Quanto ci mancherà, l’umanità autentica di Gianmaria Testa

testa2E’ difficile scrivere della morte di Gianmaria Testa. Ed è difficile non solo per il dolore, fatalmente enorme di fronte a una scomparsa così anticipata. E’ difficile anche perché, in quell’equilibrismo faticoso che tocca inseguire per non essere retorici quando si racconta la storia di chi non c’è più e vorresti ci fossi ancora, non essere troppo sentimentali è dura. Non è che Testa lo si racconti ora garbato e dotato, disponibile e semplice perché non ci sia più: lo si racconta così perché era così. E bastava poco per capirlo: lo capivi subito. In tanti lo eternano già come “il cantautore degli ultimi”, immagine che ricorda quella con cui ancora adesso si cristallizza Fabrizio De André, uno dei suoi maestri, morto pure lui troppo presto: neanche 59 anni Faber, neanche 58 Gianmaria. Nato a Cavallermaggiore il 17 ottobre 1958, “da quella parte sbagliata del Tanaro dove non si fa il Barolo ma l’Arneis”. Morto ieri mattina ad Alba, la città in cui abitava da tempo e il luogo per sempre di Beppe Fenoglio. Nel settembre scorso, per la maratona dedicata allo scrittore albese, c’era tanta gente. Chi per ascoltare, chi per leggere qualcosa dell’uomo che si fece Johnny e si fece Milton. C’era Giorgio Conte, fratello di quel Paolo a cui Testa veniva accostato spesso, un po’ a ragione e un po’ no, e non si è mai capito quanto a Gianmaria facesse poi piacere quell’accostamento costante. C’era la moglie Paola Farinetti, sorella di Oscar, compagna premurosa e manager protettiva, che gli è stata accanto fino alla fine. Testa, alla maratona fenogliana, non c’era. Era stanco. Stanco della malattia. Ma ci aveva provato. Ci ha sempre provato: fino all’ultimo. La lezione alla Scuola Holden di Torino a fine luglio, gli incontri pubblici, i concerti sognati. Aveva scoperto per caso la malattia, allarmato da qualche sintomo e stimolato a farsi visitare anche da Paolo Rossi, uno dei tanti amici artisti con cui ha collaborato. Erri De Luca, nella testa1prefazione della biografia-testamento in uscita il 19 aprile prossimo per Einaudi (Da questa parte del mare), ha scritto: “Ciao socio, compare, fratello che non mi è capitato in famiglia e che ho cercato intorno, grazie di accomunarmi al libro della tua vita”. E ieri: “Non ci abbracceremo più, ma lo abbiamo fatto 1000 volte. Il mio braccio ha lo stampo della tua spalla”. In una intervista prodigiosa e dolente del maggio scorso, Testa si era raccontato all’amico Michele Serra su Repubblica: “Ho un tumore, l’ho scoperto ai primi di gennaio. Non è operabile. Ho fatto cinque cicli di chemioterapia, il tumore si è molto ridotto. Ma i medici mi hanno detto che nei prossimi mesi devo annullare ogni altro impegno che non sia curarmi. Avere cura di me. Ed è quello che sto facendo”. Poi: “Sei costretto a convivere con un corpo estraneo, non sei più solo, sei in due. Ma si può reagire, si può guarire, e soprattutto si può rimanere pensanti. È così che cerco di fare io (..) Mi mancano i concerti, mi manca moltissimo suonare e cantare. Lo faccio piano, da solo. Di notte, così non do fastidio. Penso molto alla musica e alle canzoni, ci penso continuamente. È come se mi rendessi conto solo adesso che erano parte integrante del mio vivere”. Infine: “Io sono tranquillo. Torno. Se il tempo è galantuomo, guarisco e torno”. Gianmaria Testa lascia molte canzoni, ora in studio e ora live. Gemme scoperte subito in Francia (era di casa all’Olympia), in Germania e pure a New York. L’Italia, invece, deve ancora apprezzarlo appieno, appesantita da quella pigrizia atavica che l’ha portata spesso a definirlo distrattamente “cantautore ferroviere”. Essenziale in musica e in vita, arricchito da un’empatia sincera verso gli ultimi che fece scattare un’amicizia definitiva con il grande Jean-Claude Izzo. Semplice come solo può esserlo un uomo di Langa che ama il vino, i partigiani e la malora. Cantante senza fronzoli e paroliere ispirato, dal vivo dava il meglio di sé. Ha scritto anche libri per bambini, intrisi di tenerezza intatta. Il primo disco è del 1995, l’ultimo (un doppio live: e che live) del 2013. Bello muovercisi dentro, perché dove cogli cogli bene. Testa era sempre se stesso: cantautore classico. Elegante e militante. Coi suoi personaggi sbandati e dimenticati (ma non da lui), in cerca di un’appartenenza autentica e di una collettività che restituisse dignità a una vita spesso carogna. Non si arrendeva, Gianmaria: inseguiva il guizzo. Lo scatto. Il riscatto. E noi con lui. (Il Fatto Quotidiano, 30 marzo 2016)

2 Comments

  1. Grazie, è la prima parola che mi viene in mente, per quelle parole lievi come nuvole, eppure incisive come giornate di pioggia tristi , su un’artista piccolo nel suo essere, ma grande, anzi grandissimo nel suo dare. Ieri se n’è andato un altro poeta, che delle parole messe su note, fatte di corda di chitarra, ne ha fatto vita. Una vita intensa fatta di emozioni, tutte, perché sono le emozioni che ci fanno apprezzare questa vita. Quelle parole che oramai così poche persone sanno dare, capire, apprezzare . Le sue, le ho gradite molto, non che questo importi, ma sono convinta che al sig.re Testa, siano piaciute davvero tanto, e questo sì che è importante. In fondo lui non è proprio morto, vive in un’altro modo, vive attraverso le sue ballate, le sue parole, la sua musica accompagnata spesso da una tromba, attraverso quel suo ritmo cambiato di continuo, attraverso quella sua sottile vena di malinconia.
    Grazie sig.re Scanzi condividerò il suo articolo, ha volte si ha bisogno di parole così , soprattutto ora, che di poetico c’è davvero poco… A volte rido, quando si definisce un cazzaro, forse perché cazzaro come lei, vorremo esserlo un po’ tutti…

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