Pinot Nero – Gottardi

Qualche sera sono stato a cena con Jonathan Nossiter e Paula Prandini. Ci siamo conosciuti, di persona intendo, qualche settimana fa a Dogliani.
Mi piace quello che hanno fatto – e stanno facendo – per il vino naturale e, in genere, per il loro contributo all’etica applicata al mondo del vino. A volte sono più entusiasti di me nei confronti di aziende che non sempre mi convincono (Donati, Le Coste, Occhipinti, Bellotti) ma è un dettaglio. Ne ho molta stima, umana e professionale. E – tra le mille cose – li ringrazio per avermi fatto scoprire un Alvarinho naturale portoghese (Quinta Do Dorado): bevibilità meravigliosa.
A un certo punto, durante la serata, abbiamo provato un Pinot Nero di Gottardi. Annata 2004. Il vino – uno dei 10 – che avevo scelto per Elogio dell’invecchiamento. Mi piaceva tanto, cinque anni fa. Di recente, ho bevuto due volte la 2008. Giovane, giovanissima. Da aspettare. Ma ne ho apprezzato l’eleganza, la piacevolezza, la digeribilità. E’ un vino che sta in enoteca sui 20 euro e al ristorante (onesto) sui 25-30. Prezzi buoni.
L’annata 2004 ci ha un po’ deluso. Mi aspettavo di più. Era sbilanciato, slegato. Si sentiva troppo l’alcol, e pure il legno. Non aveva una particolare “drittezza” e nella progressione olfatto-gustativa era scombinato: al naso prometteva, in bocca non manteneva. E il vitigno si riconosceva poco.
Non so se ho tenuto male la bottiglia – tra un trasloco e l’altro – e quindi il Pinot Nero si è cotto un po’. Oppure era un’annata già stanca. Oppure ho cambiato il gusto.
Gottardi mi piace ancora. E’ una delle migliori aziende italiane di Pinot Nero. Lo conferma la pur imberbe annata 2008. Ma è innegabile che ormai beva solo bianchi, fermi e spumanti (secchi). E quando mi trovo un rosso, o è davvero elegante e verticale, e al tempo stesso vero e passionale, o mi stanca subito. Ne consegue che soddisfarmi con un rosso è diventato davvero difficile.

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20 Responses to “Pinot Nero – Gottardi”

  1. Francesco ha detto:

    le cose stanno cosi:o abbiamo amici comuni che uniscono i punti o le coincidenze diventano normalita’.stasera avrei deciso di andare a cena con due amiche.una non puo’ bere,l’altra beve solo rosso.la prima scelta nell’entroterra e’ ancora chiusa,prenoto quindi in un locale che gia’ conosco.ha una carta vini spessa 10 cm.non voglio perdermici a discapito della conversazione in compagnia quindi mi imbatto su internet qui http://​www.trattoriamosto.it/​cantina.php?id=35 e una prima scelta per 2 rossi cade sul pinot nero gottardi 2005 e bressan 2004.dopo il pendio ora anche gottardi.karma direbbe qualcuno.domani anche per tenere aggiornato giovanni corazzol postero’ le impressioni.solo del vino

  2. Ale ha detto:

    Gottardi”base”:grandissimo​ vino!

  3. Jonathan ha detto:

    Caro Andrea,

    Un Pinot Nero fuori la Borgogna, per me, è come chiedere a Michel Piccoli di non solo fare un film iraniano in Iran, ma di incarnare un personaggio iraniano. Perché no? Può anche dare dei risultati interessanti. Ma possiamo immaginare Piccoli nel espressione più profondo e vivace di se stesso? Io condivido con te una debolezza per i bianchi (stai invecchiando veloce!) e ho bisogno in genere coi rossi di quello che Anselme Selosse definisce come: “la pureté de l’eau de roche”. Mi sembra che il Pinot nero fuori il calcario della Borgogna, anche quando è piacevole, non lo ritrova questa purezza minerale.
    Sono entusiasta di tutte le esperienze di uve nuove in zone nuove (forse 100 anni in Alto Adige?), ma alcune uve mi sembrano viaggiatori non entusiasti. E poi qualche mil ano di osservazione empirica, diciamo “agri-culturale” non è da scontare così facilmente. un abbraccio minerale

  4. Jonathan Nossiter ha detto:

    Caro Andrea,

    Un Pinot Nero fuori la Borgogna, per me, è come chiedere a Michel Piccoli di non solo fare un film iraniano in Iran, ma di incarnare un personaggio iraniano. Perché no? Può anche dare dei risultati interessanti. Ma possiamo immaginare Piccoli nel espressione più profondo e vivace di se stesso? Io condivido con te una debolezza per i bianchi (stai invecchiando veloce!) e ho bisogno in genere coi rossi di quello che Anselme Selosse definisce come: “la pureté de l’eau de roche”. Mi sembra che il Pinot nero fuori il calcario della Borgogna, anche quando è piacevole, non lo ritrova questa purezza minerale.
    Sono entusiasta di tutte le esperienze di uve nuove in zone nuove (forse 100 anni in Alto Adige?), ma alcune uve mi sembrano viaggiatori non entusiasti. E poi qualche mil ano di osservazione empirica, diciamo “agri-culturale” non è da scontare così facilmente. un abbraccio minerale.

  5. Simone Revelli ha detto:

    Perdonami Andrea, ma il fatto che il vitigno si riconoscesse poco mi sembra irrilevante. Insomma per dirla “alla Leroy” il miglior pinot noir è quello che non sa di pinot noir (ma lascia esprimere il terroir).

    Ciao,
    S.

    PS: cavolo le percezioni si evolvono… eccome.

  6. Della ha detto:

    @Francesco. Chapeau per i vini del Mosto. Sembra più un’enoteca che la carta di un ristorante, però le cantine presenti sono davvero interessanti

  7. benux ha detto:

    questa recensione non me l’aspettavo ,ho preso da poco 1 bottiglia di gottardi soprattutto per la tua recensione sull’elogio.

  8. Carlo Tabarrini ha detto:

    Andrea, è da tempo che vorrei farti riassaggiare il mio 2009…
    spero di trovare l’occasione.

  9. Claudio ha detto:

    Concordo 100% con Nossiter e mi permetto di estendere lo stesso concetto anche per i Syrah fuori dal Rodano, i Cabernet Franc fuori dalla Loira ed i Nebbioli fuori dalle Langhe. Troppo assolutista? mi starò invecchiando pure io…

  10. Luca Miraglia ha detto:

    Ogni tanto, ciclicamente, si parla di Pinot Nero (una sorta di “ultima Thule” delle aspirazioni di qualsiasi enoappassionato, il punto di arrivo auspicato di noi sbevazzatori con un minimo di esperienza e, forse, cultura), e ci si chiede se e dove, in Italia, esistano terroir magici in grado di generare vini di livello assoluto.
    Orsù, credo di poter affermare che non ne esistono: punto e basta! Mi pare di ricordare bene che tale concetto è stato spesso sottolineato da Andrea nei due libri ed in svariati post, e che il filo conduttore del ragionamento è che solo in alcune zone dalle caratteristiche climatiche molto specifiche (vedi l’altopiano di Mazzon, dove sono i vigneti di Gottardi) è possibile che i risultati siano importanti, ma non illudiamoci, perchè anche i PN prodotti lì sono differenti, e molto, da quelli francesi.
    La cifra stilistica diverge anni luce: l’altra sera, ad esempio, ho testato in sequenza il Bourgogne “base” di Philippe Pacalet (Domaine Sabre) 2005 ed il PN Riserva Sandbichler (stessa annata, provenienza Mazzon) di Hans Lun, produttore fra i più rigorosi: ebbene, viaggiavano a due velocità totalmente differenti, ed il francese ha suscitato stupore ed emozione, mentre l’altoatesino, pur di grande complessità, è restato tramortito.
    Non c’è nulla da fare, cari produttori: il PN nostrano è, perfino nelle sue espressioni più piacevoli, un “cadetto” rispetto al cugino d’oltralpe.

  11. Claudio ha detto:

    Ed il Bourgogne del Domaine Sabre costa anche poco, questo sempre a sfatare il mito troppo spesso ripetuto che i vini francesi buoni siano solo quelli cari…

  12. Giovanni Corazzol ha detto:

    l’accostamento tra vini di uguale vitigno coltivati in terroir differenti e a diversa vocazione è esercizio legittimo, ma temo spesso deludente. la barbera esiste in piemonte, ma anche ad esempio in Umbria (ho ribevuto il Galantuomo di Collecapretta), con risultati diversi evidentemente, ma comunque ben piacevoli. Andrea ha infatti valutato una bottiglia di pinot nero dell’alto adige senza confrontarla con bottiglie borgognone. ne sarebbe uscita con le ossa rotte o, nel caso di gottardi, con qualche bugna. Però i vini di Gottardi sono tendenzialmente eccellenti e se valutati senza comparazioni non possono deludere. Possono, per fortuna, cambiare di annata in annata. Forse la 2004 non è al livello della 2005, che anch’io come Francesco ho bevuto da poco sembrandomi un bel bere ad un ottimo prezzo.
    In questo rischio di non essere quindi d’accordo con Nossiter ai cui piedi ora et semper mi prostro devoto. E meno male che adesso sapete la mia opinione. gulp!

  13. mimma ha detto:

    Pura curiosità: per caso l’alvarinho portoghese é l’alvarinho di Marcel Dorado?

  14. Alessandro, Enea ha detto:

    Cari Andrea e Jonathan,
    la bevibilità di un Bianco fermo o frizzante è molto meno impegnativa di un Rosso, il quale dopo una bevuta ti lascia molteplici sentori rispetto al Bianco stesso. I Rossi impegnativi ti fanno sognare, raccontare cose impossibili, forse è per questo che la maggior parte delle persone preferisce i Bianchi, poichè più semplici da degustare. Io adoro tutti i vini bianchi ma i Rossi seri, veri, hanno una marcia in più.

    Enea

  15. Matteo Villa ha detto:

    E il nome dell’Alvarinho si può sapere? Qui in Portogallo il concetto di vino vero / vino naturale è ancora molto verde, come l’Alvarinho del del resto…

  16. Andrea Scanzi ha detto:

    Ho aggiunto il nome del produttore di Alvarinho. E’ esattamente Marcial Dorado della Quinto do Dorado, come qualcuno tra voi aveva ipotizzato. Tutto merito di Jonathan, io non lo conoscevo.

  17. Annina ha detto:

    La Trattoria Il Mosto è un must per la cucina e i vini, io conosco i proprietari e lui è un enostrippato del vino!!! 🙂

    Tornando al pinot nero di Gottardi, io penso che sia una delle migliori espressioni di pinot nero in Italia, però dico anche, insiema ad altri amici con i quali mi ritrovo a bere: “il pinot nero coltivato al di sotto del 45° parallelo, è da lavandinare!!!!” ahahahaha
    Infine, un commento alla tua evoluzione verso i vini bianchi: tutti i più grandi degustatori che conosco(alcuni anche famosi in Italia!!!), preferiscono i vini bianchi ai rossi, sarà l’evoluzione dei Grandi?
    Mah……………chi può dirlo!!! 🙂

  18. francesco guerisoli ha detto:

    sono ricapitato su questo blog un po’ per sbaglio e un po’ no.e’ passato un anno e Franco Solari,il patron de I Mosto non c’e’ piu’.a lui la mia citazione qui era piaciuta e non dimentichero’ mai quell’auto che inseguivo per trovare la strada giusta per arrivare a La Stoppa.eral’anno di triple A che Andrea ricordera’ di sicuro.solo dopo qualche km nelle campagne l’auto che seguivo fa una brusca inversione,mi si affianca e dal finestrino Franco,che allora nn conoscevo, sudato e spazientito mi chiedeindicazioni per raggiungere l’azienda.a me,a me che seguivo lui.la settimana scorsa sono tornato nella trattoria per la prima volta senza di lui accovacciato con quelle ridicole braghe larghissime e camice hawaiane.serata formaggi,solo formaggi.bevuto da dio
    un brindisi

  19. adelina ha detto:

    Carissimi Vi consiglio il Fosso dei Ronchi il pinot nero che va assaggiato poi parleremo del territorio terre adatte che si trovano anche in Italia, però Quell pochetto d’amore e necessario per un buon risultato

  20. Lorenzo Conci ha detto:

    PINOT NERO – Tea il serio e il faceto
    Dire, o sentir dire, che il Pinot Nero è un vitigno ostico è ormai diventato un tormentone,
    quasi un luogo comune, che verrebbe voglia di dire: “basta con sta storia…”.
    Poi però ti trovi di fronte ad un calice di Pinot Nero…
    Già all’esame visivo, la parte solitamente più semplice di una degustazione, quella che, anche tu che non hai fatto il corso AIS, solitamente affronti baldanzoso, che tanto cosa ci vuole a riconoscere un Bel Rosso rubino o un bel Rosso Granato, sorgono le prime difficoltà.
    Il Pinot Nero non ha mai un colore deciso o ben definito. E’ di un rosso un po’ fesso, più o meno scarico, magari un po’ ambrato dove “scarico” non ha la valenza che può avere quando si osserva un Merlot o di un Cabernet.
    “Scarico”, per un Pinot Nero che già di suo non gode di tinte forti, rischia di fartelo sembrare un vino dimesso.
    Ti chiedi se non sia meglio tralasciare la parola “scarico” e limitarti a Rubino o Granato, quando nella tua testa, mentre lo osservi, si materializza la figura di Antonio Albanese che, roteato il calice e osservatolo in trasparenza, sentenzia: “ E’ rosso!”
    Per fortuna ci sono le sfumature ambrate che gli offrono quella nota austera dei vini importanti invecchiati, e questo basta per rivalutarlo ai tuoi occhi e nelle tue note di degustazione.
    I problemi veri iniziano quando accosti il calice al naso, nel tentativo di catturarne i profumi e gli aromi, che ti aspetti sempre sottoforma di effluvi, perché i tuoi ricettori sono tarati su un nebbiolo delle langhe invecchiato trent’anni.
    “Calma!” – ti dici. – “Calma e testa sgombra per apprezzare le note fruttate o floreali che, anche quando ben delineate, sono più delicate, espresse da un vitigno che ama i climi freschi. Lo dicono anche i manuali…”
    Dopo aver preso diligentemente nota di fragola, mirtillo e amarena, indeciso se aggiungere cuoio e note di sottobosco perché dovrebbero esserci ma non necessariamente, e sempre con l’immagine di Albanese incombente, decidi di accantonare momentaneamente la cosa e passare all’assaggio.
    Se prima era difficile, ora è decisamente complicato.
    Lo sanno tutti che il Pinot Nero gioca la sua reputazione principalmente sull’eleganza e su equilibri spesso fragili, ma il saperlo non basta ad aiutarti.
    Acidità, alcool, tannini (di cui è spesso avaro): un’alchimia non facile da ottenere ma anche spesso da individuare e da valutare.
    Più facile trovarsi d’accordo nel valutare un Sangiovese o un Refosco, perfino un Lambrusco. Si cammina su un filo sottile, dove le soggettività di interpretazione faticano a mantenere la stessa direzione.
    Ti arrovelli alla ricerca dei termini più appropriati per descrivere quanto la vena acida sia ben controbilanciata dal tenore alcoolico e i tannini siano comunque percettibili e rotondi e, se e quanto, il retrogusto richiami il cioccolato, per arrenderti infine e scrivere nelle annotazioni, sotto dettatura di Albanese, del quale non riesci a cacciare l’immagine, “elegante ed equilibrato.”
    Ti consoli in chiusura annotando: “buono il finale” , che non significa molto ma che è anche affermazione che corre pochi rischi di contestazione.
    La domanda che sorge spontanea alla fine è: come fanno i sommelier di professione, quando descrivono un Pinot Nero ad sfornare recensioni così sicure e dettagliate….?
    Beh…forse semplicemente a loro Antonio Albanese non appare.

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