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lunedì, Giugno 28th, 2010

Il delirante reportage di un lettore pazzo, Luca Lopardo.

“Tu chiamale, se vuoi, emozioni. Ma non cominciamo dalla fine. Si proceda con ordine e dovizia.
Tutto inizia martedì mattina, durante il consueto pellegrinaggio presso i miei due blog preferiti (Il vino degli altri e Wildcard). Scopro che quel bischero di Scanzi (nella foto, quello estraneo alla pinguedine) ha postato, con scarso (eufemismo) anticipo, la presentazione del suo ultimo libro, in programma all’enoteca Compagnia del Taglio di Modena  (bellissimo locus amoenus) alle 19.00 del giorno dopo. Leggo Modena, penso Pàvana. Penso che l’occasione di incontrare due maestri in un colpo solo sia troppo allettante. Penso che siamo in piena sessione d’esame, che il viaggio mi costerà un po’, e che, presumibilmente, dovrò farlo da solo.

Fanculo,dico. Ci vado lo stesso. Nel frattempo, provo a convincere il fido Vanni a seguirmi. Lui glissa, tituba, scorge insormontabili impedimenta. C’è che ha un esame, nel pomeriggio.  Tuttavia, sento che accetterà l’indecente proposta, in caso di conseguimento di un buon voto.
Trenta spaccato. Ora Vanni non ha specchi a cui aggrapparsi, indi gli fracasso le palle finchè non accetta di accompagnarmi, con finta rassegnazione.
Partiamo alle 13.00 circa di mercoledì. Il bagaglio (minimale) comprende libri per gli autografi, testi d’esame (verranno colpevolmente ignorati), e le deprecabili, ma pratiche, macchine digitali (Mala tempora currunt (cit.) ). Tra una dissertazione filosofica (uh) e l’altra, facciamo scalo a Mestre e Bologna, per poi scendere a Modena. La giornata è bella, la Piccola città di Guccini e Berselli (ciao, Edmondo) appare tranquilla, ordinata e pulita. Un gentilissimo autoctono ci conduce all’ostello. Lo ringraziamo, prendiamo la camera e filiamo a docciarci, puzzosi di 2a classe Trenitalia (tralascio inevitabili risvolti biblici da Ostello della Gioventù). Arrivati in Via del Taglio, d’improvviso mi blocco: noto un tizio alto, sui trentacinque, capelli lunghi e barba incolta. Un trasandato (cit.) con le Timberland, somigliante ad Alessio Boni (il Matteo Carati de La meglio gioventù. Se non conoscete nè lui, nè il film, nè Berselli, inginocchiatevi sui ceci in attesa dell’Assunzione). Lui è lui, è Rui, è Scanzi. Il Maestro.
Mi avvicino, attanagliato dall’incredulità tipica dei momenti privilegiati, quando stai per stringere la mano a un tuo Eroe. Mi presento con un “ciao, sono Luca” (come se mi chiamassi Piersandroermenegildo), il Maestro risponde con un sorriso cordiale, “piacere”. Poco dopo mi riavvicino, con in mano un Metodo Classico (?) dal perlage encomiabile (uh). Gli porgo C’è tempo, per l’autografo (originale, eh?). “A Luca Lopardo”, gli suggerisco. Lui sorride: “Aah, non avevo capito fossi tu!”. Tento di rassicurarlo con una battuta (volutamente british) sull’esiguità del numero dei Luca in Italia. “Scrivi: all’eroe che si è fatto cinque ore di treno per essere qui”. Lui ridacchia, mi fa “tu sei pazzo”. Gli chiedo l’ultima cosa da fan becero: la foto. Mentre Vanni si appresta a immortalarci, Scanzi se la ride e dice a Beppe Cottafavi: “ormai siamo alla follia pura”. Bella, sembriamo Gianni e Pinotto. Facciamo due chiacchiere in merito a un problema da me postogli via mail. Me lo ricorda lui, non avevo intenzione di riparlarne (non è una faccenda che lo riguarda, ma la gente rombe le balle a lui, va sempre così). Troppa memoria, troppa bontà. Andrea Scanzi è un cazzeggiatore sontuoso, eclettico e competente, che o si ama o si odia. Per coloro che lo amano, Andrea è più di un grande giornalista, più di un eccellente scrittore: è un fratello, un amico, un compagno di avventure, al quale non riesci a dare del Lei. Neanche quando le differenze di età, cultura ed esperienza lo richiederebbero. Nemmeno quando, come nel mio caso, suoli dare del Lei a chiunque sia meno giovane di te anche di un solo mese. Andrea è un tipo a posto: gentile, garbato, disponibile. Buono (ma guai a far incazzare i buoni, vedi Walt Kowalski) e onesto, naturalmente votato al dialogo. Sul suo blog si diverte a sbertucciare, con malcelato sadismo, i molti (troppi) internauti dediti a solipsismi offensivi e inutili vilipendi nei suoi confronti. Brutta razza, i fanboys (e fangirls) ciechi e travalicatori. Come gli ultras, i truzzi, gli scout, gli astemi per scelta e le donne che aborrono i tacchi (ma idolatrano le Superga e le “ballerine”. Diffidate, gente, diffidate: esse sono anche astemie, truzze, e hanno paura di guidare in autostrada. Pura manna dal cielo, per i divorzisti).
Insomma, Andrea è un grande. Leggetelo (La Stampa, Micromega, i suoi Libri) e lo amerete, perchè è un Paladino della Libertà. Se lo odierete, sarà solo perché appartenete al Popolo delle Libertà.
Perdonate la digressione, ma era necessaria. Torniamo a noi.
La presentazione tarda ad avviarsi. Nel frattempo, tutti (TUTTI) stanno bevendo lo stesso vino di Scanzi. Un’immagine impagabile (ho preso anch’io un calice del Bellei, ma in segno di umiltà e come secondo bicchiere, indi il plagio è pienamente remissibile).
Mentre il tasso alcolemico saliva, il danaro andava esaurendosi. Non ci sarebbero state tragiche scene da Compagno di Sbronze. La serata fila bella liscia, divertente e impreziosita dagli aneddoti di Maule e Cerruti, due stimati produttori e personaggi singolari. Alla fine della presentazione compro il libro, e (non l’immaginereste mai) me lo faccio autografare. Andrea fa una bella dedica, gli accenno al leggero trip da vino e ci stringiamo la mano. Lui rimarrà lì, tra iperboliche leccornìe e bottiglie incredibili, fino alle 4 del mattino, rischiando (a suo dire) la cirrosi di Bukowski. Grazie e alla prossima.
Io e il buon Vanni andiamo alla ricerca di una pizzeria, e per trovarne una giriamo praticamente tutta la città. Modena è bella, pulitissima, si fa apprezzare (grazie anche ad alcune ordinanze, molto rigide, emanate dal Comune: niente alcool nè cibo per le strade, bravi). In Piazza Grande (stupenda) incrociamo un gruppo di inglesine. La più graziosa del gruppo si ferma, la invitiamo a bere qualcosa ma nisba. Addio, baby.
Si torna, satolli, all’ostello, dove ci attende un’insperata sospresa: in tv danno il lisergico Shaolin soccer. Che plot, che attori, che doppiaggio. Totemicamente trascendentale (?). Prima di dormire, Vanni mette su Vecchioni (inaccettabile). Forse non dovrei fidarmi troppo di lui.

Sveglia alle 7.15, non c’è tempo per la doccia. Il treno per Porretta Terme parte fra 55 minuti. In dirittura d’arrivo, iniziamo scorgere le verdi montagne di Pàvana: i campi, le colline, il fiume oramai inquinato e poco profondo (in italiano non esiste il contrario di profondo, non mi raccapezzo). Scesi dal treno, apprendiamo che Pàvana dista sette km, tutti in salita. Visto il caldo sommamente esecrabile (cit.), optiamo per la corriera.
Qui accade l’indicibile. Entriamo in un bar, al fine di acquistare i biglietti, ma non c’è nessuno. Vanni decide di recarsi alla toilette (atto palesemente empio), dove, con vibrante raccapriccio, trova la proprietaria (la diversamente Sora Lella) nell’atto di tirarsi su la sottana. Si odono grida belluine, rivolte al mio compagno di merende, reo di non aver richiesto alla donna il permesso scritto per accedere al bagno: “sarebbe obbligatoria la consumazione, dato che nell’ultimo mese ho speso centoventi euro per gli spurghi”. Oltremodo affabile, dopo averci duramente redarguito, la signora ci sbatte sul banco i quattro biglietti della corriera. Per dispetto, compriamo dei tortini al limone al mini – market vicino al suo baretto. Tiè.
In corriera, un pavanese ci spiega dove fermarci per  giungere al Tempio del Maestrone. Eccolo là, il cancello verde visto in quel documentario. Io e il buon Vanni ci guardiamo negli occhi, colmi di felicità. Vicini al portone d’ingresso, notiamo Guccini presissimo tra telefono e computer, quindi decidiamo di aspettare in cortile senza chiamare nessuno. Una parente del Maestrone ci nota e annuncia la nostra presenza al Magister, il quale appare all’improvviso sulla soglia, con un coup de thèatre degno di Walter il Mago. Rimaniamo folgorati dalla sua aura mistica, la stretta di mano denota soggezione siderale. “Buongiorno, ragazzi – sorride, con l’aria del nonno un po’ burbero, ma gentile – purtroppo al momento sono impegnatissimo, mi dispiace di non potervi dedicare troppo tempo”. Scambiamo due parole: da dove veniamo, se Trieste – Trieste o dintorni, quando uscirà il nuovo disco, non prima del 2011 ma forse arriverà un romanzo.  Gli occhi semichiusi, un leggerissimo ingobbimento, il Maestrone pare invecchiato sul serio. Da vicino, i settant’anni glieli dai tutti, purtroppo. Li compirà il 14 giugno, così gli consegnamo il regalo di compleanno (un Ramandolo 2006, acquistato nella miglior enoteca di Monfalcone, cat.Sticazzi). Lui ringrazia e porta il dono dentro casa. “Ci vada piano” gli dico, mentre Vanni prepara la macchina per il Sacro Immortalamento. “Ah, vedo che avete portato la…” sorride il Guccio. Ci mettiamo in posa, uno alla volta. Il Venerabile pone il pesante braccio da grizzly sulle nostre spalle, a me viene da ridere. A Vanni no, Egli non ha sentimenti. Appurata la buona riuscita della foto, ringraziamo il Maestro e ci salutiamo, nella speranza di rivederlo ancora.
Decidiamo, gaudenti e baldanzosi, di ritornare a Porretta a piedi (pura follia) attraverso l’assolata Via Francigena. Prima, però, passiamo per il leggendario Mulino di Chicon. Quello da cui il fratello del nonno di Guccini, Enrico, uscì un giorno lontano per tentare la fortuna in America, probabilmente chiudendo dietro a sè la porta verde (cit.), che ovviamente fotografiamo.
Il posto è davvero splendido, poetico, leggero. Aleggia un senso di pace infinita. Guccini non poteva che crescere qui, tra i saggi ignoranti di montagna, che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia.
Reduci da un tracimante piatto di pasta al ragù di opinabile fattura (sopperita dalla cordialità del gestore del locale, un toscanaccio patoc), camminiamo sulla già citata Via Francigena, tra gustose pesche noci e un chinotto oramai frizzante quanto Debora Serracchiani. Giungiamo, stremati, alla stazione di Porretta.
Il resto del viaggio lo si può tralasciare senza eccessivi sensi di colpa. Tra una granita e un biglietto mancato, un’anziana scassaballe e un inquietante baciatore di microfoni in preda a un orrorifico, interminabile amplesso telefonico, io e l’amico Vanni torniamo a casa. Ci abbracciamo, per chiudere degnamente due giorni indimenticabili, il cui ricordo ci accompagnerà fino alla fine dei giorni. Fino a quando, ormai vecchi, racconteremo ai nipoti (se ce ne saranno) di quanto era bello, quando Andrea Scanzi scriveva e Francesco Guccini ancora cantava”. (Luca Lopardo)