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Bellotti Rosso – Cascina degli Ulivi

martedì, Ottobre 12th, 2010

Ieri sera sono tornato, dopo mesi, alla Bottega del Vino di Castiglion Fiorentino. Con me c’era Tavira, stanca come solo lei può esserlo dopo un giorno a bighellonare con me. Ha dormito tutto il tempo. Ha dormito il sonno dei giusti. Io no. E’ dura, se dormi, mangiare. E poi io mica sono giusto come lei.
Mi sono fatto aprire una bottiglia che non conoscevo. L’etichetta la vedete qui a sinistra. Già da sola racconta un’azienda particolarmente fiera della sua semplicità e della sua filosofia biodinamica.
Bellotti Rosso, Triple A. “Semplicemente vino”, cioè Dolcetto e Barbera, cioè Cascina degli Ulivi da Nove Ligure nell’alessandrino. Una delle aziende che più ha vivacizzato il mondo dei vini naturali, contribuendo da una parte alla loro conoscenza e dall’altra partecipando alla ridda di litigi tra vignerons “veri”.
Il Bellotti Rosso è un vino da tavola. Per questo non trovate nella etichetta l’annata o l’uvaggio (e a me questo rompe molto). E’ il prodotto base dell’azienda, più nota per altri vini. Si rifà alla tradizione locale. Un vino da tutti i giorni. Io l’ho trovato a 13 euro al ristorante e La Bottega del Vino ha ricarichi onesistissimi. L’ho scelto perché ai proprietari era piaciuto molto il bianco (da uve Cortese). Il rosso non l’avevano ancora degustato. Lo si è fatto insieme.
Com’è? Risposta complicata. Non vuole essere un vino indimenticabile e di sicuro non lo è. Vale il prezzo che ha, ma a quella cifra se ne trovano di migliori (ad esempio quasi tutti i Dolcetto di Alba, Diano d’Alba, Dogliani e Langhe Monregalesi). E’ senz’altro un vino contadino, scuro e oltremodo vinoso, col frutto polposo del vino giovane e ruspante. Profumi semplici, puzzetta da biodinamico che non è dominante ma c’è (e se non c’era si stava meglio). Progressione assente, persistenza timida. Statico, personalità deludente. Bevibilità media. Sufficiente versatilità nella prova abbinamento (l’ho bevuto con antipasto di formaggi e verdure e pici con pomodori di Pachino).
I lieviti sono indigeni. La solforosa non c’è. La filtrazione è minima. Il risultato è filosoficamente lodevole, ma gustativamente non travolgente.