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Qualcosa sui vini georgiani

domenica, Giugno 9th, 2019

IMG_5177Quante volte abbiamo sentito parlare di vini georgiani? E’ qualcosa di affascinante, sconfinato e misterico. Richiede curiosità e studio. Qualche settimana fa, da Les Caves de Pyrene, ho acquistato tra le altre cose alcune tipologie di vini georgiani. Tre bianchi autoctoni: Tsoulikori, Tsiska e Rkatsiteli (non fate battute facili).
Prima di parlarvene, cito volentieri alcuni passaggi del bel reportage di Leone Zot nel Caucaso (Georgia, Armenia, Azerbaigian) che Intravino ha pubblicato nel gennaio 2018: “Scavando questa montagna l’archeologia vi ha individuato le tracce più antiche attualmente note, di fermentazione dell’uva. In Armenia in prossimità del villaggio Areni, nome del vitigno coltivato in questa zona, è stata rinvenuta una grotta, adiacente ad una necropoli, contenente anfore interrate e un torchio con resti di raspi, bucce e semi di uva. La datazione al radiocarbonio posiziona questi manufatti a circa 6100 anni fa. L’analisi su campioni di ceramica ha rilevato tracce di acido tartarico e malvidina, pigmento vegetale, entrambi indicatori del vino. Qualche chilometro più a sud, in Iran, altri resti di vinificazione databili a 7000 anni fa. Oggi camionisti iraniani attraversano il confine ad Areni e caricano vino e oghee (distillato di pesche), per riportarlo clandestinamente in  patria (..) Si comincia dalla Terra, cavando l’argilla per fabbricare le Qvevri, grandi anfore di terracotta capienti talvolta oltre i 1000 litri. E’ in questi recipienti che viene fatto il vino. L’arte per costruire le Qvevri è custodita in poche famiglie che si tramandano la conoscenza di generazione in generazione. Dalle vinacce si distilla la Chacha, corrispondente georgiano della grappa. La filtrazione avviene naturalmente attraverso il cappello di fermentazione che, finito il processo, si immerge lentamente verso il fondo portando con se tutte le particelle in sospensione. I bianchi sono vinificati tutti con lunghe macerazioni sulle bucce, generando vini dal colore dorato brillante e dai sapori complicati, scorbutici, opulenti, inattesi. In Europa si chiamano Orange wine, qui li chiamano Amber wine (..) Ai tempi dell’Unione Sovietica questa tradizione ha rischiato di scomparire. La Georgia era diventata la vigna della Russia. Vennero impiantati stabilimenti industriali per la vinificazione che usavano metodiche europee. La piccola e montuosa Georgia non aveva uva a sufficienza per soddisfare la sete della Grande Madre Sovietica e, per arrivare alla quota assegnata, si aggiungeva acqua e zucchero alla massa da fermentare. I russi amano i vini dolci assenti nella tradizione autoctona. Ancora sopravvive una varietà semi-dolce molto amata dai russi che vengono in vacanza nella economica e calda Georgia. Oggi queste fabbriche abbandonate, arrugginiscono come fossili, ai lati delle strade (..) L’ampelografia classifica 525 tipologie di vitigni georgiani. In nessun altro luogo del pianeta esiste una tale varietà. Ciò suona in accordo con “l’ipotesi dell’area ancestrale”, utilizzata in linguistica ed in genetica per individuare le traiettorie di propagazione dei dati oggetto di tali discipline. Secondo tale ipotesi il luogo in cui si riscontra la maggiore varietà e complessità delle espressioni genetiche e linguistiche corrisponde all’area ancestrale da cui origina l’emanazione. Man mano che ci allontana da questo centro la complessità diminuisce progressivamente, secondo linee di diffusione individuabili”.

IMG_5278Quindi, e riassumendo: in Georgia forse è nato il vino (o è comunque lì che abbiamo gli esempi più antichi), qui i bianchi sono sempre macerati (ma li chiamano amber wine e non orange wine), hanno una ricchezza ampelografica spaventosa, a fare la differenza sono le anfore di terracotta (chiamate “qvevri”) e l’Unione Sovietica non capiva un cazzo di vino.
I quattro vini che ho provato appartengono a due aziende. Una è Ramaz Nikoladze, nata nel 2007 sulla base di una vecchia cantina storicamente di proprietà della famiglia. Meno di un’ettaro di vigna dal quale produce due varietà autoctone: Tsitska e Tsolikouri. Ho provato entrambe. L’altra è Pheasant’s Tears, letteralmente “Lacrime di fagiano”, nata da un’idea condivisa dal viticoltore Gela Patalishvili e dal pittore John Wurdeman. Anch’essa è piccola e naturale. Il nome deriva da un’antica leggenda, secondo cui solo qualcosa di bellissimo può far piangere un fagiano. Qualcosa di incredibile e clamoroso. Come, per esempio, un vino.
Ho provato tutte annate 2017. Come prezzi in enoteca stiamo tra i 20 e i 30. Leggermente più economici i vini di Pheasant’s Tears.
Sono partito con lo Tsitsa 2017 di Ramaz Nikoladze. E’ un vitigno a maturazione precoce che dona vini tra i più acidi nel panorama georgiano. Il vino fermenta per sette giorni a contatto con le bucce (ma sembrano molti di più), poi affina per 12 mesi in qvevri interrate all’esterno della cantina. Bello sapido e splendidamente fresco, denso e al contempo bevibile. Un amber wine pienamente riuscito e assai emozionante, non per tutti (se cercate il “vino perfettino” virate altrove) ma davvero mirabile.
Poi ho provate gli Tsoulikouri 2017 di Ramaz Nikoladze (che lo chiama “Solikouri”) e Pheasant’s Tears. La differenza è che il primo è con macerazione e il secondo “no skin”, ma in realtà in Georgia la macerazione c’è sempre. Solo che qui è leggera in Nikoladze e ancor più contenuta in Pheasant’s Tears. Lo Tsoulikouri era uno dei vitigni più coltivati al mondo. Amatissimo da Stalin, che ovviamente lo esigeva non macerato (e anche da qui si capisce quanto i dittatori non abbiano pregi neanche a volere), è il più bevibile tra quelli che ho provato. Per certi versi anche il più facile e meno personale. Ho preferito Pheasant’s Tears, che ci ha messo ore ad aprirsi ma che il giorno dopo era bello fresco, minerale e assai tendente alle erbe aromatiche (forse pure troppo).
Quindi il capolavoro – ma non per tutti – Rkatsiteli 2017 di Pheasant’s Tears. Un amber wine spinto ed “estremo”, denso e salino oltremodo, perfetto come “vino da meditazione” e più ancora come “vino da godimento”. Diverso da tutto e uguale solo a se stesso, ti catapulta in un mondo altro. Sia davvero lode.