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Triple A Live (a Rivergaro)

mercoledì, Giugno 8th, 2011

Stamani ho raccontato, sulle pagine del Fatto Quotidiano, il raduno di Triple A Velier a Rivergaro. Ecco l’articolo.

Rocco è un molossoide. Si muove, scodinzolando allegro, tra i tavoli. E’ un Bovaro del Bernese ed è l’unico che non ha bevuto.
Triple A Live: l’evento si chiama così. Lunedì, ad Ancarano. Cioè Rivergaro, val Trebbia. Nel piacentino. Centinaia di persone accorse per il raduno (gratis) dei vinonaturalisti. Dalle ore 12 alle 5 e 36 del mattino successivo: “Al primo raggio di sole”, informa la brochure.
Il luogo, notevole, è la struttura dell’Azienda Agricola La Stoppa. A organizzare tutto è Velier, società ligure d’importazione che, sette anni fa, ha cominciato a puntare sui vini veri. Il proprietario, Luca Gargano, famiglia ricchissima e un’isola di proprietà in Polinesia, accoglie gli ospiti. Introduce i “suoi” produttori, chiama l’applauso, non ha timore d’essere retorico (gli capita spesso). Al microfono si alternano i viticoltori. “Io sono ascendente Gemelli, Luca ascendente Dio”, sintetizza un vigneron, e non è l’unica volta che Velier sembri quasi “La setta di Gargano”.
La pioggia, a inizio giornata, non ha interrotto la fiumana di appassionati. Pullman dall’Abruzzo, dalla Puglia. All’entrata, un cartello scritto a mano: “Noi restiamo fuori!”. Allude a quei prodotti che da decenni contaminano il vino: gelatina alimentare, acido tartarico, erbicidi, antiossidanti.
Se fosse politica, e un po’ lo è, questo consesso rappresenterebbe l’antipolitica e il popolo di Ancarano farebbe le veci dei “grillini”. Gli iconoclasti, i nuovi partigiani. E’ uguale perfino lo slogan: “Siamo la Woodstock del vino”. Secondo i tanti detrattori, i naturalisti sono manichei, integralisti, populisti, giustizialisti. Proprio come l’antipolitica.
Anche la genesi è simile. Alla moda imperante del vino tutto uguale, a inizio Anni Duemila è montata una reazione uguale e contraria. Che, alla globalizzazione, ha reagito con la codificazione esaltata del pauperismo. Qualcuno è biologico, altri biodinamici. Alcuni inseguono il vino strano perché fa figo, altri perché desiderano ricollegarsi ai nonni. Bianchi macerati sulle bucce, rosati torbidi, rossi che spiazzano. Ora strepitosi, ora palesemente deludenti: ma non si può dire, perché del vino naturale – più che il gusto – si divinizza l’ideologia. L’approccio. Il gusto per la nicchia. L’ammicco alla tradizione. L’eresia dei produttori. La direzione dichiaratamente ostinata e contraria. Più che un vino, è un credo esistenziale.
Il movimento naturalista, per quanto giovane, si è già diviso in mille rivoli (litigiosi). Non c’è solo Triple A, che decide sovrana quali siano le aziende meritevoli delle sacre stimmate puriste (le “A” stanno per “Agricoltori, Artigiani, Artisti”). Esiste anche Renaissance. E poi l’associazione Vini Veri, langarola. E poi VinNatur, veneta. Se De Gregori ha inciso più dischi live che concerti, i vinoveristi hanno più partiti che bottiglie. In confronto, la sinistra extraparlamentare è coesa.
Districarsi nel mondo degli alternativi di Enolandia non è facile. Non esistono regole condivise, ognuno ha il suo mantra. Le direttive base sono: vino sano, abiura di agenti chimici, lieviti autoctoni, fermentazioni non controllate, no a filtrazioni e chiarifiche, uso nullo di barrique nuove, interventi minimi in cantina. Vini nudi e crudi (“che hanno ancora i peli sotto le ascelle”), bevibili e personali. Ai Tre Bicchieri premiati, preferiscono i Tre Bicchieri scolati. Di sicuro hanno una digeribilità encomiabile. Altrettanto sicuramente, spiazzano il consumatore occasionale non meno di un appassionato di musica che per decenni ha ascoltato Biagio Antonacci (va be’) e di colpo affronta le Variazioni Goldberg.
Gli amanti del genere hanno comportamenti simili. Si avvicinano rapiti al produttore, usano parole lisergiche, esalano domande astruse (“Fa uso di legno piccolo?”, “La temperatura fermentativa è controllata?”, “Ha spina dorsale acida?”). I produttori, assurti a semidei, rispondono con toni gravi, alludendo pensosamente a mineralità e suoli morenici. La dialettica assume connotati messianici.
Il Verbo si diffonde, contro la diffidenza degli addetti ai lavori istituzionali: guide di settore, Associazione Sommelier, sepolcri imbiancati a libro paga. Come per i grillini, il nemico è la casta: la partitocrazia del vino.
L’antipolitica enologica si ritrova ciclicamente in manifestazioni ostili al Vinitaly. Ha blog, siti, libri, documentari di culto (Mondovino, Langhe Doc, Senza trucco) e riviste settoriali, su tutte la colta e autoreferenziale Porthos, sorta di MicroMega del vino incorrotto.
Ad Ancarano, intanto, si è fatto buio. Non piove più. Prosegue lo speaker’s corner dei viticoltori, anche se questo non è Hyde Park e come reading era più coinvolgente Allen Ginsberg. Parte il concerto, accanto c’è un barbecue monumentale (ma la carne finisce subito). Al pomeriggio, gli adepti si erano avventati sulle svariate leccornie bio: capperi selvatici dei Monti Iblei, lieviti madre secolari, farina Gambo di Ferro biodinamica (eh?). C’era perfino la Grappa Punto G, che evidentemente nei distillati esiste. L’alba è lontana e il primo raggio di sole va atteso, sperando di non sbagliare orizzonte come in Ecce Bombo.
Luca Gargano sale sul palco, è su di giri e si butta sulla folla tipo Bono Vox. C’è fango, come a Woodstock. “Chi rimane incinta stanotte, avrà 24 bottiglie l’anno in regalo da Velier”. Boom. Nonostante i propositi, prima delle 5.36 sono andati via quasi tutti. Rocco, invece, c’è ancora. Dorme il sonno dei giusti. Un sonno astemio, senza afflati etilici.

(Il Fatto Quotidiano, 8 giugno 2011)