Sono un cazzaro (ma di talento) – Vanity Fair

2015.04.29-pag1Andrea Scanzi sa essere gentilissimo. Nell’accoglierci a Cortona, la città do­ve vive, si prodiga in ogni sorta di corte­sia. Si fa fatica a conciliare questo Scanzi con lo Scanzi che in Tv a una signora ha detto: «L’autobus le è caduto sul cervel­lo e ha sdraiato quei due neuroni». D’ac­cordo, la signora era Daniela Santanchè, e la battuta si riferiva al leggendario twe­et della parlamentare sull’incidente Ger­manwings («Che origini hanno i piloti dell’autobus caduto?»). Resta il fatto che i commenti di Scanzi, a Otto e mezzo e nei talk show dove fa l’opinionista, sono brutali al limite dell’insulto.
Andrea Scanzi sa scrivere. Lo sa chi ha letto i suoi ritratti dei personaggi della musica, i suoi articoli sulla Stampa e, dal 2011, sul Fatto Quotidiano. Ma è bravo an­che come scrittore «vero»: il suo saggio Non è tempo per noi (del 2013, alla quin­ta edizione), è un ritratto graffiante e au­toironico dei quarantenni di oggi, la gene­razione nata nei Settanta. In questi gior­ni è uscito, invece, il suo primo romanzo, La vita è un ballo fuori tempo, storia di un Paese in crisi, dove un quarantenne, Stevie Vaughan, si lascia vivere lavorando in un giornale senza dignità, mentre il non­no Sandro, lui sì vispo e ribelle, ha messo su una società di videogame per anziani e progetta di fare la rivoluzione.
Scanzi è una persona sincera. Se non ci credete, leggete qui sotto.

I quarantenni tornano anche nel suo pri­mo romanzo. Perché?
«Perché è la mia generazione, e perché mi ha deluso profondamente. Antonino Caponnetto, la guida del pool antimafia, a scuola ci disse: “Ora tocca a voi”. Ma noi non siamo riusciti a prenderci quel­la responsabilità. Restiamo una genera­zione senza slanci, rassegnata. Un gior­no Gaber mi disse che i suoi coetanei non avevano coscienza civile, ma alme­no loro ci hanno provato, a cambiare le cose (Scanzi a teatro è autore e interpre­te di Gaber se fosse Gaber e Le cattive strade, ndr). La co­sa più grave è aver sopportato Berlusco­ni per vent’anni».
Molti quarantenni le risponderebbero che di Berlusconi sono stati vittime.
«In parte. E comunque la vittima dopo un po’ si arrabbia. Noi invece non sap­piamo che cosa sia l’indignazione; ci manca il senso di collettività, siamo la generazione dell’io, non del noi. I vec­chietti del libro, oltre ad avere spirito ri­voluzionario, sanno fare gruppo. Stevie e i suoi amici, invece, hanno nomi da rockstar e vite da sfigati».
2015.04.29-pag2Il nonno del libro è ispirato al suo?
«Sì, mio nonno era simile: tenero, buffo, fisicamente uguale a Pertini. Uno degli anelli che porto è la sua fede. Il gran­de cruccio della mia vita è non esserci sta­to quando è morto, a 96 anni: invece di restare al suo capezzale, sono andato lo stesso a uno stupido convegno. Non se lo meritava, perché è lui che mi ha cre­sciuto assieme a mia nonna».
Perché è stato cresciuto dai nonni?
«Abitavamo tutti nella stessa casa ad Arezzo. Papà lavorava alle Poste, mam­ma è un’insegnante di lettere delle me­die, impegnata, femminista: non è mai stata generosa di complimenti con me. Entrambi di sinistra, genitori meravigliosi, che spesso preferivano parlare di politica che di sentimenti. Ai talkshow, non volendo, mi hanno abituato loro».
Che cosa sognavano per lei?
«Proprio quello che sto facendo ora, cre­do. Sono riuscito a fare il mestiere che volevo: scrivere».
Da giornalista a personaggio televisivo, con Reputescion in onda su La3, e opinio­nista. Come Marco Travaglio, il suo di­rettore. Che cosa avete in comune?
«Tante, tantissime cose. A lui e Antonio Padellaro devo moltissimo. Faccio prima a dirle le differenze: io so­no toscano e fumantino, Marco sabaudo e più impostato. Per lui la politica è una passione autentica, per me molto meno. La mia vita sono la compagna, gli amici, i ca­ni, i vini: ho molti altri interessi. Marco poi fa teatro e Tv principalmente perché gli garantiscono un pubblico più ampio per le sue idee, a me invece il palcoscenico diverte proprio».
La diverte insultarsi con la Santanchè?
«Mi tolgo il gusto di trattare certi perso­naggi come meritano di essere trattati. Non ne ho alcun rispetto, hanno rovinato questo paese. Il rischio di cadere nella volgarità c’è, ma vale la pena correrlo per poi, negli altri casi, fare l’orfano di sinistra che è confuso come una pallina da flip­per e non sa dove andare».
Renzi proprio non le piace?
«No. Per niente. Lo trovo troppo simile a Berlusco­ni, con in più i difetti della nostra genera­zione, alcuni dei quali sono anche i miei: fondamentalmente siamo dei cazzari, seppur di talento».
Mi dia la sua definizione di cazzaro.
«Uno che si prende molto meno sul se­rio di quanto sembra, che quando parla o scrive lo fa con l’obiettivo di far sorri­dere, anche se tocca temi seri. Uno che sa di tutto ma non è esperto di niente, e mescola alto e basso in continuazione. Il problema di Renzi è che in certi ruoli non lo si può fare».
Per essere un cazzaro, lei si è sposato presto: aveva 29 anni.
«Ero follemente innamorato. Linda ave­va 26 anni, era bellissima, finalista di Miss Italia l’anno in cui vinse Anna Val­le. Ricca, perché la sua famiglia possie­de una delle più importanti aziende ora­fe di Arezzo. Vivevamo in una casa di tre piani, piscina, campo da tennis. Non ave­vamo figli, e non ne volevamo. Non avrei potuto chiedere di più, ma dopo qualche anno la mia vita è cambiata, il lavoro mi portava in giro, e l’amore è finito, quindi ci siamo separati. L’unico dispiacere vero che ho dato ai miei genitori e a mio nonno».
L’ha lasciata lei?
«No, ovviamente è stata Linda ad ave­re il coraggio di dire basta. In compen­so, nelle storie venute dopo, ho impara­to a prendere io l’iniziativa».
Parliamone. Lei ha fama di tombeur de femmes.
«Fino a un anno fa si diceva che fossi gay, invece non lo sono, e neanche bisessuale. Mi piacciono le donne, an­che troppo: nel mio matri­monio l’ho pagata. Trag­gono in inganno gli orecchi­ni, gli anelli. Una volta, su consiglio di Aldo Bu­si, ho provato a toglierme­li, ma dopo un mese me li sono rimessi».
E’ anche sempre molto ab­bronzato, o sbaglio?
«Ho smesso di farmi le lampade due anni fa. Fanno male e sono ridi­cole, lo so, ma detesto ve­dermi cadaverico, ho la pelle molto bianca. Oggi ogni tanto mi do uno spray autoabbron­zante, o mi faccio truccare in Tv. So che a volte esagero, e cado nell’effetto Car­lo Conti. Vado anche dall’estetista, a far­mi le mani. Ammetto di curarmi molto, ho la sindrome della soubrette: il com­plimento più grande che una donna può farmi è dirmi che è venuta a letto con me perché sono bello».
2015.04.29-pag3Succede spesso?
«No, in genere le donne provano per me un’attrazione intellettuale. Dopo esser­mi separato, poi, in concomitanza del mio successo in Tv, mi sono accorto che molte signore, anche famose — cantan­ti, giornaliste, attrici, parlamentari — mi concedevano qualcosa, e mi sono com­portato da classico maschio italiano che scopre il Bengodi».
Faccia dei nomi.
«Sarebbe poco elegante, erano quasi tut­te impegnate, a parte Selvaggia Lucarel­li. Di solito sono grandi, dai 35 ai 50 an­ni. La velina non mi interessa, e proba­bilmente nemmeno io a lei».
Com’è la cinquantenne a letto?
«Molto esperta e disinibita. Uno come me, che ama molto giocare sul sesso, si è divertito tanto».
Il corpo di una ventenne è un’altra cosa.
«Erano tutte tenute molto bene: ci ten­go all’aspetto fisico. Tra le giornaliste, per dire, il mio tipo è la D’Amico. Nel romanzo, il sogno erotico ricorren­te del protagonista coin­volge Rossella Brescia, che grazie alla pubblici­tà Tissot è un mito della mia generazione, e Rosa­rio Dawson».
Si è innamorato spesso?
«Della mia prima fidanza­ta al liceo, di mia moglie, di Selvaggia — tre mesi ma brucianti — e della mia attuale compagna».
Perché è finita con Sel­vaggia Lucarelli?
«Mi ero appena separato. Ero confuso, inquieto, vorace di esperienze. Lei era molto più quadrata, serena e matura. La avvertivo possessiva e gelosa, sentimenti che io non conosco. Avevo la sensazione che inconsciamente, e legittimamente, cercasse un uomo che fa­cesse subito il padre di suo figlio, e ma­gari fosse pronto a farne un altro. Probabilmente una sensazione sbagliata. Comunque meglio così, siamo più bravi come amici che come amanti. La stimo, le voglio bene».
Chi è invece la sua attuale compagna?
«Verdiana, una ragazza pugliese, com­mercialista a Milano. Fisicamente è il mio ideale: capelli alla Randi Ingerman, altro mio mito, piedi e caviglie spettacola­ri. Ci frequentiamo da quattro anni on off, ora abbiamo deciso di convivere a Milano».
Come l’ha conosciuta?
«Mi ha scritto su Facebook: leggeva il blog che ai tempi avevo su Micromega».
Una fan, quindi.
«Sì, che mi colpì per due cose: scriveva benissimo e, nel suo profilo, aveva messo una foto dei suoi piedi, in infradito. Se­condo me l’ha fatto apposta, perché sa­peva che sono feticista, ma lei nega».
Feticista si nasce?
«A scuola mi sentivo un pervertito: i miei amici guardavano seni e sederi, io mi eccitavo per caviglie e piedi. Gra­zie alla Rete, per fortuna, ho scoperto che i miei sono gusti piuttosto diffusi, e che sono feticisti anche molti artisti, da Bunuel a Tarantino. La cosa buffa è che non sopporto i miei di piedi: non metto mai i sandali».
Per molti versi, lei somiglia a un altro giornalista, Giuseppe Cruciani.
«Siamo entrambi molto narcisi, amiamo il successo, la polemica, le donne. Cru­ciani però è molto più a suo agio di me in tutto questo: io non sono bastian contra­rio a prescindere, e non ostento le con­quiste con il mazzo delle figurine, come invece fa lui».
Crede ancora nel rapporto di coppia?
«Sì, ma ho paura dei miei punti deboli: sono irrequieto, spigoloso, molto preso da me stesso. Stare con me non è facile».
Si risposerebbe?
«No, mai. Invece mi sto ricredendo sui figli. Ho sempre avuto un imbarazzo profon­do a relazionarmi con i bambini, ma mi dispiacerebbe non continuare la stirpe Scanzi. Chissà, un giorno. Forse».

(Sara Faillaci, Vanity Fair, 29 aprile 2015)

4 Comments

  1. I figli si fanno in due anche dopo i 40, ed é una cosa meravigliosa relazionarsi con loro per tanti motivi, tutti da scoprire ogni giorno.. E poi ti leggono dentro … ti auguro di provare questa gioia.

  2. Ciao Andrea, mi permetto di darti del “tu” perchè siamo quasi coetanei. Non so perchè ti scrivo ma sento di avere una profonda affinità con te, hai un modo di porti ( forse un po’ “stronzo”) che mi piace molto, leggo i tuoi articoli quando posso e quando ti vedo in televisione mi fermo ad ascoltarti. Da buon Narciso ti piaceranno i complimenti ma i miei non vogliono essere banali e siccome il mio mestiere non è scrivere non so come esprimere questo impulso che mi è venuto di doverti contattare in qualche modo.
    Non so cosa dirti ma so che avrei tante cose di cui parlare con te.
    Eviterò di raccontarti la mia vita perchè non credo ti interessi minimamente. Eviterò quindi di parlarti dei miei sogni infranti anzi dei sogni che la mia e tua generazione non ha neanche osato fare in quanto è stata sempre sopraffatta dalla realtà.
    Il mio non è neanche malcontento, è l’ostinazione quotidiana di voler buttare giù un boccone amaro, è volermelo far piacere a tutti i costi, è porsi il traguardo dei quarant’anni in cui se tutto va bene quel boccone sarà andato giù. È brutto a dirsi ma l’aver studiato, l’essermi fatta una cultura, continuare a leggere, andare al cinema e cercare di tenere acceso il cervello non aiuta.
    A volte vorrei essere come tante mie coetanee che trovano soddisfazione nel pulire casa, fare bambini e uscire ogni tanto a mangiare una pizza!
    Io mi emoziono alle lacrime per un quadro, per un bel film, per un buon libro, per una buona birra belga a lievitazione spontanea…
    Insomma alla fine ti ho parlato di me e non volevo.
    Se sei arrivato fin qui ti ringrazio, la cosa mi imbarazza notevolmente perchè…non so neanche perchè!
    Comunque grazie, il tuo libro è sulla mensola dei libri da leggere scusa ma tra il libro fisso sul comodino, Dylan Dog e il lavoro non so dire quando riuscirò a cominciarlo!
    Se mi invii anche solo un “fatti furba” lo prendo in mano subito!

    Sara

    • Ciao Sara,rispondo io per Scanzi, occupatissimo ( SCHERZO!!!!) perché anch’io sono vostra coetanea. Anche a me, come a molti altri e come a te è rimasto un po’ d’amaro in bocca. Anni trascorsi nell’accudire gli altri, tra vari problemi, cercare di vedere anch’io realizzati i miei sogni. Sono stata sempre ambiziosa e lo sono tuttora: mi sono laureata e avevo bei progetti.Adesso sono a casa vicino ai miei figli e a mio marito per scelta, e per scelta spesso pulisco casa. Ciò non toglie che continui ad avere interessi: ho una buona cultura musicale, leggo molto e vedo film.Sembrerà strano,ma “l’accontentarsi” di quello che si ha e soprattutto rendere ciò che si ha un bene inestimabile ti mette nella prospettiva di godere della vita. Non è retorica, né banalità. Questa naturalmente è la mia esperienza personale ( e forse avrò annoiato qualcuno),ma ci tenevo troppo a riferire questo mio pensiero : per me alla fine lo scopo della vita è qualcosa di molto semplice e complesso allo stesso tempo e qualcosa che noi donne, se vogliamo, sappiamo fare bene: AMARE. Scusa se mi sono intromessa, la tua lettera era rivolta ad una ben precisa persona la quale forse non sarà d’accordo con ciò che ho scritto.O forse si. Chissà. Non si saprà mai. Ciao

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