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Cantina Margò

venerdì, Novembre 12th, 2010

Sono tornato da poco da Valencia. Domani sarò di nuovo a X Factor. I molti spostamenti mi hanno impedito di aggiornare anche questo blog (dico “anche” perché, di blog, ne avrei 3. Ho più blog io che canzoni belle Vecchioni).
La prossima settimana sarò in tour martedì a Pescara (con Gianni Mura), mercoledì a Napoli (ristorante Veritas) e giovedì a Caserta (Enoteca La Botte). Per l’esattezza, la prima sarà una giornata sui prodotti tipici abruzzesi (con Mura e me come testimonial), la seconda un invito personale dei gestori al sottoscritto (mi fa molto piacere, considerato che Mura e i coniugi Garanzini me ne hanno parlato con grande trasporto) e la terza una presentazione vera e propria, in pompa magna, con apertura di vini importanti.
Vi racconterò.
Sabato scorso ho provato uno slowfood piacevole, L’Osteria Sant’Ambrogio a Mostiola, tra Casalpusterlengo e Lodi. Un luogo perfetto per chi ama le grigliate, di carne (io no), pesce (a volte) e formaggi (well done). Si sta bene.
In questo post voglio però parlare di una neonata cantina umbra, Cantina Margò. E’ la piccola creatura di Carlo Tabarrini. Ha letto i miei libri, mi ha conosciuto alla presentazione di Eurochocalate e, dopo una splendida cena con varie presenze amene, mi ha donato tre suoi prodotti.
Carlo è giovane, si sta facendo le ossa ed è vicino alla filosofia dei vini naturali.
Il suo primo vino che ho provato è il Margò Rosso 2009. Frutto di un’annata un po’ magra, si è fatto convincere dall’enologo (che non credo durerà molto) ad arricchire il suo Sangiovese con un (piccolo) ripasso su bucce di Merlot. Lui ne avrebbe fatto a meno e per questo lo ritiene il suo vino “commerciale” (a prezzo ottimo, si trova sui 5 euro). Niente muscoli, niente barrique, 3 mesi in tonneaux assai usate. E’ un rosso piacevole, di ottima beva, che mi ha ricordato il Pongelli di Ampelio Bucci (che Tabarrini non ama, e sbaglia). Per la cronaca, il Pongelli è un Sangiovese marchigiano senza pretese, il vino meno lodato di Bucci, ma dotato di una bevibilità adorabile. Il Margò Rosso gli sta appena sotto, ma è il classico vino che berresti ogni sera senza pretese. Con gusto.
Carlo ha poi molto a cuore un altro rosso, per ora senza nome e fuori commercio, di cui ho bevuto l’annata 2008. Nell’etichetta ufficiosa e provvisoria c’è scritto “Sangiovese”, ma Tabarrini stesso – che ha ereditato il vigneto – non è convinto che sia davvero Sangiovese. E la degustazione lo conferma (al colore, al naso, al gusto). Lui stesso ammette di non avere sfruttato fino in fondo le potenzialità del vigneto nel 2008, e in effetti la degustazione non mi ha esaltato. Premetto che, l’altra sera, due miei amici sono stati meno critici di me, ma il vino mi è parso confuso, con un finale dolciastro da gomma arabica (che so non esserci: eppure l’effetto è quello). Il giorno dopo, l’effetto dolciastro era svanito, ma il vino appariva comunque sgraziato, sbilenco. Poca eleganza, c’è da lavorare.
Il vino che più mi ha colpito è il Margò Bianco 2008 (non si chiama così, è un’altra primizia fuori commercio). Carlo ne parla così: “Vinificato a tino aperto, sulle bucce per diversi giorni (il 2010 per tutta la fermentazione), ha fragranze di miele e fiori d’acacia nei primi giorni, banana poi, pipì di gatto in seguito, ma comunque imbevibile per i primi 6 mesi, le fecce del grechetto sono terribili, poi l’autolisi dei lieviti, che vanno in bottiglia, lasciano sempre belle sorprese. Grechetto g5 e tracce di trebbiano, forse”.
La presentazione fa venire voglia di non berlo. E ammetto che, aperto con il mio amico Marco Sensitivi della Bottega del Vino di Castiglion Fiorentino, all’inizio sapeva (un po’) di tappo. Poi però, quasi miracolosamente, si è liberato. Ha vissuto una bella evoluzione. Rivelandosi un orange wine rustico, ma dal bel potenziale. L’abbiamo bevuto, e ribevuto, con grande piacere. Bella eleganza, gran personalità, struttura giusta e persistenza invidiabile. Uno di quei vini che denotano un talento, per ora sfuocato, ma chiaramente percettibile.