La piccola grande storia di Luca Vanni

vanniDue settimane fa, lunedì 26 gennaio, Luca Vanni si stava allenando a Foligno con l’amico e collega Fabbiano. Disperato, non sapeva se prenotare o meno il volo per il Sudamerica. La sua classifica non gli permetteva di entrare nel tabellone principale di Quito. Alla fine si è liberato un posto e lui è partito. E’ uscito al primo turno. Era soltanto la sua seconda partita nel circuito maggiore: tutte in questo inizio di 2015, tutte perse, tutta alla soglia dei 30 anni (li compirà a giugno). Già che c’era ha provato anche col torneo successivo di Sao Paolo. Ancora su terra battuta: più che la sua superficie preferita, l’unica che le sue ginocchia martoriate paiono sopportare. Tra i 19 e i 20 anni si è spaccato due volte menischi e legamenti. Nel 2013, quando pareva girare per il verso giusto, ancora i legamenti. Si è operato, restando fermo quasi un anno. A fine 2013 era 950 al mondo, un anno fa 700. A Sao Paulo deve passare dalle qualificazioni. Si è portato soltanto due racchette in valigia, quando i professionisti ne hanno almeno cinque. Una la spacca durante le qualificazioni, così va a comprarne un’altra nel primo negozietto che trova: abituato a girare il mondo per scampoli di gioia e gloria, alternando i tornei all’attività di maestro di tennis, per lui è solo un gesto quotidiano come tanti. Supera tutti e tre i turni, sempre in tre set, regolando anche il numero 98 del mondo (Gimeno Traver) con un doppio 6-4. Qui ha il primo colpo di fortuna vero della sua carriera: Feliciano Lopez, testa di serie numero 1 del torneo, si cancella. Il sorteggio dice che sarà proprio vanni2Vanni, lungagnone aretino (Foiano della Chiana) di 1 metro e 98 detto “Lucone”, a prendere il posto di Lopez. Supera il primo turno con un “bye”, lo scivolo concesso ai big in alcuni tornei. Agli ottavi trova l’olandese De Bakker. Lo batte in tre set ed è la sua prima vittoria ATP. E’ così contento che posta su Instagram un video sotto la doccia: è pazzo di gioia, sembra ubriaco, farfuglia qualcosa in inglese e racconta che ha ricevuto addirittura 42 messaggi su Whatsapp. Nei quarti ritrova il serbo Lajovic, 77 al mondo. Lo stesso che, una settimana prima, lo ha eliminato a Quito. Vince e si ritrova in una semifinale ATP. Non ci crede neanche lui, anche se chi lo segue da sempre garantisce che – senza infortuni – meriterebbe i 40. In semifinale, oltre a vincere, vendica la disfatta di Maceiò, quando la torcida brasiliana travolse l’Italia di Coppa Davis fino ai “crampi psicologici” di Pescosolido. Dall’altra parte c’è il brasiliano Joao Sousa. E’ una fortuna trovarsi contro il 110 al mondo in una semifinale ATP, ma è una sfortuna trovarsi contro l’eroe locale. Il pubblico, scorretto come pochi, gli grida di tutto. Vanni domina fino al 5-4 secondo set, serve per il match e gli viene il braccino. Si ritrova al terzo e a quel punto nessuno, di nuovo, avrebbe puntato su di lui.
vanni4Invece ce la fa ed è finale. Prende il microfono e, con ironia rara, ringrazia il pubblico “per l’affetto”. E’ tutto più assurdo che favolistico, o forse viceversa: forse è solo la cosa giusta. Forse è solo la settimana in cui Vanni si vede restituire tutto quello che fin lì gli hanno tolto. In finale sembra chiuso: dall’altra parte c’è Cuevas, uruguaiano 32 al mondo. Vanni perde il primo set, poi si accende e cambia volto alla partita. Vince la seconda frazione e, nel terzo, serve per il match. Sempre sul 5-4. Stavolta il braccino è fatale: cede 6-7 al terzo, dopo avere avuto pure un minibreak di vantaggio nel tie. Oggi è 108 al mondo, se avesse vinto sarebbe entrato negli 80. Costretto a scegliere tra il rimpianto dell’occasione perduta e l’estasi di una settimana da Dio, ha gridato al microfono: “Vi amo tutti”. Vanni non è un campione, ma neanche l’ultimo arrivato. Merita la posizione attuale. Il servizio è notevole, il rovescio bimane rispettabile. Simpatico, genuino, spontaneo. E’ un Del Potro molto meno dotato, con il grande problema di mobilità e infortuni. E’ il quinto italiano nel ranking, dopo Seppi, Fognini, Bolelli (che affronterà domani a Marsiglia) e Lorenzi (a cui somiglia per abnegazione ed esplosione tardiva). Forse sette giorni così non li rivivrà più, ma di sicuro nessuno potrà mai toglierglieli. (Il Fatto Quotidiano, 17 febbraio 2015. Extended Version)

5 Comments

  1. Per fortuna in Italia ci sono storie come questa… da papà di un’atleta… quasi quasi mi vengono le lacrime agli occhi…. BRAVO LUCA…… TE LO MERITI……….

  2. Grazie. Non sapevo nulla di questo sportivo. E come nel commento sopra seguo con piacere i suoi articoli, tutti. Politici e no. Questo mi ha appassionato come un piccolo romanzo (non sapendo nulla di Luca Vanni non vedevo l’ora di sapere come finiva). Bella storia. Tiziano Gioiellieri

  3. No, non glieli toglierà nessuno questi sette giorni, nemmeno se non dovessero mai più ripetersi. Il tennis è fatto anche di questo, di gente che come fantasmi vivono una classifica ed una vita diversa da quella che il circuito celebra tutte le settimane. Di Luca Vanni sapevo poco, ammetto di non poter seguire tutto e mi limito al circuito di livello, però fanno ancora bene questo tipo di favole. In un mondo sportivo fatto di Falco, Istant Replay e moviola e moviolone… ma si. Forza tutti i Luca rimasti in questo mondo!

  4. Bell’articolo. Magari si sentissero più spesso storie di questo tipo nel mondo dello sport agonistico, altro che Calciopoli e giri di denaro spropositati.

  5. Ti apprezzo molto quando parli di politica, ma in articoli del genere ti superi. Bravo davvero. E poi in fondo, parlare di una persona normale come Vanni che ce l’ha messa tutta, è parlare di politica più di quanto si pensi.
    Saluti

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