennesima slowfood) nel centro di Alba. Piatto ben fatto.
La sera sono all’enoteca Tredicigradi di Luserna San Giovanni, sopra Pinerolo. Presento il libro, con due librai di Torre Pellice, e poi cena. Mi è piaciuta la voglia del giovane proprietario, Luca Coucourde. Sa scegliere vini, ha passione. E poi ama Roddolo, quindi va bene a prescindere. Visitare piccoli luoghi vuol dire incontrare tanti piccoli sogni. Una cosa bella. Sabato non ha fatto eccezione.
Apprezzabile la scelta degli aperitivi, dal Brut di Larmandier Bernier al Drazna Belo 2006, un orange wine del Carso dello sloveno Cotar (malvasia, vitovska e altri vitigni): deludente al naso, ma buon corpo e buona bevibilità.
Per cena era stato scelto un altro slowfood, La Nicchia, a Cavour. Gran posto e grandi vini. Avrei solo da ridire sul pizzico di boria del proprietario, un po’ troppo affettato e non esattamente spontaneo. Magari ho visto male io. Discutibile anche l’idea di aprire il Barolo Case Nere 1999 (non buonissimo: troppo legno e poca personalità) lontano da noi e scaraffarlo senza mostrare il gesto. Per una bottiglia da 55 euro, è il minimo che ti aspetti. Ottimi i piatti – segnalo i plin al seirass – e, nel profluvio di vini, mi piace citare il Ginestrino di Conterno Fantino e il Briccolero di Quinto Chionetti. Mi sono portato a casa una bottiglia di Ramiè, vanto locale come la Barbera Pinerolese Merenda con Corvi 2006, che però non mi ha proprio convinto (eufemismo).

Ringrazio chi mi ha invitato in queste settimane. Ora ho bisogno di letargo, ma continuerò a scrivere (e bere). E prima o poi ci ritroveremo anche dal vivo.