Archive for Novembre 22nd, 2010

Enoteca La Botte (Caserta)

lunedì, Novembre 22nd, 2010

(Ecco il terzo post del giorno: ma non fateci l’abitudine).

La cosa più buffa, della presentazione all’Enoteca La Botte giovedì scorso a Caserta, è stata quando Marco Ricciardi, proprietario e Delegato Ais, mi ha detto a serata conclusa: “E’ la prima volta che i partecipanti bevono tutti i 4 vini e non lasciano nulla. Facciamo degustazioni di continuo, ma qualcosa avanza sempre. Li hai plagiati: erano così condizionati da quello che dicevi che avrebbero bevuto di tutto”.
Era una battuta, ovviamente, ma mi ha fatto – e fa – riflettere. Quando mi trovo davanti più di cinquanta persone, dal semplice lettore al grande produttore, disposti a spendere 40 euro per 4 vini e una presentazione (la mia), be’, qualche domanda te la fai. Evidentemente – inutile nascondersi – i due libri hanno germogliato e creato aspettative. Più ancora: appartenenza.
Mi fa paura e al tempo stesso piacere che molti di voi provino a scatola chiusa vini che mi hanno emozionato, che il capitolo sullo Champagne vi serva come guida, che anche per voi bere un vino sia scoprire il carattere della persona che lo ha fatto. Pretendete da me un ruolo più da amico consigliere che non da espertone tritauallera: ciò che voglio, ma mi costringete a non abbassare mai la presa. Ci proverò.
Tutto questo per ringraziare chi mi legge, chi mi ha dato (bontà vostra) questo status e chi, a Caserta, è stato per più di due ore ad ascoltarmi e bere con me. Un Verduno Pelaverga 2009 di Marina Burlotto, un Dolcetto d’Alba Superiore 2007 di Flavio Roddolo, un Barolo base di Elio Altare 2004 e un Barolo Ginestra Casa Matè 2006 di Elio Grasso.
E’ stato un bel momento, che spero non abbia deluso, in contesto “alto” (una splendida enoteca davvero) e con il servizio dei sommelier Ais che colpevolmente mi sono dimenticato di ringraziare: lo faccio adesso.
La serata è poi proseguita in un ristorante poco distante, La Locanda delle Trame a San Leucio (promossa a pieni voti), dove i presenti hanno aperto bottiglie antiche e impossibili. Qualche volta siamo inciampati nel tappo sbagliato, altre volte ci siamo stupiti di fronte a un Syrah francese come si deve. Un bel vivere, quando ci è concesso.
Grazie ancora. A tutti voi.

P.S. Marco e il suo amico Francesco De Paola – la cui cantina è un potente inno alla vita – mi hanno regalato un rosso che sta facendo gridare al miracolo. Un Nanni-Copè 2008 Sabbie di Sopra il Bosco. Igt Terre del Volturno. La cantina è a Vitulazio, nel casertano. Il proprietario, Giovanni Ascione, è alla sua prima annata dopo una carriera da degustatore e critico. Il Sabbie di Sopra il Bosco è già stato eletto Vino Slow dalla prima edizione della Guida Slow Wine (parentesi: bella guida, perfettibile ma bella). Uvaggio di pallagrello nero, Aglianico e Casavecchia. Poco interventismo, naso elegante e anzitutto fruttato, buona progressione e chiaro equilibrio. Decisamente giovane, andrà aspettato e riguardato tra qualche anno. La piccola percentuale di Casavecchia viene da ceppi di – addirittura – 130 anni. Ho avvertito ancora il legno dei tonneua nuovi, che per ora ne limitano la potenzialità acida e l’eleganza. Per ora è un vino da 6.5 (chi l’ha bevuto con me darebbe voti maggiori, sono il solito noioso). Se smaltisce la vaniglia e il lieve surplus di morbidezza può dare soddisfazioni maggiori. Anche se preferisco i vini monovitigno.

P.P.S. Qui trovate una una bella recensione. E’ tratta dal blog di Luciano Pignataro. Se solo la collega Tonia Credendino, peraltro brava e gentile, mi chiamasse “Scanzi” e non “Scansi”, sarebbe quasi perfetta.

Ristorante Veritas (Napoli)

lunedì, Novembre 22nd, 2010

I due libri sul vino hanno aperto varchi spazio-temporali di cui continuo a stupirmi. Uno di questi si chiama Flavio Roddolo. In tanti sono andati in pellegrinaggio da lui, a Monforte d’Alba, dopo aver letto Elogio dell’invecchiamento. In tanti.
Tra questi, i proprietari del ristorante Veritas a Napoli. E’ andata così: una coppia fa qualche giorno di vacanza, passa per le Langhe, si ricorda del mio libro e decide di provare finalmente “questo famoso Roddolo”. Va da lui e lo trova (bontà loro) come lo avevo descritto. Da Flavio c’erano anche i coniugi Garanzini.
Nasce un’amicizia, anche grazie al mio primo libro enologico. I due ristoratori di Napoli vanno a pranzo dai Garanzini, pochi mesi dopo Gigi e Maria fanno una degustazione dei loro vini al Veritas di Napoli. Il feeling cresce e, poco dopo, anche Gianni Mura visita il locale. Due volte. Con il vecchio chef e con quello nuovo (presente da settembre di quest’anno, quindi non considerate le recensioni antecedenti a questa data che trovate sul web). Gianni rimane colpito dalla cucina, dal locale e dai prezzi. Ne scrive sul Venerdì di Repubblica.
Stefano, il proprietario, chiede il mio numero telefonico. Vuole ospitarmi. Troviamo un giorno buono, mercoledì scorso, a metà tra le mie apparizioni a Pescara e Caserta. Mi ospitano al Grand Hotel Parker’s, un cinque stelle bellissime in Corso Vittorio Emanuele. Il traffico è devastante, piove da giorni e sapete quanto efficace sia stato il governo Berlusconi a risolvere il problema dei rifiuti. In più vengo da Pacentro (vedi post precedente), sono un po’ stanco e mangiato più di quanto solitamente mangi a pranzo (quasi nulla).
Potrebbe andare male, va benissimo. Arrivo al Veritas, adiacente al Grand Hotel Parker’s (Corso Vittorio Emanuele 141), poco dopo le 21. Mi attendono Stefano e la sua compagna.
La cena, dall’antipasto al dolce, è impeccabile. Non mangiando carne, si gioca su pesce e verdure. Tutto al punto giusto, porzioni né lillipuziane né abbondanti, stile ricercato ma non troppo. Carta dei vini sontuosa, qualche birra artigianale, arredamento di chi sta emancipandosi (giustamente) dal concetto di winebar only.
Poiché non sono un critico gastronomico, ma un cazzaro a forte grado alcolico, non parlerò qui delle varie pietanze (alcune buone, altre impeccabili) ma dei vini. Non li ho scelti io, me li sono fatti scegliere dal maitre. Lo rifarei, perché la lettura della carta dei vini mi era bastata per capire che dietro alla scelta c’erano amore per le persone, rispetto della natura e ricerca garbata per la particolarità.
Il primo vino bevuto è stata una Falanghina Gallicius 2009 di Tenuta Spada. Classica Falanghina dalla schiena dritta, verticale, da aperitivo. Bella sapidità, ottimo prezzo, vino “basico” da tutti i giorni che d’estate ne berresti a secchi. Da provare.
Ho poi intuito che il maitre aveva un debole per una cantina beneventana, I Pentri. Mi ha fatto provare due vini aziendali, il Gran Momento di Flora 2002 e l‘Iss 2007. Il primo è una Falanghina botritizzata, ma vinificata secca. Quando me l’ha descritta, ho temuto quei bianchi un po’ grassi. L’ho trovata, a dire il vero, proprio così. I bianchi secchi da uve botritizzate non mi convincono quasi mai, non capisco perché a un bianco si debba dare un surplus di opulenza. Ancor più se il vitigno ha di per sé morbidezze spiccate (la Falanghina non è lo Chardonnay, ma neanche un Riesling della Mosella). Sarebbe come regalare una meringa a un obeso: che bisogno c’è? Mica ne ha bisogno. Sta già messo bene di suo. Per questo l’ho trovato un po’ stancante e in debito di eleganza e acidità. Anche l’Iss, vino da dessert a base di Fiano e Malvasia di Candia, non mi ha esaltato, soprattutto per un sentore finale di caramello bruciato che proprio non doveva esserci. Oltretutto io amo un vino dolce su cento, quindi non partivo entusiasta.
Il vino che invece mi ha convinto è l’Adam 2005 di Cantina Giardino. Un Greco macerato 4 giorni sulle bucce (lo so, ragazzi, lo so: state pensando che con questi orange wines ho un po’ rotto le palle. Non avete torto). Mi è parso un bianco di spessore e struttura, con morbidezza decisa, magari appena meno snello di quanto avrei voluto, ma riuscito e originale.
La serata è andata avanti fino a mezzanotte. Nel frattempo, ci avevano raggiunto Luca Miraglia, lettore casentinese-campano che da queste parti passa spesso, e sua moglie.
Una bella cena, un bel locale. Non posso che confermare quanto detto e scritto dai Garanzini e dai Mura, e non è una novità.

P.S. Non pago della sua gentilezza rara, Stefano mi ha portato il giorno dopo a pranzo al Timpani e Tempura, bottega-slow food nel cuore del centro storico di Napoli. Del pranzo ricordo la torta rustica napoletana, con pasta sfoglia (dolce) e ripieno di scarola, pinoli e uvetta. B-u-o-n-i-s-s-i-m-a. E ricordo ancor di più il monumentale Poliphemo di Luigi Tecce. Un Taurasi, annata 2006, naturale e spietato. Vinificato con tutti i crismi. Lieviti autoctoni, sfecciatura in acciaio, no filtrazione. Giovanissimo, ma con un talento che ne bastava la metà per fare cortei. Speziatura sottile, rabarbaro a seguire il giusto fiore e frutto rosso. Di equilibrio e miracolosa beva. Gran persistenza. Uno dei migliori rossi del sud Italia, e lo dico anche pensando al prezzo – sui 35 euro al ristorante – e consapevole che mi sono reso vittima di infanticidio, bevendo una bottiglia bambina.

Que viva Abruzzo

lunedì, Novembre 22nd, 2010

Ho scoperto tardi l’Abruzzo e me ne sono innamorato. Ho un debole per le terre povere e selvagge, che nascondono perle intatte. E’ qualcosa che mi scatta quando sono in Carnia e, per motivazioni non poi così distante, proprio in Abruzzo.
Martedì scorso, con Gianni Mura e altri amici, ho partecipato a Pescara al convegno – dedicato alla convivialità – con cui è stata inaugurata l’associazione Qualità Abruzzo. Una maniera attraverso la quale ristoratori e pasticceri si sono riuniti per salvaguardare e valorizzare il territorio.
E’ stata una giornata molto piacevole e non posso che ringraziare chi mi ha invitato, a partire da Andrea Beccaceci e Luca Panunzio.
Dopo il convegno, si è svolta la cena a Villa Maiella. Un celebre slowfood a Guardiagrele, nel chietino. La cucina abruzzese è molto carnivora, c’è tanto agnello (che mi vanto di non avere mai mangiato) e quindi potevo essere fuori contesto. Tutt’altro. Splendide le pallotte cacio e uova al sugo di pomodoro (provate durante l’aperitivo), i formaggi, i ravioli con burrata e tartufo bianco, le uova strapazzate (pure quelle con tartufo bianco). Un posto da provare subito, anche in virtù della bella veduta e della gentilezza del patron Peppino Tinari e di sua moglie Angela.
I vini, in qualche “imposti” dal Consorzio delle Colline Teramane, non ci hanno cambiato la vita (non erano esattamente le etichette più ispirate), ma il finale per pochi intimi col Villa Gemma 2001 (mi pare) di Masciarelli e soprattutto col Montepulciano d’Abruzzo Valentini 2000 (ancora giovanissimo) è stato prodigioso. Segnalo anche la presenza di una sala sigari, perfetta per i radical chic come me che ogni tanto si tolgono quello sfizio.
Mi piace la gentilezza senza fronzoli che trovi in questi posti, l’orgoglio di chi in Abruzzo c’è nato. E mi piace andare per luoghi sconosciuti. Il presidente regionale di Slow Food mi ha consigliato, per il pranzo del giorno dopo, una visita a Pacentro. Uno dei borghi più belli d’Italia, quasi inaccessibile. La strada era pure interrotta. Otto chilometri dopo Sulmona, affacciato sulla Valle Peligna, ai piedi del Morrone. Per la cronaca gossippara, era da Pacentro che veniva anche il padre di Madonna (intesa come cantante).
Qui troverete la Taverna De Li Caldora, posto incantevole. Peccato non sia entrato nell’associazione Qualità Abruzzo (ho intuito che tra qualche ristoratore c’era – e rimane – della ruggine). Bella carta dei vini, menu a voce raccontato dal proprietario Carmine Cercone. Dopo di lui, mi ha detto, il ristorante chiuderà perché i figli hanno altri interessi: quanto patrimonio perderemo, quante storie simili ho incontrato e incontro. Quanto la mia generazione (e successive) non sembra all’altezza delle precedenti.
Il prezzo finale, 25 euro, è stato ridicolo e forse è dipeso da un favore personale verso il giornalista “celebre”. Non credo, il rapporto qualità/prezzo mi era sembrato invidiabile a prescindere. Come la cucina. Inderogabili gli antipasti, che da soli saziano, dall’insalata di baccalà e prezzemolo al fritto di fiori di zucca. Anche qui ho provato l’uovo in camicia con tartufo bianco e, per una volta, mi sono fatto imporre il dolce (il Pan dell’Orso). Da bere, un tranquillo Montepulciano d’Abruzzo Marina Cvetic 2007 di Masciarelli – a margine: sta crescendo la mia stima per l’azienda Torre dei Beati).
Sarò felice di tornare in Abruzzo, ancora a Pescara, già venerdì.  A breve dirò perché. Nel frattempo, grazie ancora a chi mi ha invitato.