Recensione La Repubblica

Mentre noi guardiamo per aria e magari parliamo al cellulare dondolando distratti il guinzaglio, loro stanno con lo sguardo fisso a terra, avidamente attaccati al suolo, pronti a dirigersi là dove li guida il naso. E’ così che osservano il mondo, dal basso, sempre. E anche noi, gli umani, siamo inquadrati a partire dai piedi, in una prospettiva che ci pone un pochino al di sopra del nostro compagno a quattro zampe. Gerarchia fasulla quanto mai quella creata dalla natura. Perché a differenti altezze si vive lo stesso miracolo. Niente funziona in modo più perfetto della comunicazione non verbale tra uomo e cane. Due specie fatte per intendersi, accudirsi, bearsi, stropicciarsi, amalgamarsi in un reciproco amore, disinibito e straripante.
Anche quando la coppia diventa un triangolo, come succede al giornalista aretino Andrea Scanzi, autore del libro “I cani lo sanno – Elogio dello sguardo rasoterra”  appena pubblicato da Feltrinelli, che l’autore presenterà a Firenze il 12 ottobre (libreria Feltrinelli Via dei Cerretani 30, ore 18). E’ lui a raccontarsi in prima persona al centro del triangolo sentimentale con le sue labrador nere (mamma e figlia) Tavira e Zara. Una famiglia allargata – di nome e di fatto, vista una certa tendenza della razza ad accumulare qualche chilo di troppo – dove l’unico bipede è indiscusso oggetto del desiderio delle due pelose fanciulle. Passione totalmente ricambiata, peraltro: «Le sniffo di continuo», confessa Scanzi senza pudore.
«Chi non ha cani sostiene che abbiano un cattivo odore. Sarebbe come dire che gli uomini sudano. Un’ovvietà ma anche un’asserzione fuorviante. I cani hanno un loro odore. Che non è un cattivo odore. Tavira e Zara sanno di Pongo, un misto di gomma bruciata, polvere da sparo e pneumatici Michelin dopo una frenata senza Abs. Ricorda il bouquet di certi Barolo invecchiatissimi, o di quei Riesling della Mosella che sembrano sapere di idrocarburi. Uno spettacolo olfattivo». Beh, se non è amore questo.
Chi ha vissuto con un cane conosce la magia. Magnetismo animale, comunione dei sensi, intesa spirituale, divano letto condivisi, stati d’animo connessi «La comunicazione tra uomo e cane si fonda sul non detto e sullo sguardo. L’opposto esatto di quella tra uomo e uomo, o uomo e donna, che poggia su troppo detto e sulla miopia deliberata». L’uomo ha uno svantaggio enorme però. Sa che il cane morirà, mentre il cane non lo sa. E sa che, se va bene, vivrà un quinto della sua esistenza. Tremenda ingiustizia. “Un cane è la tua morte in anticipo. Muore al tuo posto per vedere la strada che ci sarà dopo e poi raccontartela. Un cane va in perlustrazioni nell’abisso. Muore al tuo posto e tu muori con lui. Però poi tu riparti. E lui no. Perché è così che funziona».
Tavira e Zara sono “tutti i cani”. Ma anche i proprietari si possono classificare, tipologie infinite come infinite sono le razze e ancora di più gli incroci che danno vita ai meticci. A ciascuno il suo. C’è la Donna Borsa con il cane pulce, l’Uomo Palestrato col molossoide, il Solitario che spera di rimorchiare al parco e il Cacciatore che dà solo ordini e comandi. E poi c’é Andrea, che sogna una zattera a tre posti. «La zattera dei cani é la cuccia. La zattera del naufrago è il cane».
Provare per credere.

(Simona Poli, La Repubblica Firenze, 2 ottobre 2011)

2 Comments

  1. Ah, un’altra cosa, poi ti lascio in pace: neanch’io sono esente da quelle trappole semantiche e culturali disseminate nel nostro parlato quotidiano, specialmente quello familiare. Quindi, per definire quello strano gorgoglìo emesso dalla mia gatta Nina durante il sonno, fatto di suoni variamente articolati dalle tonalità e intensità differenti, mi viene da dirle dolcemente “che fai, chiacchieri?”. E così la racconto a mio figlio “Nina in certi momenti sembra parlare nel sonno”. Non vorrei mai che Nina fosse una persona ma in quel momento la descrivo come tale. Poi, quando leggo libri come il tuo che mi inducono ad una profonda riflessione, mi rendo conto di aver sbagliato il modo di esprimermi e di aver comunicato qualcosa che non pensavo realmente. E riprendo il filo del discorso logico perso nella quotidianità fatta di ipocrisie, immediatezze, convenienze e aggrovigliati compromessi. Semanticamente pigra, culturalmente rassegnata.

    Un saluto affettuoso, a tutti e tre.

  2. Bello il tuo libro. L’ho apprezzato molto nonostante io sia abbastanza schifiltosa. Ma mi sono ritrovata in casa la nemesi in forma trina e felina che non mi fa mancare nulla: code di lucertola ancora in piena motilità, cinciarelle grondanti sangue, una volta anche un pipistrello (quello però mi sa che era già stecchito di suo). Pare che siano omaggi. Chissà con quale madonna di divinità pensano di avere a che fare, forse la dea Kalì. Ma io le amo ugualmente, quindi, in teoria, non dovrebbe importarmene se periodicamente la casa diventa l’antro di una strega.
    Probabilmente c’è di mezzo anche una sorta di legge di…. completamento (boh) visto che io sono cresciuta in compagnia dei cani: la mia Laiva, il mio Alì, il mio Pistolino. In realtà Pistolino, un adorabile bastardino, non era mio ma dei vicini, eppure forse proprio per quello ci adoravamo senza riserve, perché non c’era un rapporto di dipendenza dettato dal bisogno materiale e dall’abitudine che fa passare le cose più importanti in secondo piano. Amavamo ritrovarci ogni volta. Quando tornavo a casa mi correva incontro a perdifiato, una scheggia, un missile raso-terra. E io lo accoglievo a braccia aperte urlando il suo nome. Esplosioni di gioia reciproche.
    Sai, Andrea, non ricordo che i miei cani mi abbiano mai leccata e se l’hanno fatto non sono mai stati incoraggiati, in virtù di una regola dettata (per quanto mi riguarda) più dall’istinto che dall’educazione: loro, cani e gatti, hanno abitudini alimentari ed igieniche diverse dalle nostre ed è giusto mettere delle rispettose barriere.
    Inoltre, se ci pensi bene, la regola assume anche valore etico: se credi veramente, come scrivi, che l’umanizzazione di una bestiola sia sbagliata, perché dovrebbe essere giusto il processo inverso? Anche se adoro guardare le mie gatte mentre si leccano a vicenda, perché dovrei usurpare una comunicazione così intima, un bisogno fisiologico, un linguaggio tutto loro permettendo o pretendendo che diventi anche mio? O peggio, pretendendo di diventare, attraverso esso, oggetto di venerazione?
    Se è ridicolo sentire un essere umano che dice del suo cane “gli manca solo la parola” (a testimonianza di una presunta superiorità umana cui ogni forma di vita dovrebbe aspirare) sarebbe altrettanto ridicolo pensare di un essere umano “gli manca solo d’abbaiare” (a testimonianza di una presunta inferiorità animale in nome della cui debolezza, dipendenza e bisogno viene tutto pietosamente o regalmente accordato). E’ una violazione delle rispettive identità.
    Ti faccio un ultimo esempio, tanto per farti capire come è facile perdere la bussola quando si tratta delle nostre bestiole: la cagnolina della mia ex suocera aveva il vizio, quando riceveva coccole da estranei, di fare regolarmente pipì sulle scarpe del malcapitato/a di turno. “E’ per l’emozione. Lei è emotiva, come me” replicava la suocera sorridendo tra l’imbarazzato e l’inorgoglito (l’imbarazzato, secondo me, era di facciata), guardandosi bene però dall’avvertire per tempo la vittima ormai fatalmente predestinata. Sono sicura che avrebbe pagato in oro la possibilità di dire “lasciateglielo fare”.

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