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Cannavacciuolo salverà il mondo (Cucine da incubo)

venerdì, Luglio 12th, 2013

cannavac“Questi cucinano con la merda, cazzo”. Il vocione di Antonino Cannavacciuolo, totemico chef napoletano 38enne, introduce la nona e penultima puntata di Cucine da incubo. Ore 21.55, FoxLife, 233mila spettatori (poco sotto l’1% di share). Prima stagione italiana. La versione originale, Ramsay’s Kitchen Nightmares, è andata in onda in Inghilterra dal 2004 al 2009. Il protagonista era Gordon Ramsay, presente più o meno in 312 reality gastronomici.
Cannavacciuolo è un cuoco molto bravo. Dal 1999 è titolare e gestore, con la moglie Cinzia Primatesta, del lussuoso Ristorante Hotel “Villa Crespi” a Orta San Giulio. Due stelle Michelin, tre forchette Gambero Rosso. Una star, che arriva nel luogo del delitto guidando un vespone, le cui sospensioni ne accettano con stoico eroismo il nobile peso.
Cucine da incubo si distingue da Master Chef per una Weltanschauung più illuminista. Master Chef è un Full Metal Jacket alla vaccinara, cattivista, in cui i candidati vanno in crisi di nervi se solo qualcuno ne critica l’impiattamento. La triade Bastianich-Barbieri-Cracco incarna un Sergente Hartman al cubo che scudiscia i peccatori senza pietà, sciorinando avvincenti dissertazioni sul potere lisergico dei fagioli zolfini. Cracco, per esempio, è un perfetto incrocio tra Lorenzo Lamas e Chuck Norris, condividendone peraltro la fiera monoespressività. Iperboli, esagerazioni e una sola certezza: se sbagli julienne, sei fuori. E non ci sarà salvezza. Né per te, né per il Pianeta.
Cucine da incubo, no. Qui il sottotesto è Rocky IV, laddove il protagonista tumefatto biascicava rivolto a Gorbaciov: “Io credo che se noi possiamo cambiare, tutto il mondo può cambiare!”. Cannavacciuolo è il Rocky dei talent culinari. Un Balboa ruvido, però buono. Il cotè di Cucine da incubo è la favola. E’ Frank Capra. C’è sempre il lieto fine. L’Inferno diventerà Paradiso e il merito sarà di Antonino, che a fine puntata non griderà “Adriana!” ma mostrerà a cuochi sfigatelli le agognate porte della percezione.
Rocky Cannavacciuolo dovrebbe essere sadico, ma non gli viene proprio. Nelle foto di scena è ritratto con posa da incazzoso e il coltellaccio stile Dexter, ma tutti sanno che uno così al massimo può pugnalare una lasagna. La trama di Cucine da incubo è semplice: Antonino deve salvare un ristorante in crisi. Una volta è a Gaggiano, quella dopo a Frascati. Nella puntata di mercoledì diffondeva il verbo a Roma. Ristorante Le Lanterne. La proprietaria era una giovane polacca, lo chef un sardo, l’aiutocuoco un orientale. Due camerieri in sala. Situazione disperata. Tutti parlano male di tutti, i clienti scarseggiano e quei pochi si lamentano. Qua, forse volendo e forse no, il programma si rivela un discreto spaccato della società, mostrandone ipocrisia e perfidia. Se il piatto non è buono, il cuoco incolpa sempre gli altri: chi ha preso la comanda, il personale che scarseggia, il cliente che non se ne intende. Pure se colto in flagrante, è pronto a giurare che il pesto l’ha fatto davvero lui in persona (sebbene la telecamera mostri la scena in cui lo toglie dal vasetto comprato al supermercato) e che i paccheri non erano affatto precotti (anche se dopo due minuti il piatto era già pronto).
cucine 3E Cannavacciuolo? Egli è il Salvatore. Il Guru. Il Messia. Egli non sbaglia. Mai. Egli è la Luce. Il plot si ripete, senza abbondare in veridicità. Antonino arriva e prova i piatti, trovandoli puntualmente una chiavica: il riso fa schifo, la carne fa schifo, il menu fa schifo. Fa tutto schifo, tranne lui. Poi commenta con indicibile disgusto – e qualche parolaccia buttata là come mantecatura su un’umanità irredimibile – l’arredamento. Al mattino successivo ispeziona la cucina del locale, trovandola non di rado più impresentabile di un bagno chimico dopo un concerto degli Ac/Dc. Arriva quindi il punto della catechesi, in cui Cannavacciuolo schiaffeggia con amore paterno il volgo – cioè cuochi e sottocuochi – mostrandogli la via e insegnandogli piatti mirabili ma in fondo facili. E’ qui che si verifica l’agnizione: i peccatori, rapiti dalla bravura del titanico Antonino, si innamorano dei suoi pomodorini su fondo di burrata o delle cozze adagiate su letto di fagioli borlotti polverizzati.
Il locale, sulla via della redenzione, organizza a questo punto un pranzo gratis per riconquistare la clientela e provare i nuovi piatti. Si notano dei miglioramenti, ma è presto per il lieto fine e qualche cliente (pur mangiando a scrocco) protesta. Cannavacciuolo Balboa, con la pazienza di Giobbe e le manone da Bud Spencer, sospira ma conosce la strada. Così cambia l’arredamento, trasformando una bettola cafonal in un’osteria dei sogni. La proprietaria piange, il cuoco piange, i camerieri piangono. Un tripudio di lacrime, un’esondazione di commozione. Si ode far festa: la Terra resterà in asse. Rocky ha vinto anche stavolta e tutti vivranno felici e contenti. Tranne Antonino. Il quale, come ogni eroe, ha sempre l’aria malinconica. La gioia suprema gli è negata. Rocky è troppo impegnato a cancellare le malefatte altrui per sorridere, e infatti è già in sella sopra il destriero-vespone. Verso nuove frontiere e cucine. Quando il sole sorge, non importa se sei un leone o una gazzella. L’importante, se hai un ristorante, è che il locale te lo rilanci Cannavacciuolo. Altrimenti è un casino.

(Il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2013)