Andrea Scanzi, un eclettico intransigente appassionato di Giorgio Gaber (intervista)

gaber 20L’aperitivo tarda ad arrivare, ma mancano ancora due ore all’inizio dell’incontro spettacolo “Gaber se fosse Gaber” di e con Andrea Scanzi, che si terrà al teatro delle Rose a Piano di Sorrento, nell’ambito della rassegna “PianOmaggio per Giorgio Gaber”. Al Marianiello Jazz caffè, poi, l’atmosfera è quella dei tardi pomeriggi assonnati: gente poco rumorosa e profumo di caffè. Dunque, l’ideale per una chiacchierata a due, pacata e intensa. E guardarsi negli occhi (e nel cuore) non sembra un problema.

Nica: Andrea Scanzi. Sei giornalista, scrittore, fai televisione e ti occupi a più livelli e in modo competente di tante cose. Questo essere difficilmente etichettabile ti ha mai creato crisi di identità in un società dove le etichette servono per incasellare e riconoscere le persone? 

Scanzi: No, crisi d’identità no. Perché so quello che voglio fare o gli ambiti in cui sono competente e quelli in cui non lo sono. Mi ha creato e mi crea un po’ di problemi, perché come dicevi tu siamo un po’ nel regno delle etichette e delle etichettature. Lo sapeva bene Gaber, che per tutta la vita è stato in qualche modo etichettato di sinistra, di destra, anarchico, eccetera. Quando si trovano figure come me si usa sempre la parola, o parolaccia, tuttologo. Perché scrivi di troppe cose, parli di troppe cose, sei un artista, però sei anche sommelier, fai teatro, fai giornale, fai televisione, scrivi di vino, scrivi di musica. E’ una critica che ci può anche stare. Io preferisco definirmi in maniera un po’, se vuoi, troppo positiva, eclettico. E cioè, molto banalmente, io mi annoio se scrivo sempre della stessa cosa, o se parlo sempre della stessa cosa. Semplicemente in alcune fasi della mia vita è capitato che o direttori di giornali, o testate editoriali, o televisioni, mi chiedessero di parlare di tanti argomenti. Quindi poi magari mi richiamavano. E  ho scoperto che in quelle cinque o sei cose di cui di solito io mi occupavo ero abbastanza credibile. Io amo moltissimo la musica, molto di più della politica, però non ce la farei a scrivere tutta la vita di De Andre’, di Gaber, anche perché purtroppo De Andre’ e Gaber non ci sono più, e allora poi oggi dovrei parlare di artisti molto meno bravi. Ho avuto la fortuna, di avere, di solito, dei direttori di giornali, come ad esempio Antonio Padellaro adesso, che mi fanno fare da jolly. E questo è molto importante per me, proprio perché mantengo viva la stimolazione intellettuale, mi sento stimolato a scrivere, mi sento anche stimolato a scoprire tante cose, non mi annoio, e in qualche modo cerco di nutrire la mia curiosità. Io sono un bulimico da un punto di vista culturale. Se io scopro una cosa, il vino per esempio, non era studiato che io facessi un libro sul vino, però Mondadori me lo chiese mentre io studiavo da sommelier. E studiavo da sommelier perché mi piaceva il vino e mi sentivo molto debole, mi sentivo un po’ ignorante ad andare al ristorante e chiedere un bianco o un rosso. Volevo saperne di più. E poi ho avuto la fortuna che quel libro è andato bene. E allora la carriera di scrittore di vino è andata avanti. Parallelamente sono nate tante altre cose, e così nel regno dell’etichetta, della specializzazione, io sono un tuttologo. Però, sai, alla fine secondo me la risposta giusta te la dà lo spettatore, te la dà il lettore. Se io vado in televisione e parlo di politica e non sono credibile, neanche il giorno dopo, ma il secondo stesso dopo, su twitter, su facebook, io vengo massacrato. La televisione non mi chiama mai più, e io vengo ucciso. La stessa cosa se io scrivo di vino, se io scrivo di musica, di qualsiasi argomento. Evidentemente, a fronte di molte persone che mi detestano, perché scrivo di troppe cose, perché ho un caratteraccio, evidentemente ci sono anche delle persone che dicono: “Scanzi sarà anche un tuttologo, però tutto sommato, quando scrive di politica se la cava”.

cinisello 1Nica: Andrea, di te mi colpisce l’intransigenza. Che costi ha in una società che la considera un disvalore?

Scanzi: Costa, un po’ costa. Io a volte mi dico che se non ci fosse il Fatto Quotidiano sarei disoccupato. E questo ti fa capire quanto voglia bene alle persone che mi hanno dato spazio. Non sto dicendo, mentre affermo questa cosa, che il Fatto Quotidiano é un’isola senza difetti, senz’altro ne avremo anche noi, però dico che dentro al Fatto Quotidiano ho trovato un posto in cui posso esser libero, posso essere intransigente, e l’intransigenza diventa un valore aggiunto. E questa è stata una grande fortuna. Essere intransigente è stato un problema fino a due o tre anni fa perché i giornali in cui scrivevo o erano giornali di nicchia, come il Mucchio Selvaggio a inizio carriera e poi Micromega, dove addirittura per certi versi più sei intransigente più fa figo, oppure quando cominciavo a esser in contesti forti, ampi, come alla Stampa di Torino, o nelle mie prime apparizioni televisive, ero considerato un ufo. Perché non ero palesemente di destra, ero considerato di sinistra ma criticavo anche la sinistra, scrivevo di politica ma non si capiva bene dove ero etichettabile, mi piacevano i cantautori però un certo modo di essere di sinistra retorico lo bastonavo.  E allora, o trovavo il direttore di giornale come ad esempio Giulio Anselmi, che si divertiva a darmi spazio perché diceva: “questo magari ha delle idee strane però è libero e mi funziona”, oppure, più spesso, capitava che magari dopo Anselmi arrivava Mario Calabresi che mi disse inizialmente: “Sei bravo, scrivi bene” ma dopo due mesi mi dirottò a scrivere di moto. Io per due anni ho fatto l’inviato di moto mentre esplodeva il Movimento 5 Stelle. Cioè, mentre la politica cambiava, e io nel mio piccolo l’avevo previsto perché il libro su Grillo l’avevo scritto nel 2008; insomma, Calabresi che aveva in “casa” uno dei pochi che aveva capito in tempo in anticipo dove sarebbe andato Grillo nel bene e nel male, non è che disse “usiamolo”, ma mi portò per due anni a fare l’inviato di moto, a seguire Valentino Rossi in Malesia per non farmi fare danno. Grazie al Fatto Quotidiano io poi ho avuto la mia visibilità televisiva, che aiuta, perché la televisione ha tanti difetti, come Gaber sapeva bene, però ti aiuta, e parallelamente c’è stato questo dono che è stato il teatro. Perché quello veramente non era previsto. Cioè, se tu mi avessi detto tre anni fa: “un giorno farai una turnè di 80 date su Gaber”, mi sarei messo a ridere.

Nica: E come è nata questa avventura con Gaber?

proveScanzi: E’ nata come data singola a Voghera nel febbraio 2011. E lì l’intransigenza è stata un valore aggiunto perché a teatro, chi viene a vedermi, viene a vedere o me che un po’ si sa che sono intransigente, ma soprattutto viene a vedere Gaber perché è quello che mi ha insegnato l’intransigenza. Perché io nello spettacolo, alla fine, lo racconto che ho visto Gaber per la prima volta a diciassette anni. Se a diciassette anni ti arriva un treno addosso di nome Gaber tu, di tutto quello che credevi di sapere prima, non c’è più  certezza. Cioè cambi completamente la tua maniera di pensare e da quel momento in poi hai Gaber dietro che ti dice: “No, qui sembra bene, però forse anche un po’ male”, e metti in discussione tutto. Ciò che Gaber ha fatto per 30 anni a teatro.  A me piacciono gli intellettuali non organici. Mi piacciono gli intellettuali alla Pasolini, alla Gaber, quelli che ti davano dei cazzotti in faccia tremendi, che a volte detestavi, che erano a volte insopportabili, però quando li avevi letti, quando li avevi visti, ne uscivi arricchito. Magari totalmente in disaccordo, però dicevi: “Perché lui dice quello?”. E ti stimolava il cervello, ti stimolava il pensiero.

Nica:  Ma a 17 anni che background avevi per capire Gaber?

Scanzi: ho avuto una formazione di tipo familiare e devo moltissimo alla mia famiglia perché il difetto era che non c’erano dei livelli bassi. In casa mia anche lo scherzo era comunque uno scherzo alto. Cioè quando si scherzava in maniera bassa il minimo era citare Benigni. Il Benigni del Cioni Mario, dunque già qualcosa di alto spessore. Avevo 4 o 5 anni e mi ricordo che a casa mia si cantava “Dio è morto” di Guccini. A 6 anni  mi ricordo “Girotondo “ di De Andrè. A 12 anni, mi ricordo, tra i primi vinili che mettevo da solo, c’era “Polli di allevamento”, c’era Fossati. Troppo. Se io avrò un figlio un giorno, non so se lo farò esordire così brutalmente, perché puoi creare degli shock; e secondo me, mi resero un po’ la vita più difficile, perché erano maestri troppo alti. Dunque, la normalità per me era crescere in questo ambiente, circondato da queste continue stimolazioni culturali. C’era mia madre che mi faceva scoprire i libri di Calvino, mia zia che mi regalava i libri di Garcia Marquez e poi Saramago, mio padre la musica d’autore: a 16 anni mi becco Fossati dal vivo per la prima volta, poi De Andrè con il tour “Le nuvole”, e a 17 Gaber a Fiesole. Non a caso mi sono laureato con una tesi sulla musica d’autore perché sono cresciuto in quel brodo lì. E quindi oggi poter fare uno spettacolo su Gaber e uno su De Andrè è un fatto naturale. A 39 anni ce li ho ormai dentro da tempo, perché già a 13/14 anni queste cose le sentivo a casa mia. E se tu vieni a cena a casa mia, dopo 10 minuti viene fuori il litigio tra mio padre che difende Gaber perché era un anarchico, un provocatore, e mia madre che, sì ama Gaber, però dice “però a volte era un po’ qualunquista”, cioè la critica che gli è sempre stata mossa, per esempio, con “Polli di allevamento”. Quindi quando vado in televisione io sono pronto, la battuta spesso ce l’ho pronta perché ho tutti pronti gli esempi della mia famiglia: un’ospite mi ricorda mia madre, un altro mi ricorda mio padre, un’altra ancora la persona che magari mio padre odiava. Li facevo in casa mia i dibattiti, cioè i “PiazzaPulita” o i “Servizio Pubblico” li facevo in casa. E quindi Gaber, a 17 anni, non l’ho capito così tanto subito, non esageriamo, però ero preparato per capire un 60% di quello che diceva.

Nica:Dunque, “Gaber se fosse Gaber”, la tua lezione-spettacolo prodotta dalla Fondazione Gaber, si può considerare l’approdo di un viaggio che tu hai iniziato a 17 anni e che poi hai deciso di raccontare?

485887_543408539008812_992451024_nScanzi:  Sì, anche se poi per fortuna, e me lo dirai a fine spettacolo,  voglio sperare che non ci sia troppo di me. Credo ci sia molta passione di quello che provo per Gaber, però cerco comunque di raccontare Gaber come se lo raccontassi o al gaberiano che lo andava a stanare in teatro o al 18enne, 20enne, 30enne che non sa niente di Gaber. Non ci metto tanto di mio. Sì, una o due volte dico nello spettacolo: “Io me lo ricordo l’effetto che faceva questa canzone”, però è abbastanza, per usare una parolaccia, è uno spettacolo “asettico”. Nel senso che io racconto chi è stato Gaber (e spero di saperlo fare), facendo emergere, non dico i difetti, comunque le spigolosità che in Gaber, oserei direi, erano dominanti, senza essere troppo agiografico, proprio perché mi piace essere un po’ l’introduttore di Gaber nei confronti di un 20enne o di un 50enne, uno che lo sa raccontare bene, e tu sai che con Gaber è difficilissimo raccontarlo bene: ci siamo beccati dei ricordi, dei tributi, dei memorial a Gaber insopportabili.

Nica: Forse perché legati a un aspetto più commerciale di Gaber stesso?

Scanzi:  Sì, e anche questo lo dirò nello spettacolo, proprio perché non sopporto che di Gaber si ricordi o il Gaber degli anni 60, che è il Gaber più disinnescato, bello quanto vuoi ma disinnescato; e il Gaber di “Io se fossi dio”, di “Quando è moda è moda”  quando lo raccontano?

Nica: il Gaber arrabbiato…

Scanzi:  Già. E c’è stato. Forse è stato addirittura dominante il Gaber delle invettive. E invece in televisione guai a dirlo, perché si deve ricordare Gaber come se fosse stato un santo. Non lo è stato, ma non lo voleva essere. E’ successo anche con de Andrè. Si tende un po’ a santificarli questi qui.

Nica: Tu vieni considerato un po’ l’esegeta del Movimento 5 Stelle, secondo te cosa direbbe Gaber di Grillo e del suo Movimento?

Scanzi: Cosa direbbe Gaber di Grillo? Io me lo chiedo costantemente. Credo che Gaber avrebbe scritto neanche delle invettive, a volte semplicemente delle canzonette, ma comunque delle prese in giro meravigliose su Grillo. E mi mancano. Mi mancano anche perché Gaber e Grillo hanno due o tre cose in comune, ma soprattutto si conoscevano, e quindi Gaber sarebbe stato stimolato in maniera strepitosa a scrivere di Grillo.

Nica: Al di là dell’antiberlusconismo del grillismo, della protesta legata anche alla contingenza politica, secondo te questa partecipazione giovanile forte è una sorta di religione laica?  Forse i giovani hanno preso consapevolezza sulla scia di quella partecipazione di cui parlava anche Gaber,  dell’appartenenza?

1232343435Scanzi:  E’ una domanda che mi pongo spesso anch’io. Quando penso a Gaber, a uno degli ultimi dischi quando dice “La mia generazione ha perso” si riferiva alla sua generazione, ovviamente. Può darsi che abbia perso, però è una generazione che ci ha provato. La generazione attuale dei 20/30enni, diciamo quella dei grillini, non tutti, però il grillismo attecchisce soprattutto tra i 20/30enni, col ragazzo che è cresciuto post-ideologicamente con la rete, che se ne frega sostanzialmente della destra e della sinistra, che va oltre. Quella generazione lì, secondo me, ci sta provando, e già questo è positivo. E lo dico perché la mia generazione, quella che sta un po’ a metà, quella dei 40enni, secondo me neanche è scesa in campo. I 40enni attuali, con delle lodevolissime eccezioni, cioè la mia generazione, hanno fatto pochissimo per cambiare le cose. La mia generazione ha avuto dei lampi di grande commozione, per esempio ricordo Falcone e Borsellino. Io avevo 18 anni e mi iscrissi a Giurisprudenza. Son durato un anno, perché poi sono andato a Lettere, però lo feci perché ero rimasto colpito dal sacrificio di Falcone e Borsellino. Mi ricordo i Girotondi con Moretti, con Paolo Flores D’Arcais. Però è finita un po’ lì. Non abbiamo in qualche modo convogliato l’indignazione. Proprio Gaber, mi ricordo, nelle ultime interviste ripeteva spesso che l’uomo, l’italiano, aveva raggiunto il livello minimo d’indignazione e di coscienza. La mia generazione era dentro. Soprattutto al livello minimo di coscienza, e ancora di più, oserei dire, nel non essere stati capaci d’indignarsi. Sì, ci arrabbiavamo, ma in maniera vaga e confusa. Questi 20/30enni sono stati molto bravi a convogliarla questa rabbia. Anche grazie a Grillo, a Casaleggio, a chi vuoi tu. Però questo mi piace, perché è altro tema forte del gaberismo: l’appartenenza. Loro appartengono a qualcosa. Dicono spesso “noi” e non “io”, mentre la mia era una generazione molto individualista, come del resto era abbastanza anche Gaber. Non dico che è meglio o peggio. Dico che questa generazione qui ci sta provando a cambiare le cose. Dove mi convince meno? Mi convince meno nella poca lucidità ideologica, cioè non si capisce bene dove vogliano andare. Sono molto utopici ma mi pare abbiano poco retroterra, poche fondamenta. Mi sembrano molto idealisti, molto sognatori, ma gli manca un background.

Nica: Nel senso che mancano di uno spessore culturale? Di saperi forti?

Scanzi: Si, ma anche in senso di concretezza delle proposte. Loro dicono che vogliono cambiare il mondo. Ok, ma come? Dove? Che vuoi fare? Cioè mi sembrano dei sognatori meravigliosi ma senza armatura, un po’ confusi, sicuramente, ma anche, e questa è una cosa che non aveva Gaber e che ha un po’ purtroppo Beppe Grillo, sono molto manichei. Quello che, invece, mi è sempre piaciuto di Gaber è che ha sempre elevato il dubbio a cifra. Con Gaber non uscivi mai dallo spettacolo dicendo che il bene è di qua e il male di là. Non è mai così. Invece il Movimento 5 Stelle, che pure secondo me ha delle istanze enormemente positive, ha sempre la certezza “noi siamo il bene e loro sono ciò che è sbagliato”. Lo capisco, perché dall’altra parte hai Alfano, Berlusconi e Bersani, e ci sta che tu ti senta migliore. Ma non va bene. E’ troppo facile così. E anche da ciò deriva il loro non volersi sporcare, il loro guardare tutto dall’alto. Questo, secondo me, è il loro punto debole, cioè c’è una grande appartenenza, un grande fervore, sono molto vivi, però al tempo stesso sono molto confusi, un po’ acerbi e un po’ supponenti. E questo mi convince poco. Io ho parlato con Luporini di Grillo, e Sandro mi prendeva in giro l’ultima volta che l’ho sentito 7/8 mesi fa, e mi diceva: “Io la penso come te, però su Grillo sei troppo buono. Grillo lo devi criticare di più”. Poi si parlava privatamente e in realtà si dicevano le stesse cose. Però lui ha un approccio molto marxista, molto ideologico, molto adorniano, ed è chiaro che uno come Grillo, che proprio nega il dubbio, non lo può sopportare. Però lui stesso mi diceva che si stimavano molto Gaber e Grillo. E ci sono cose che in realtà li uniscono, anche proprio nel percorso. Per esempio entrambi sono stati gli unici in Italia, Gaber molto più di Grillo, ad avere avuto il coraggio, all’apice del successo, di abbandonare la televisione per andare a teatro. E’ vero che Grillo è stato un po’ cacciato, ma è anche vero che se Grillo volesse ci tornerebbe domani in televisione, e non lo ha fatto. Altre due cose hanno in comune. Una è un discorso di carriera. Quando Grillo decide di fare teatro, e abbandona la televisione, il primo spettacolo che fa nel 1990 è con la regia di Gaber. Lo spettacolo si chiama “Buone notizie”, i testi erano di Michele Serra, la regia era di Gaber. Grillo me lo raccontò una volta, mi disse una cosa tipo: “Andrea, io dovevo andare a fare teatro, e da chi vado a farmi insegnare teatro se non da Gaber?”. Un’altra cosa che hanno in comune, e che mi piace moltissimo di entrambi, e la capacità di provocare per costringere lo spettatore a un cortocircuito. Grillo ce l’ha molto di pancia. Scrive dei post dove c’è l’insulto, e l’insulto cancella quanto di buono aveva scritto prima. Ma la capacità di darti il cazzotto per costringerti a pensare Grillo ce l’ha. E Gaber gliela riconosceva. Amici comuni di Gaber e di Grillo mi dicevano che Gaber riconosceva sempre a Grillo, al di là del talento comico che ha, l’onestà intellettuale, cioè Grillo pensa quello che dice. Poi, diceva sorridendo, è un po’ un cazzaro e “si esprime male”. Lui, invece era tutto preciso, pulito, mentre Grillo era uno che sudava sul palco, usava le parolacce. Gaber era l’opposto. Però Giorgio diceva: “Quello che dice Grillo sul palco lo pensa veramente, non è che recita”. Poi magari per qualcuno è peggio ancora che lo pensi, però l’onestà intellettuale gliela riconosceva.

Nica: E comunque credo che entrambi non improvvisassero. Grillo potrebbe anche dare l’impressione, ma non Gaber che era un sistematico.

Scanzi: Certo! Ai limiti dell’autismo, come diceva Guccini che gli chiedeva: “Come fai a fare 200 volte tre ore di spettacolo all’anno? La stessa cosa, la stessa virgola”. E Grillo sì, è un altro che sembra improvvisare. Ma non lo fa quasi mai.

Nica: E dopo Gaber, per il Teatro Canzone hai già qualche idea, qualche altra curiosità?

fotoScanzi:  Ce l’ho, a teatro sicuramente. Gaber se fosse Gaber è uno spettacolo che è cominciato nel febbraio 2011 e andrà avanti fino a dicembre 2013. La data di stasera a Piano di Sorrento è la numero 76, e io credo che supereremo le 100, e già questo mi basterebbe per esser contento per tutta la vita. Poi, parallelamente, ho già scritto uno spettacolo su De Andrè che abbiamo portato in scena 3/4 volte e che faremo, spero, da ottobre in pianta stabile, e che si intitola “Le cattive strade”. E’ uno spettacolo simile a quello che vedrai stasera come struttura, cioè io racconto e poi ci sono i filmati di Gaber. Solo che su De Andrè invece dei filmati c’è uno che canta dal vivo, che è Giulio Casale, un bravissimo cantante che fa cover molto rispettose di De Andrè ma al tempo stesso originali, e il filmato c’è soltanto alla fine (e colpisce molto). Quindi, dopo Gaber c’è questo spettacolo che è già pronto, è già scritto e andrà avanti.

Nica: Marco Travaglio a teatro con Isabella Ferrari, tu a teatro con Gaber: il giornalismo proprio non vi basta? Non vi gratifica fino in fondo?

Scanzi: Il teatro, devo essere sincero, gratifica molto più del giornalismo, anche perché sei nudo, non ci sono filtri. So di affermare una banalità totale, ma vedi non è solo per l’applauso finale. E’ straordinario come ogni piazza reagisca in una maniera tutta sua. Alla stessa battuta che io faccio ridono venti volte, alla ventunesima non frega niente a nessuno. Dico una cosa e ridono a Comunanza, ma non gliene frega niente a Roma. E poi è bello di come ci sia questa dinamica tra te e lo spettatore, proprio il singolo spettatore che alla fine costituisce la collettività in quella serata. C’è sempre un momento in cui dopo una diffidenza tra me e loro, di solito al secondo stacco, hai la sensazione: “Ok, li ho acchiappati, adesso sono dalla mia parte, adesso ci sono, adesso c’è silenzio, adesso si fidano di me, adesso forse mi seguiranno fino alla fine”. E questa è una sensazione straordinaria. Poi c’è la suspense dell’applauso, quando lo spettacolo finisce, perché di solito questo è uno spettacolo in cui si ha timidezza ad applaudire. Si applaude magari Gaber quando finisce la canzone in video, però non mi si applaude mai troppo durante, perché non mi si vuole interrompere, perché c’è la liturgia, la sacralità della narrazione. E si arriva alla fine con la suspense che dice: “Vediamo l’applauso quanto è forte”. E quell’applauso lì, quando arriva, è molto bello. (Intervista di Mariella Nica per Italian News, maggio 2013).

2 Comments

  1. Caro Scanzi,
    Nn si come inviarti qs cosa che ho scritto
    A caldo ieri ai funerali di Don Gallo. La lascio qui.
    Scusa l’intrusione.
    Un abbraccio.
    Davide “kurtz” Sacchi
    Zena

    Una (specie di) cronaca a caldo.

    Una tramontana gelida oggi spazza Genova.
    Il vento fischia e fa sventolare le bandiere qui sotto casa mia.
    E nn poteva che fischiare oggi il vento, per l’addio a Don Gallo.
    Il sacro, il profano, le suore, i partigiani, i trans, gli ex tossicodipendenti,
    il segno della croce e i pugni chiusi.
    No Tav e Gesù Cristo, il crocifisso e lo striscione della Fossa dei Grifoni.
    C’è tutto qui oggi.
    Dagli altoparlanti Il Vangelo di Luca ammonisce contro i falsi profeti,
    nel ricordo di chi ha fatto della sincerità il baluardo di una vita.
    Inevitabile che le parole del Card. Bagnasco vengano accolte
    da una salva di fischi e da un coro di Bella Ciao.
    Momenti di tensione.
    Volti sinceramente commossi e ultras a muso duro che ostentano antagonismo.
    Ascolto le parole della liturgia durante l’ostensione , con le bandiere di Guevara
    e le rossonere degli anarchici che svolazzano qui accanto a me
    e non capisco e mi perdo.
    Da bambino ho servito decine di messe e i miei ricordi aderiscono
    all’ortodossia dei gesti e dei simboli.
    Qui c’è una situazione nuova, diversa, quasi surreale, per la quale nn ho
    strumenti di codifica e nn riesco a decifrare.
    Ave Maria, Salve Regina, Bella ciao, l’internazionale anarchica ,
    l’orazione laico-legalitario-religiosa trascinante e vibrante di don Ciotti,
    quella civile e un po’ ingessata del Sindaco Doria
    e quella colta, agnostica e “kosher” di Moni Ovadia,
    che per rendere ancora tutto più inconsueto declama versi ebraici e radicali
    fra cui quelle di un inedito e intimista Karl Marx.
    Tutto molto emozionante e straniante. Un abbraccio liturgico eterogeneo
    che include e smarrisce allo stesso tempo.
    Ma forse esiste un filo conduttore fra tutte le parole qui ascoltate.
    Gesù, San Paolo, De Andre’, il liberalismo di Dossetti, gli articoli della Costituzione
    e l’antifascismo militante: l’amore che ci dovrebbe accomunare, l’unica utopia possibile;
    se non altro e’ questo che oggi mi piace credere.
    Sacerdote e uomo, che ha reso vita e viva la parola di Cristo,
    raggiungendo anche chi come me da qs dialettica si e’ allontanato.
    Alla fine Bella Ciao la intono anche io: me la insegnò mio nonno da bambino. Un omaggio personale che gli dedico.

    In direzione ostinata e contraria.

    Adieu Gallo, la terra ti sia lieve.
    Davide

    Ps. Perdonate la disorganizzazione dei pensieri,
    ma ho scritto tutto di getto, qui fra la folla,
    appoggiato al muro della chiesa
    del Carmine accanto ai gradini dell’ingresso.

Rispondi a MARIA FRANCESCA RASPINICancel Reply