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Nebbiolo Prima 2010

mercoledì, Maggio 26th, 2010

Questo blog mi è mancato. Avrei voluto scrivere prima, ma è stata una settimana intensa (cit). Padova, Langhe, Le Mans. Dura la vita dell’inviato, bella quella del bevitore.
La scorsa settimana ho partecipato a Nebbiolo Prima 2010. Prima si chiamava in un altro modo, Alba Wines Exposition. Ottima organizzazione di Artevino, gli stessi de Le loro maestà l’anno scorso.
La mia è stata una presenza atipica. L’evento è cominciato con un aperitivo alla Brasilera di Alba domenica 16 maggio ed è finito con un concerto giovedì 20 sera. Ogni mattina, ad Alba, c’era la degustazione seriosa (e alla cieca) per i giornalisti. Al pomeriggio la degustazione (non più alla cieca) per i buyers (e i giornalisti che non c’erano al mattino). Al castello di Barolo.
Alloggiavo all’Hotel Brezza. La nuova struttura ha una splendida veduta, proprio sul castello. Giovedì mattina, col sole, me ne sono stato là e ho finito Caino di Saramago. Ci ho lasciato una volta di più il cuore. Di questo si vive, e di tant’altro ancora (cit).
Tutto questo per dire che la mia sarà una recensione atipica. Sono arrivato al martedì, non ho partecipato a nessuna degustazione giornalistica, non ho fatto le cene stellate previste ogni sera (in luoghi sciantosi, tipo La Ciau del tornavento a Treiso). Cene offerte e lussuose, ma non per questo esenti – mi han detto – dalla solita boria degli scribi che a cena son soliti fare i gradassi e lamentarsi del nulla: chepppalle, a volte, i giornalisti.
La mia semi-partecipazione non è stata dettata da snobismo, ma da impegni preesistenti e concomitanti. Ogni volta che vado in Langa, sono tirato per la giacca da mille persone, cento ristoranti e ottomila cantine. Non sono ancora ubiquo, quindi qualche no devo pur dirlo.
Così non ho incrociato neanche mezzo collega (e mi è spiaciuto, nella maggioranza dei casi). Peccato.
Sono però stato sufficientemente presente da rendermi conto di una serie di cose, che vado ad elencare.
1) L’organizzazione era impeccabile e la presenza massiccia. Centottanta etichette, tutte di pregio. Un’anteprima mondiale del Barolo 2006, Barbaresco 2007 e Roero 2007 (oltre ad altre primizie qua e là). Bravi.
2) Proprio in quanto anteprima, la degustazione si è rivelata utile per avere un quadro d’insieme del movimento e, più ancora,  capire come sono state le annate in oggetto. Non certo per individuare i più bravi o i più buoni. Bere adesso un Barolo 2006 è atto sacrilego, oltremodo precoce e, in ultima sostanza, quasi inutile (ho detto quasi). Puoi intuire le potenzialità, ma non è detto che un Barolo buono adesso lo sarà anche tra molti anni (e viceversa).
Detto questo, si rende – ora – di stringente attualità una scrittura diaristica dell’evento.

Martedì 18 maggio.

Arrivo a Barolo da Padova, dove ho partecipato all’ultima puntata di Lunedì Gol (Canale Italia). Alloggio al Brezza (anche produttore), carino e rinnovato. In dieci minuti, a piedi, tra sali e scendi, raggiungi il Castello di Barolo. Lì c’è la degustazione per i buyers (parola che detesto: non puoi dire compratori?). Ha luogo un piccolo buffet, non trascendentale ma onesto (e poi, quando offrono e sei ospite, occorrerebbe solo ringraziare).
I 180 produttori sono divisi in quattro scaglioni, questo è il secondo giorno (per me il primo). Bighellono tra un produttore e l’altro. Il Barbaresco 2007 è giovane, il Barolo 2006 un infante. Il primo è femmina, il secondo uomo. Annoto tra i meritevoli il Barolo 2006 Terlo Ravera di Marziano Abbona (ma il Cerviano 2004 era oviamente più pronto). Discreta la produzione di Cascina Adelaide, buona (anche se troppo “precisa”) quella di Giacomo Borgogno e figli. Una rivelazione il Barolo 2005 Vigna Merenda di Giorgio Scarzello e figli. Sempre cari mi furono i Barolo (e non solo) di Beppe “Citrico” Rinaldi. Piacevoli i vini di Fratelli Giacosa. Menzione d’onore ad Elvio Cogno, produttore peraltro – sono giusto in 3 e 4 – di un autoctono bianco che meritava di finire nel capitolo dei vini outtake: la Nascetta (o Anas-cetta).
Concludendo: livello buono medio, ma è troppo – troppo – presto per berli.
Alle 16.30 ho prenotato la visita per Massolino. In pieno centro a Serralunga d’Alba, luogo – insieme a Monforte d’Alba – dei Barolo più virili e longevi (ma anche più scorbutici). Di Massolino amo in particolare il Barolo Riserva Vigna Rionda. La produzione consta (?) anche di altri due Barolo, Parafada e Margheria. La visita in azienda è accurata e ben fatta. Il Parafada, più facile dei tre, viene da vigne vecchie di 50 anni e fino al 2007 vedeva anche l’uso di barrique. Da tre anni non si usano più. L’idea è quella di fare 3 Barolo che differenzino soltanto per il terroir. Una bella idea. Il Parafada di solito è caratterizzato da fiore e frutto, il Margheria (da vigne più giovani, ma in qualche modo più nobile del Parafada) su sentori mentolati e balsamici. Il Vigna Rionda è il fuoriclasse.
La degustazione comprendeva le annate 2004, 2001 e 1999 dei tre Barolo, più il Barolo 10 anni (2000) ancora di Vigna Rionda. Un bel bere. Mi hanno particolarmente convinto il Parafada 2001 (davvero droit) e il Vigna Rionda 1999. Fin troppo pronto il Parafada 2004, un po’ troppo mentolati i Margheria (ma è un prodotto sicuro per chi vuole avvicinarsi con calma al mondo dei Barolo). Incredibile quanto l’annata ’99 abbia ancora tanto da dire.
L’azienda, che realizza altre bottiglie (tra cui uno Chardonnay morbido e potente), ha cominciato nell’82 col Vigna Rionda, nell’85 col Margheria e nel ’90 col Parafada. Fino a qualche anno fa riceveva gli apprezzamenti unanimi di Porthos. Ultimamente – ma è posizione minoritaria – c’è chi ritiene l’azienda meno tradizionale e in via di modernità smodata. A me non è parso.
La cena, pattuita da tempo, è stata un modo per ritrovarsi con alcuni amici: Ezio Cerruti (quello del Moscato Sol), Mauro Musso (quello talebano dei tajarin), Federico Ferrero (quello col rotacismo a Eurosport). C’erano anche la compagna di Ezio e un produttore – leggendario – di tome (Silvio Pistone, mi ricorda Ferrero dalla regia). Il luogo, tutt’altro che chic: la bocciofila di Mango, paese assai fenogliano. Messa così, sembra una cosa trash. In realtà è stata una cena vegetariana, in onore di Cerruti e del sottoscritto, da cortei per strada. Cucina sublime, dall’inizio alla fine. E vini, portati da Ezio e Mauro, pazzeschi. In particolare il base dello Champagne Larmandier Bernier e due Barolo di Citrico Rinaldi (’96 e ’99). Meno riuscito il Nebbiolo di Viglione, che – devo ammettere – a me non fa mai impazzire fino in fondo: capisco che siano vini veri, però devi anche farmi godere. Altrimenti che ti bevo a fare? Notevole anche un Dom Perignon vecchio di dieci anni e più. Un capolavoro il Sol finale di Cerruti, annata (mi pare) la 2001. Serata deluxe.

Mercoledì 19 maggio.

Poco da dire, ero in redazione e non ho bevuto nulla. A dire il vero neanche ho mangiato, stremato e divelto dalla serata precedente. L’unico ristoro è stato un aperitivo con il sodale Ferrero, alla Brasilera di Alba (meglio il Vin Cafè) e una pizza non ricordo dove assieme alla sua compagna Giulia. Eravamo in modalità umiltà on, le sinapsi fuori giri e la grinta di Seppi al quinto set (ma anche al primo).
Nel mezzo, una delle cose più belle della tre giorni: la visita a Vajra. Aldo e Milena mi sono piaciuti molto. Operano nel piccolo regno di Vergne, poco sopra Barolo. Ho amato la loro eleganza e i loro vini. Milena parla molto, Aldo il contrario. Si compensano. E fanno vini eleganti come loro. il Riesling (non troppo economico) è uno dei migliori d’Italia e senz’altro il migliore di Piemonte con quello di Ettore Germano. Di pregio tutta la produzione, dal Dolcetti base all’ambizioso e territoriale Coste & Fossati; dalla Barbera d’Alba al Nebbiolo; una chicca la Freisa Kyè (andrebbe rivalutata, la Freisa); belli i Barolo (acquisiti da poco) di Luigi Baudana a Serralunga d’Alba; semplicemente commovente il Barolo Bricco delle Viole. Ben fatto il Moscato d’Asti. E il Barolo Chinato è ottimo secondo dietro il paradigmatico Chinato di Cappellano. Applausi e ancora applausi per i coniugi Vajra (e i loro figli).

Giovedì 20 maggio

Mattino a Barolo, contemplando la Langa e finendo Caino di Saramago. Si può stare meglio nella vita? Uhm, difficile (ma possibile: non fate gli sboccati). Poi degustazione. Alle 18 c’era anche una partitella di calcetto, ma avevo un impegno e poi col calcio ho smesso.
Nel mio personalissimo cartellino ho segnato e applaudito i Dolcetto di Claudio Alario (Diano d’Alba) e Francesco Boschis (Dogliani: chapeau). Molto bene Brovia a Castiglione Falletto. Ettore Germano è da sempre uno dei miei preferiti (anche per i bianchi: Metodo Classico, Riesling, Anas-Cetta). Schiavenza si è confermata una garanzia (anche come slowfood: provatelo). Discreti Paolo Manzone, Josetta Saffirio. Il giovane Simone Scaletta dovrebbe osare di più. Gigi Rosso forse non dovrebbe fare vino (è una battuta: ma non mi prendono).
La cena, con cui ho chiuso alla grande la tre giorni, è stata il consueto pellegrinaggio nella “mia” Cravanzana. Da Maurizio Robaldo, ristoratore da benedire nell’Alta Langa. C’erano anche Gigi Garanzini e sua moglie Maria: amici, punti di riferimento e produttori di pregio. E non mancava Flavio Roddolo, Papa Roddolus. Ogni tanto penso di esagerare nel lodarlo. Poi, durante la cena, ha aperto un Barolo 2005 (per lui giovanissimo) ed ho avuto la conferma che mangia in testa a tutti (o quasi). Flavio forever.
Maurizio si diverte ad aprire bottiglie particolari in queste occasioni. Quel giovedì è stata la volta di un Riesling Auslese della Mosella, Zilliken annata ’93. Ha denotato longevità incredibile, si è aperto con lentezza, il residuo zuccherino non lo ha aiutato nell’abbinamento (ma che profumi, che mineralità). Poi è spuntato un Dolcetto Siri d’Jermu Pecchenino, addirittura del ’93. Della serie: il Dolcetto non può invecchiare.  Può eccome, anche se una piccola ossidazione c’era. Del Barolo 2005 Roddolo ho già detto. La sorpresa è stato un Barolo del 1974 – la mia annata: grazie Maurizio – fatto da un’azienda che neanche esiste più, dal nome (inquietante) “Flli Viberti fu Giuseppe”. Uh-oh. Una lenta, continua, affascinante evoluzione. E il tutto mentre dalla cucina uscivano piatti d’incanto.
E poi mi dite perché ami così tanto la Langa.