Archive for Giugno, 2015

Vini ostinati e contrari: Pico La Biancara

lunedì, Giugno 29th, 2015

pico-angiolino-maule-la-biancara-2008-300x225Raccontando al pubblico la genesi del suo Mondovino, film che ha cambiato non poco la maniera di raccontare (e probabilmente concepire) l’universo enologico, il regista Jonathan Nossiter non mancava quasi mai di ricordare quanto fosse rimasto stupito dalla piacevolezza di un bianco italiano. Quel bianco – poco costoso e non troppo famoso – appariva un po’ strano, appena torbido, vivificato da un giallo dorato così distante dalla neutralità asettica dei troppi “giallo paglierino” in commercio. Quel bianco era il Pico dell’Azienda Agricola La Biancara di Gambellara, in provincia di Vicenza. Dietro l’azienda si cela la famiglia Maule, dominata dal padre Angiolino. Personaggio vulcanico, di gran talento e grandi spigoli, sinceramente appassionato (per qualcuno pure troppo). Era e rimane uno dei grandi pionieri del vino naturale, allievo di Gravner (con cui poi puntualmente ha litigato) e dominus della meritoria associazione VinNatur (nata da una scissione con Vini Veri). La Biancara produce anche rossi e Recioto, ma il meglio lo dà nei bianchi, tutti Garganega in purezza. Un vitigno di indubbio pregio, ma spesso banalizzato da aziende più interessate alla quantità che alla qualità. Si possono scegliere tre Garganega: il base Masieri, il medio Sassaia, il cru Pico. Sono vini di una piacevolezza, e di una grazia, davvero rare. Maule rispetta la natura come pochi e non smette mai di cercare. La sua è un’azienda semplicemente irrinunciabile. (Il Fatto Quotidiano ha cambiato grafica, al lunedì, e anche la rubrica del vino va in cantina. Qui, però, continua. Ogni settimana, o giù di lì).

Vini ostinati e contrari: Trebbiano Casale

lunedì, Giugno 22nd, 2015

FullSizeRenderCertaldo è un luogo incantevole in provincia di Firenze, famoso per molte cose. Per aver nato i natali (pare) a Boccaccio e per una mostra del fumetto al cui interno, se cerchi bene, incontri Dylan Dog e Martin Mystère. Non è però nota, non immediatamente almeno, come luogo vitivinicolo particolarmente vocato. Per cambiare idea vale la pena arrivare a Località Casale, Via San Martino, Certaldo. La famiglia Giglioli-Rinaldi, qui, vinifica addirittura dal 1770. Azienda biodinamica dal 1979, e se non è un record in Italia poco ci manca, produce anche vin santo, grappa, olio e farro. Se vai a visitarla, e ne vale la pena, trovi anche molte damigiane con il vino sfuso e botti con dentro bianchi (Trebbiano) e rossi (Sangiovese) vecchi di decenni. L’Azienda Agricola Casale fa parte di VinNatur e vanta una conduzione felicemente ruspante e per nulla formale. Il vino che più colpisce è il Trebbiano Igt. Non si trova facilmente, 6mila bottiglie delle 12mila complessivamente prodotte ogni anno. Le viti hanno età media di 50 anni. Una settimana di macerazione sulle bucce (ma dipende dall’annata) senza follatura o rimontaggio. Maturazione sulle fecce per 6 mesi, leggera chiarifica e 2 mesi di affinamento in bottiglia. Ha un rapporto qualità/prezzo quasi imbarazzante, nel senso che – in tutta onestà – costa davvero poco. Non immaginatevi il vino della vita, ma piuttosto un vino quotidiano che non ti stanca mai e si lascia bere senza disturbare o stancare. Delizioso. (Il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2015. Trentunesimo numero della rubrica “Vini ostinati e contrari”. Ogni lunedì in edicola)

Vini ostinati e contrari: Chiarofiore Tunia

martedì, Giugno 16th, 2015
FullSizeRenderTunia è una giovane azienda immersa nella Val di Chiana. Animata da due ragazze, nessuna delle quali nata nella provincia aretina, cerca di valorizzare un territorio non poco sottovalutato. I vini sono naturali e Tunia fa parte dell’associazione Vin Natur animata da Angiolino Maule, ma i prodotti messi in commercio hanno una pulizia che li rende accattivanti per chi non ama troppi azzardi (ma al tempo stesso li rende “troppo poco strani” per chi beve solo vini spigolosi e al limite quasi del difettoso). Azienda meritoria e coraggiosa, migliora di anno in anno. Oltre a un Sangiovese felicemente bevibile e ispiratamente umile, a spiccare è il Chiarofiore. È un orange Wine, un bianco macerativo a maggioranza Trebbiano e con un’aggiunta di Vermentino. Le prime annate erano gradevoli ma un po’ opulente, mentre col passare delle vendemmie si nota una crescita di bevibilità e di equilibrio. È’ frutto di 4 diverse vendemmie, la prima a inizio settembre (per sfruttare l’acidità del Trebbiano non ancora maturo) e l’ultima per inserire nel blend una piccola porzione di Trebbiano sovramaturo e attaccato dalla muffa nobile (per dare corpo e morbidezza: scelta comprensibile, ma forse azzardata). Le quattro parti vengono vinificate separatamente. Il vino affina in acciaio sulle fecce fini per 12 mesi e poi in bottiglia per altri 6 mesi. Non ancora troppo noto, il Chiarofiore è un vino inizialmente spiazzante, ma che difficilmente delude e non ammalia. (Il Fatto Quotidiano, 15 giugno 2015. Trentesimo numero della rubrica “Vini ostinati e contrari”. Ogni lunedì in edicola)

Vini ostinati e contrario: Cinque Terre Vetua

martedì, Giugno 9th, 2015

FullSizeRenderLe bottiglie prodotte sono poche, meno di 5mila l’anno. Appena un ettaro vitato. Lo Sciacchetrà, il celebre passito tipico della zona, è prodotto solo nelle annate migliori. In vigna la concimazione è naturale, e ai filari si alternano erbette selvatiche, bietole e insalata. I vitigni coltivati sono anzitutto Bosco, Vermentino e Albarola, il trittico – raro e inimitabile – che contribuisce a rendere ulteriormente uniche le Cinque Terre. Nella piccola azienda a conduzione familiare Vetua, a Monterosso sul Mare località Fuisso, si punta poi su altre uve autoctone pressoché scomparse. Il vino che più racconta questa realtà senz’altro eroica, benedetta da terre non riproducibili altrove ma al tempo stesso vessata dai rovesci climatici e con filari a strapiombo difficilissimi da lavorare, è il bianco Cinque Terre Doc. Un piccolo prodigio che ti stordisce per la sapidità spiccata, per la personalità, per la ispirata facilità del bere. Nel blog di Luciano Pignataro, esperto autentico, lo si definisce “lama grigio verde impreziosita da riflessi gialli e cristallini, carnosi e sfaccettati: una miscela dura e confortevole, quasi un infuso di tè bianco attraversato da lampi metallici e da quella salsedine delle chiglie di barche tirate a secco, che invade il naso di intensa mineralità”. Una descrizione sin troppo immaginifica, che però rende bene l’idea. Il proprietario è Sebastiano Catania, la cui piacevolezza è uno stimolo suppletivo per visitare l’azienda. (Il Fatto Quotidiano, 8 giugno 2015. Ventinovesimo numero della rubrica “Vini ostinati e contrari”. Ogni lunedì in edicola)

Vini ostinati e contrari: “C” di Catarratto Guccione

martedì, Giugno 2nd, 2015

FullSizeRenderNon fatevi sfuggire questo bianco: è uno dei migliori orange wine italiani. Francesco Guccione ha una storia pesante, e affascinante, alle spalle. E’ il percorso, tra vigne confiscate e fratelli che se ne vanno, di una ripartenza. Dice di sé e dei suoi vini: “Appartengo a una famiglia che da generazioni si occupa principalmente di agricoltura. Ho iniziato a fare il vino aggiungendo lo stemma di famiglia. Al tempo ero insieme a mio fratello. Nel 2011 la frattura, la fine di una storia e per fortuna l’occasione di una rinascita. Le stesse vigne, la stessa mano che vinificava i primi vini: la mia. E una nuova cantina per ripartire”. Guccione cura personalmente le vigne. Sei ettari, agricoltura biodinamica. L’azienda ricade nel territorio di Monreale, 500 metri sul livello del mare. “Sono però più vicino a San Cipirello, il paese che ospita la mia nuova cantina. Qui comincia la valle del Belice, una grandissima vallata, un vero e proprio forziere di prodotti di grandissima qualità”. Sedicimila bottiglie circa prodotte l’anno. Nerello Mascalese, Trebbiano, Perricone. E Catarratto: è la sua bottiglia più affascinante. Si chiama “C” e si presenta essenziale sin dalla etichetta, come fosse un vino da tavola qualsiasi. Macerato (abbastanza ma non troppo) sulle bucce, ha il colore dell’oro vecchio. I profumi ricordano gli agrumi e gli idrocarburi, il tè e il balsamico, poi sensazioni resinose e un’acidità prodigiosa. Più che un vino, un piccolo capolavoro. (Il Fatto Quotidiano, 1 giugno 2015. Ventottesimo numero della rubrica “Vini ostinati e contrari”. Ogni lunedì in edicola)