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Recensione: Vincenzo Reda

martedì, Maggio 11th, 2010

Oggi ho registrato un’intervista sul libro per il Tg5. Qualche giorno fa ho fatto lo stesso con Alain Elkann per La7 e poi RDS. Non so ancora quando andranno in onda.
Il post odierno è la recensione di Vincenzo Reda. Alla fine qualche mia considerazione.

“Le allusioni malmostose a Luca Maroni sono sincere, ma rispettose. Non condivido niente di quello che scrive, ma lui senz’altro ne sa più di me. Spero solo che il futuro non somigli alla sua idea di futuro (e di vino).”
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Anche per frasi come quelle qui sopra riportate mi piace Andrea Scanzi: perché è una persona pulita, franca che sa esprimere idee e concetti chiari senza ricorrere a sotterfugi, perifrasi, eufemismi – se poi sapesse ogni tanto omettere le volèe agricole di Seppi, i riferimenti a Povia e Alessandro Meluzzi (tutta gente più o meno a me inutile, detto sempre con rispetto e senza alcuna acrimonia), mi piacerebbe anche di più.
Io leggo di notte, un po’ perché soffro da sempre di insonnia e mai ho fatto uso di pastiglie; un po’ perché mi distraggo con facilità e, quando leggo – mai leggendo per piacere o per diletto, ma da sempre per conoscenza – questa mia difficoltà alla concentrazione mi reca fastidio (è uno dei motivi per cui non gioco mai tornei di tennis: pur giocando molto bene, riesco a perdere con gente quasi ridicola). E leggo con attenzione, anche rileggendo, ritornando indietro, prendendo appunti: e bevo.
Ho cominciato questo libro con un Grillo in purezza del 2009 e l’ho finito bevendo un ottimo Etna Bianco (Carricante e Catarratto) sempre del 2009 di Nicosia, con vigne poste tra i 650 e gli 800 mt. nella zona di Trecastagni – parlo dell’Etna, perché il Grillo è un vitigno della Sicilia occidentale, meglio noto come base del Marsala.
Preciso tali note perché di questi vini Scanzi parla definendoli «vini outtake», che è un obbrobrio linguistico ma funziona nella sostanza: si vada a leggere il capitolo per saperne di più (mannaggia! quel Verduno di Pelaverga, dove Verduno è il paese e Pelaverga il vino e vitigno: una svista che purtroppo ci può stare, in mezzo a questo oceano mare di materiale).
Il lavoro si articola su dieci capitoli dedicati a importanti aree geografiche vinicole del mondo – Champagne, Bordeaux, Bourgogne, Rodano e Loira (Francia); Renania (Germania); Rioja (Spagna); Ungheria ; California (USA); Argentina – a cui sono accostate, in altrettanti capitoli, in maniera assai soggettiva quindi opinabile, ma dichiarata, dieci zone italiane di eccellenza, come usa dire.
Se Champagne/Franciacorta e Bordeaux/Bolgheri appaiono accostamenti azzeccati, Bourgogne/Etna, Rodano/Cortona (per il Syrah), Argentina/Sardegna (Malbec/Cannonau) lo sono meno assai: ma questo è il gioco e bisogna starci, se no si legge altro e Scanzi non ci piacerebbe.
Invece ci piace, molto condividendo – pur con diversi distinguo e qualche lontananza di vedute inevitabile: ma di Andrea mi piace, oltre la pulizia e la franchezza di cui sopra, il metodo, la serietà, la capacità di attingere alle fonti sicure, meglio se sono uomini con storie importanti che egli racconta con l’occhio del cronista più che del narratore.
Infatti, del cronista possiede la scrittura, chiara, fresca – che a me non piace, ma questo è tutt’altro discorso – zeppa di citazioni, riferimenti (spesse volte eccessivi), rimandi, spruzzi di ironia che sono la delizia dei suoi ormai tanti affezionati lettori.
Andrea Scanzi è comunque un competente, un competente appassionato che ricerca con insistente pervicacia la sua propria strada; in perenne bisogno di trovare qualcuno che gli apra uno spiraglio nuovo, che gli racconti una storia diversa – non importa se con animo integralista o sano buon senso antico: nel libro, senza entrare in dettagli qui inutili, tanti sono i personaggi a cui Andrea lascia la parola, evitando quasi sempre di emettere giudizi o commenti a favore o contro.
Da buon giornalista, poi, inframmezza i capitoli tecnici con altri in cui alleggerisce la lettura: sono ulteriori 14 capitoletti in cui si ritrovano pseudo-test, giochini, ironiche sinossi, ecc.
Un buon lavoro che mi sono spolpato in un paio di notti insonni, accompagnato dalle bottiglie di cui sopra: certo, a me mai verrebbe di bere champagne (che poco conosco, poco mi piace e quando mi piace scopro sempre che costa un mucchio di soldi) ascoltando A Love Supreme di Coltrane; sono diventato (quando potevo permettermelo) un intenditore di Single Malt arando solchi di Monk e Davis e Joan Sebastian; con Guccini e Dylan bevo bianchi (Verdicchio, Kerner, Gold Muscateller non potendo più permettermi certi Meursault, Chassagne-Montrachet o anche soltanto(!) Chablis).
Al di là di certe ignobili polemiche che possono essere generate dal fatto che uno ha la franchezza (coraggio è termine che va usato per ben altri propositi) di scrivere quello che succede; al di là di pareri che possono o meno essere condivisibili e di scelte che, essendo tali, sono soggettive, io spero che questo lavoro di Andrea possa servire a qualcuno per scoprire, a esempio, i prodigi del Rieseling, del Tokaji ungherese, del Malbec argentino, di alcuni vini del Rodano.
Nota finale: quando si vuol parlare di qualcuno che svolge male il proprio lavoro lo si invita a andare a zappareChe fesseria: così fa danni anche peggiori alla terra! Questo per introdurre il fatto che molti fra i grafici editoriali io li spedirei in miniera, non a zappare; mi spiego: la copertina del libro di Scanzi è brutta, ma questa è una faccenda più o meno soggettiva. La copertina del libro di Scanzi è graficamente mal impostata e non rende un buon servizio al lavoro di Andrea – non entro in meriti che sono prettamente grafici e di comunicazione; al contrario delle pagine interne che testimoniano di una corretta cultura libraria: carta uso mano avoriata, carattere classico di facile lettura con impostazione di pagina non pesante.
Per finire, il libro me lo sono comperato, ma mi avrebbe fatto piacere se l’autore o l’editore me lo avessero omaggiato: le mie parole non sarebbero state differenti; alla stessa maniera di una bottiglia di vino avuta in omaggio: ci vuol altro che un libro o una bottiglia per ammansire gentaglia come noi, vero Andrea? (Vincenzo Reda).

Vincenzo è molto bravo. Non lo conosco, non personalmente, ma mi piace perché è uno che non regala niente. E dice quello che pensa, a differenza dei Daniel Citrulli e costi quel che costi.
Non starò qui a sindacare sulle sue critiche. So bene che lui ami uno stile più secco e classico (quindi mal sopporta le digressioni cazzeggianti, e poi su Meluzzi ha ragione). Gli accostamenti Italia-estero sono eccome soggettivi, anche se Vincenzo sa bene che non accosto il Rodano al Syrah, ma il Rodano settentrionale al Syrah (e questo è un accostamento quasi didascalico). Non so come ho fatto a sbagliare il Pelaverga di Verduno, vino delle merende langarole che adoro.
Un’altra leggerezza da togliere nella seconda edizione.
Delle parole di Reda faccio tesoro, compreso l’invito a farsi mandare il libro (invito che avevo fatto a Mondadori, ma evidentemente qualcosa non ha funzionato: me ne assumo la colpa). E lo ringrazio soprattutto per questi passaggi: “di Andrea mi piace, oltre la pulizia e la franchezza di cui sopra, il metodo, la serietà, la capacità di attingere alle fonti sicure, meglio se sono uomini con storie importanti“; e “è una persona pulita, franca che sa esprimere idee e concetti chiari senza ricorrere a sotterfugi, perifrasi, eufemismi“. Poiché scritte da una figura autorevole e poco incline al regalo, me le tengo strette. Tanto quanto le critiche.