Archive for Luglio 26th, 2010

Coste di Cuma – Grotta del Sole

lunedì, Luglio 26th, 2010

Ho scoperto Grotta del Sole grazie ai produttori, la famiglia Martusciello, che (dopo aver letto Il vino degli altri) mi ha mandato alcuni campioni della loro vasta produzione.
Dell’Asprinio d’Aversa, versione spumantizzata, ho già parlato qualche giorno fa (bene). Nelle sere scorse è stata la volta delle due Falanghina, d’annata e riserva. E’ un vitigno noto per il nome (che viene da “falange”, palo, perché la viticoltura flegrea è solita attaccare la vite al palo). Un po’ meno per le caratteristiche. La Falanghina dei Campi Flegrei è molto diversa dalla Falanghina – più diffusa –  di tipo beneventano.
Grotta del Sole ha un che di paradossale: punta su vitigni autoctoni ed è portata avanti con filosofia naturale, ma per numeri (800mila bottiglie annue) dovrebbe essere industriale. Non lo è, ma se fosse più piccola riceverebbe maggiore affetto dagli appassionati (e dai feticisti della nicchia). Io, che pure amo il vigneron piccolo e un po’ sofferente, credo sia encomiabile fare grandi numeri e al contempo essere sensibili alla natura e alla diversità. Non è che “grande”, nell’enologia, vuol dire per forza Zonin.
La Falanghina 2009 dei Campi Flegrei, che trovate a prezzi irrisori – tra i 5 e i 10 euro – mi ha fatto venire in mente la versione riuscita del buon vino da pizzeria. Quello che non esiste quasi mai (avete mai trovato un vino buono in una pizzeria scrausa? E’ raro. Sono bianchi economici e insultanti). Invece questa Falanghina è semplice ed economica, senza pretese (apparentemente), ma buona. E personale. Rapporto qualità/prezzo che meglio non potresti.
Con la Coste di Cuma 2008, la Riserva, si sale. Non è scontato: spesso le Riserve dei vini bianchi sono solo più colorate e legnose. Questa no. La vite cresce su piede franco, niente portainnesto americano. Leggera permanenza sulle bucce, criomacerazione di 12 ore. Sei mesi di barriques francese, 12 di affinamento in bottiglia. Prezzo sui 10 euro: un prezzo quasi clamoroso. Se penso a certi bianchi italiani da 30 e più euro, ho voglia di invadere Caldaro.
Il (la?) Coste di Cuma è un vino sapido, minerale. In bocca è quasi salato, ha bella struttura e giusta acidità. Quasi granuloso, nella lingua: una microsensazione, beninteso, però indicativa di quanto la terra abbia donato a cotanto nettare. E’ un bianco sufficientemente furbo, ha l’equilibrio che quasi tutti i consumatori vorrebbero (anche se non lo dicono) ma non sculetta: non perde mai dignità. E’ se stesso, solo con un po’ di garbato trucco. Profumi di fiori e frutti gialli, erbe aromatiche. Persistenza discreta, per la tipologia. Bel finale, di indubbia finezza.
L’ho bevuto che non me ne sono neanche accorto. Anzi, sì: alla fine eravamo tutti convinti. E contenti.