Strane deontologie

In calce alla recensione (grazie) di Intravino, oggi Daniele Cernilli, direttore responsabile del Gambero Rosso, scrive (o piuttosto sentenzia): “Saranno anche preziosi gli interventi di Bea e di Maule, però Francesco Valentini mi ha telefonato imbufalito perchè. mi ha riferito, il senso delle cose che ha detto è stato completamente travisato. La stessa cosa che afferma Massimo D’Alessandro. Credo che ci saranno strascichi legali (..) Ho testimonianze dirette di quanto affermo e se questo appare “strano” a qualcuno peggio per lui. Non sono affatto compiaciuto, noto solo che, se fosse vero, non sarebbe una bella pagina dal punto di vista della deontologia professionale nè per chi ha scritto nè per chi ha riportato, prendendosi quindi le proprie responsabilità. Come è peraltro giusto che sia, ci mancherebbe (..) A me era piaciuto molto “Elogio dell’invecchiamento”, il primo libro di Scanzi, che trovo un ottimo scrittore ed una persona sicuramente competente. Mi è capitato di ricevere due telefonate da parte di due produttori che sono persone di indubbia onestà intellettuale, come Francesco Valentini e Massimo D’Alessandro, che prendevano le distanze da quanto era loro stato messo in bocca dallo Scanzi nel suo ultimo libro, e questo ho raccontato“.
Di fronte a tali affermazioni, alcune delle quali gravissime (poiché inventate o quantomeno male espresse), sono costretto a replicare. Se non l’ho fatto prima, è perché sono appena tornato da Jerez de la Frontera, dove ho seguito il motomondiale come inviato del mio giornale, La Stampa.
Come ho scritto nel libro, e poi nel mio blog, ne Il vino degli altri (che non è un libro scandalistico, ma che contiene anche pagine di giornalismo d’inchiesta) non ho fatto che riportare fedelmente le parole ascoltate da Francesco Valentini e Massimo D’Alessandro. E sottolineo parole LORO, non mie. Non sono stato io a nominare Carlo Ferrini, Brancaia, Barilla, eccetera. E sono stati loro – in entrambi i casi – a calcare la mano su certi aspetti “forti”.  Non io. Non li ho certo obbligati. Non cercavo minimamente alcuno scoop, e se anche lo avessi cercato, non sarei andato a bussare alla porta di una persona pacata e misurata come il Professor D’Alessandro.
Ho nuovamente parlato con Francesco Valentini dopo l’uscita del libro. Sarà stato il 13-15 aprile. L’ho fatto subito, oltremodo stupito dalla sua insoddisfazione (comunicatami da Maule). Non volevo crederci, ma era vero. Valentini si è lamentato di come non abbia riportato integralmente l’ora e più di dialogo (cioè di non avergli dedicato ottanta pagine), in particolare i passaggi su Barilla, grano radioattivo e olio Carapelli, che secondo lui ho “tagliato” male. Non condivido, ma ne prendo atto. Valentini ha anche chiesto di togliere, nelle prossime edizioni, alcuni passaggi. Non è cosa che mi esalti, ma se lo preferisce, è quel che farò. Lui sa benissimo che non ho travisato NIENTE. Come sa benissimo che a dargli fastidio sono state soprattutto altre cose (ad esempio le parole – pur affettuose e deferenti – di Maule sul padre di Francesco, Edoardo: pag 165-6). E’ stata comunque una chiacchierata serena (quella fatta dopo il libro, intendo), anche se ho trovato deludente il comportamento di Valentini. Soltanto lui non si è reso conto di come il suo sia uno dei capitoli più toccanti. Un incontro bellissimo. E tale per me resterà. Ho adorato, quel pomeriggio a Loreto Aprutino (nonostante i disastri del navigatore), Valentini e sua moglie. Anche se – consentimelo, Francesco – questa parziale retromarcia, per uno che dice di lottare e combattere, non è un bel vedere. Mette un po’ tristezza, ecco. E te lo dico con immutato rispetto. Non ti credevo parte attiva dei “coraggiosi a microfoni spenti” e spero ancora di sbagliarmi.
Riguardo a D’Alessandro, ho riportato le parole esatte da lui usate, all’interno di un capitolo intero (positivo) a lui dedicato. Ho riparlato con il professor D’Alessandro adesso (3 maggio 2010, ore 20) al telefono e smentisco categoricamente, nella maniera più assoluta, le parole di Cernilli. D’Alessandro non ha mai, e dico MAI, detto a Cernilli che ho inventato o travisato tutto. Al telefono mi ha bensì detto – con risentimento, questo sì – che tutte quelle cose le ha effettivamente pronunciate (compresi i dettagli, come quello del “fornitore abruzzese”) ma che è stato “ingenuo” e “pollo” (riporto anche qui fedelmente i virgolettati) nel riferirle a un giornalista, e che sperava – pur non avendomelo chiesto – che non avrei scritto proprio tutto. Ha poi detto che il tono di alcuni suoi giudizi, ad esempio sui Syrah di alcuni colleghi (Macchiole, Isole e Olena) appare nel libro più forte e stentoreo (“Le mie erano solo battute sui vini di persone amiche”). Trovo giusto riportarlo anche qui.
In questo senso D’Alessandro, che come Valentini non ha alcuna intenzione di adire vie legali (di cosa?), ha mandato lettere di scuse ai diretti interessati (Brancaia etc), sostenendo di essere stato “ingenuo” e “usato”. MAI però ha scritto che io mi sono inventato tutto o che ho travisato. Men che meno – e lo sottolineo: men che meno – riguardo alle sue parole di pagina 131. E’ una calunnia totale e diffido Cernilli e le sue ligie adepte dall’insistere su tale china, passibile – questa sì – di vie legali. Chissà che non sia io a querelare qualcuno, a questo punto. E non viceversa.  
Da quando è diventato un reato intervistare una persona e trascrivere (asetticamente) quanto dicono, anche se quello che dicono è scomodo? A che punto siamo arrivati in questo paese, esimio Cernilli? E’ grave che io abbia riportato il virgolettato di una intervista o piuttosto che SOLO adesso un’azienda lodata e titolata racconti come il Brancaia Tre venga fatto? Può rispondermi, esimio Cernilli? Può rispondere anche e soprattutto ai lettori, ai consumatori? Magari, se ha difficoltà, chieda aiuto alla amena Lady Guerini, la giornalista più premiata dagli Antinori e Frescobaldi. Vedo che, quando c’è da far difese corporative, certi “critici integerrimi” son subito scattanti a correre in soccorso del vincitore.
E’ vero invece (non lo nego affatto) che sia D’Alessandro che Valentini si sono sentiti delusi dal mio comportamento (umano, non giornalistico). Ritengono che, pur  non avendo inventato NULLA, e ribadisco NULLA, li abbia “usati” per fare lo scoop. Prendo atto anche di questo, ma non condivido. E continuo a stimarli. Anche se tale accusa, fatta da persone per cui ho grande ammirazione, mi offende. E rimango ferocemente dell’idea – rispettosa opinione personale – che la loro sia “paura tardiva”, del tipo accidenti mi sono lasciato prendere la mano dalla conversazione e ho parlato troppo, dicendo cose che tutti sanno ma che era meglio non dire.
Specifico che nessuno degli intervistati mi ha chiesto, prima della pubblicazione, di leggere il capitolo. Nessuno. In 13 anni di giornalismo, del resto, me l’hanno chiesto solo Bruno Vespa, Giovanni Floris, Maurizio Costanzo, Gene Gnocchi e Michele Santoro (potete chiederglielo). E’ un’eccezione,  non la regola. E deve essere l’intervistato a chiederlo: non viceversa.
Non parliamo quindi a sproposito, anzi calunniosamente, di deontologia o invenzioni: io ho riportato correttamente le parole che mi sono state dette. Quello che dovrebbe fare un giornalista (libero). Se poi alcuni intervistati, del tutto legittimamente, ma a mio avviso poco coerentemente, si sono pentiti di ciò che hanno affermato una volta trovate le loro parole su pagina (e su pagina la parola appare più forte), è altro discorso.
Un giornalista fa interviste e riporta quello che un intervistato dice. E ogni tanto “prova a far tana”. E’ una vecchia regola del giornalismo: quello vero, almeno. L’intervista, una volta uscita, non deve necessariamente piacere all’intervistato. E’ la differenza che passa tra giornalista e addetto stampa (capito, ghenga del Gambero Rosso?).
E’ affascinante come l’esimio Cernilli e i “garantisti”, col consueto approccio cattedratico e sentenziante, con questa eterna sicumera di chi dall’alto scomunica il “gggiovane” parvenu che ha osato aver successo in un mondo di bacucchi, stiano spostando l’attenzione dal fatto in sé: ovvero che le parole (vere) di D’Alessandro (non mie) sono state confermate dai diretti interessati, almeno nei punti chiave (inchiesta esistente su vini taroccati, coinvolgimento di Carlo Ferrini – di cui forse l’esimio Cernilli è grande amico -, bottiglie bloccate a Brancaia). E’ questo l’aspetto fondamentale. Questo. Questo e il rispetto per le parole degli intervistati, per le persone implicate e per il lavoro della magistratura: tutte cose mai venute meno. Stiamo parlando di una inchiesta. Non di sentenze.
In Italia ormai non si contesta il giornalista connivente, ma quello che ha l’impudenza di riportare  (integralmente) i passaggi più spinosi di una intervista. Questa, esimio Cernilli (contro cui personalmente non ho nulla, cit), è forse la “deontologia professionale” deprecabile.
Un’ultima cosa: non vorrei che l’astio, e la pervicace difesa dello status quo, esibiti dall’esimio Cernilli derivino in realtà da urgenze personali.  Da una certa permalosite. Dal fatto, ad esempio, che nel libro venga dato spazio a molti vignerons scomodi, poco graditi da Gambero Rosso. Che si ricordi minuziosamente il caso Report, da cui Gambero Rosso uscì malino. E che alcuni di questi vignerons, come Angiolino Maule, raccontino (anche sull’esimio Cernilli) aneddoti non proprio edificanti.
Oppure Lucifero Scanzi ha circuito anche Maule, coi suoi fatali occhioni blu?
Mi riferisco, visto che siamo in vena di citazioni dal libro, a questo passaggio. Giusto per dirne uno. Pag. 168-69. Parla Maule. “Avevo il mito del Gambero Rosso, ma l’ho perso presto“. Una volta Maule ha vinto un Tre Bicchieri. “La premiazione, a Torino, fu asettica e triste. Direi proprio sciatta (..) Per il Veneto, come sempre, c’era anche Anselmi. Lo premierebbe sempre, anche se dentro una bottiglia ci mettesse la pipì. Proprio Anselmi, prima di essere premiato, telefonò davanti a tutti noi, platealmente, a Daniele Cernilli. Cernilli era sul palco e rispose al cellulare, come se il pubblico non esistesse. Anselmi non doveva dirgli nulla di urgente, lo fece solo per far vedere che erano amici. Usò un pretesto, mi pare l’avvenenza di una ragazza sul palco. Non fu una grande esperienza. Oltretutto era appena andato in onda il servizio di Report sui vini industriali e le guide asservite“. Tale aneddoto è stato smentito da Cernilli e Anselmi.
Mi perdoni, esimio Cernilli, se quando avverto l’urgenza di saperne di più sulla deontologia professionale, o addirittura inseguo maestri, telefono a Gianni Mura o rileggo Edmondo Berselli. Non certo lei.

P.S. Alcuni lettori mi contestano i refusi. Avete ragione. Del tutto. Li correggeremo.

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106 Responses to “Strane deontologie”

  1. Peter Parker ha detto:

    Scanzi mi fai godere, sempre.

  2. maz ha detto:

    dopo Minzolini e L’adyTivo abbiamo anche l’avvocato Ghedini! Fantastico!
    un appello da consumatore e appassionato a tutti quelli che “sapevano”: abbiate il coraggio di scrivere le cose, come Ziliani e Scanzi. Grazie.

  3. Andrea Scanzi ha detto:

    Basta con questa polemica, su. Mi pare che la dinamica sia, oggi, chiarissima. Non scadiamo sul dileggio altrui. 😉

  4. Rob ha detto:

    Ahahahahahahahhahahaha, l’autogol di Lady Guerini sul premio vinto da Arrigoni l’avete letto? Da sbellicarsi. 🙂
    Ma certa gente c’è o ci fa?

  5. Andrea Scanzi ha detto:

    Qui trovate la seconda parte dell’intervista di Intravino.
    http://www.intravino.com/primo-piano/intervista-al-reprobo-andrea-scanzi-il-vino-ai-tempi-del-pattume-giornalistico/

    Poiché cito – solo e soltanto – nella seconda risposta due addetti ai lavori, preciso e ribadisco alcuni passaggi.

    Fatto 1: “Francesco Valentini mi ha telefonato imbufalito perchè. mi ha riferito, il senso delle cose che ha detto è stato completamente travisato. La stessa cosa che afferma Massimo D’Alessandro” (Daniele Cernilli, 3 maggio 2010, blog Intravino).
    FALSO: Massimo D’Alessandro non ha mai detto di essere stato travisato, ma di non sentirsi rappresentato dal tono generale del capitolo. Cosa ben diversa. Oltretutto non aveva ancora parlato con Cernilli. D’Alessandro non ha mai affermato di non avere detto le parole riportate a pagina 131 (l’argomento cardine a cui allude Cernilli). Le ha confermate anche all’avvocato Bernardo Losappio, legale di Carlo Ferrini, che è qui gentilmente intervenuto.

    Fatto 2: “Mi è capitato di ricevere due telefonate da parte di due produttori che sono persone di indubbia onestà intellettuale, come Francesco Valentini e Massimo D’Alessandro, che prendevano le distanze da quanto era loro stato messo in bocca dallo Scanzi nel suo ultimo libro” (Daniele Cernilli, 3 maggio 2010).
    FALSO: nel momento in cui lo ha scritto, Cernilli non aveva sentito al telefono Massimo D’Alessandro, come ho poi avuto modo di appurare telefonando io stesso a D’Alessandro e come lo stesso Cernilli è stato costretto ad ammettere il giorno dopo su questo blog. Cernilli ha parlato al telefono con D’Alessandro il 4 maggio. Il giorno prima aveva solo riportato (malino) quanto riportato da Eleonora Guerini.

    Per tali falsità, non ho ancora ricevuto le scuse di Daniele Cernilli, che con tali messaggi “intimidatori” e pubblici, su argomenti peraltro che non lo riguardavano e tifando per una mia querela, ha leso la mia dignità professionale. Dando la sensazione (spero solo sensazione) di voler difendere lo status quo e offendendo un collega che non conosce. Collega, peraltro, che ha scritto un libro nel quale Cernilli viene definito (da Francesco Valentini) “bravissimo giornalista” e in cui io stesso plaudo il Gambero Rosso – se non altro – per avere aperto la loro guida al fenomeno della viticoltura naturale e ai “tre bicchieri verdi”. Il tutto a conferma di una NON esistente mia pregiudiziale nei confronti di Cernilli. E resto tuttora disponibile a una sua smentita, nella seconda edizione, riguardo all’(irrilevante) aneddoto raccontato da Angiolino Maule nel libro. Aneddoto (irrilevante) che peraltro Maule conferma. Se io sono stato pienamente corretto nei confronti dell’esimio Cernilli, non posso dire lo stesso a parti invertite.

    Fatto 3: si è parlato di me come di un travisatore, manipolatore, furbastro, tentatore, taroccatore, pattumista (?), etc. Ha cioè avuto luogo una DIFFAMAZIONE a mio danno. E tutto questo per una intervista il cui contenuto è stato confermato non solo dall’intervistato (che ne ha contestato i toni), ma anche dalle persone chiamate in causa. Ovvero per aver fatto il mio lavoro. Accetto – anche se ne soffro – se il signor D’Alessandro mi dà dello “scorretto”, essendosi pentito di aver detto troppe cose a un giornalista (prassi non esaltante), ma non accetto che altri baroni e tromboni asseriscano (come finora hanno fatto) il falso.

    Fatto 4. L’intervista era vera e veri erano i contenuti. Questo e solo questo conta. Nel pieno e fermo rispetto della magistratura e delle persone coinvolte. Rispetto mai venuto meno. Non da parte mia o di chi ho intervistato nel libro, quantomeno. Sono altri che hanno scritto post inneggianti alla condanna (legale) di colleghi sgraditi, inventando di sana pianta alcuni accadimenti e spostando – deliberatamente – l’attenzione su aspetti marginali. Una prassi deontologicamente squallida.

    Fatto 5: Eleonora Guerini mi ha definito giornalista taroccatore e ha parlato del mio lavoro come di “giornalismo pattume”. Se ha poi avvertito l’esigenza di scusarsi (parzialmente) in questo blog, sapeva che erano forse affermazioni non vicine al vero.
    La signora Guerini, intervenendo qui più volte, in mezzo ad alcune gaffes (l’assegnazione-non-assegnazione di un premio a Francesco Arrigoni), ha però – se non altro – fugato definitivamente i dubbi sulla veridicità (nel senso di realmente pronunciate) dei virgolettati di pagina 131. Cito questo passaggio della Guerini: “mi ha confermato di aver più e meno detto quello che veniva scritto, solo non sentiva quelle parole o meglio il tono che trapelava, come proprio. e il suo rammarico più grande non aveva, come forse invece i più credono, a che fare con la questione dell’indagine in corso. voglio dire, quella è roba che ormai sanno pure i sassi. non sopportava l’idea di essere letto come uno stronzo arrogante senza sensibilità e cultura”.
    Da tale passaggio, scritto non certo da una mia fan (quindi ancor più credibile), e che va peraltro a confermare quanto scritto dall’avvocato Losappio (andando con ciò a smentire il tono “dubbioso” del Cernilli), si ha quindi conferma di come il professor Massimo D’Alessandro non abbia mai negato i CONTENUTI, quanto casomai la FORMA (i “toni”), a suo dire arroganti.
    Non solo: la Guerini stessa conferma come D’Alessandro sia rimasto dispiaciuto non della pagina 131 (l’oggetto del contendere), ma ad esempio dei suoi giudizi (testuali) sui Syrah dei colleghi, pagina 127, che aveva espresso con tono ironico ma che messi su pagina hanno acquisito (a suo dire) una valenza sentenziante.

    Reputando che della vicenda si sia parlato sin troppo, e trovando tuttora deplorevole l’atteggiamento di alcuni tromboni cattedratici, non intendo intervenire oltre.

  6. lanfranco ha detto:

    Sei un grande…mi ha parlato di Te un amico,con cui condivido la passione per Vino(quello vero non consigliato dalle “guide” tipo mariotto e GuidoBerta) e ciclismo….oggi vado da Feltri e mi compro tutti e due i libri….

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