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Rujno 2001 – Gravner (e mia madre)

venerdì, Giugno 21st, 2019

IMG_6046Avevo da tempo una bottiglia di Rujno Gravner. Annata 2001. Mi era stata regalata da lui, dopo un pranzo nel suo eremo filosofico di Oslavia. Il Rujno è vino mitico e mitologico. Riporto da Callmewine: “Il Rujno di Gravner è un vino rosso ottenuto in prevalenza da uve Merlot, con piccola aggiunta di Cabernet Sauvignon che può variare tra il 5 e il 10% a seconda dell’annata. Le uve provengono dai celebri vigneti Hum e Ruk, in territorio sloveno, e la fermentazione avviene in grandi botti di rovere di Slavonia per 5 settimane, con contatto delle bucce e senza controllo della temperatura. Il processo di affinamento è lunghissimo e prevede 7 anni in grandi botti di rovere e altri 7 in bottiglia. Durante tutto questo lungo iter produttivo il vino non viene mai filtrato e chiarificato perché, secondo Gravner, il vino “oltre ad essere buono deve contenere batteri, enzimi e lieviti”“. Gravner è certo che, ogni sette anni, il ciclo (della vite e della vita) si compia. E dunque tutto si rigenero. Ecco dunque il 7+7 di questo bordolese per nulla bordolese, se non nell’uvaggio. Lo si trova a fatica e a un prezzo fatalmente importante: mai sotto le 135 euro (in rete: al ristorante poco sotto le 200). Attualmente potete forse ancora trovare qualche annata 2003.
Non sapevo mai quando aprirla, sia perché sono bianchista e sia perché aspettavo la serata giusta. Ogni tanto la toglievo dallo scaffale e lo tenevo lì, in rampa di lancio. Pronta a partire con me. Non di rado, quando sono fuori per lavoro e lo è anche la mia compagna, i miei genitori vengono a casa mia per tenere Zara. La mia labrador. Ho sempre detto loro di aprire i rossi che vogliono nella parte sinistra della cantina. Sono tutti buoni, ne avrò 3/400 e oltretutto non li apro mai. Lasciarli lì è un delitto. L’altra sera mia madre è stata da me. Deve aver visto quella bottiglia defilata, pronta per essere aperta, e convinta che fosse “un vino come un altro” l’avrà aperta con leggerezza. Me ne sono accorto il giorno dopo, al mio ritorno. L’ho trovata in cucina, aperta e richiusa pure male (sebbene abbia almeno 800 tappi “giusti” e la pompetta sacra per richiuderli ermeticamente. Ma lei proprio non vuole usarla). Lungi dall’arrabbiarmi (de che?), mi è venuto da ridere. E l’ho preso come un segnale: vuol dire che era giunto il tempo di berlo. Nonostante la canicola estiva. Così, non poco incuriosito, l’ho bevuto. Per meglio dire degustato. Non voglio star qui a dire se valga o no quei soldi. Il prezzo è un tema spinoso e scomoda troppe variabili, che non ho qui voglia di riprendere. Posso solo dirvi che non mi ero mai imbattuto in un bordolese, tipologia – insisto – a me distantissima, così emozionante e vero. Oltremodo elegante e meravigliosamente fresco, certo morbido ma per nulla piacione (come troppi Merlot). Sapido, di persistenza davvero infinita. I 13 gradi alcolici sono mitigati dall’acidità mai doma, nonostante i quasi vent’anni ormai, e il naso è una sciarada che muta e progredisce. Molto semplicemente, uno dei rossi più buoni in cui mi sia mai imbattuto.
Grazie, madre.