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Lady Sfuso e il pattume

domenica, Maggio 2nd, 2010

Un lettore, Michele Malavasi, mi ha segnalato l’articolo di una blogger, non esattamente affettuoso, a me dedicato. E’ di tale Eleonora Guerini, che ovviamente non conosco, ma che dal tenore della sua replica (non si sa bene a che cosa) appartiene verosimilmente alla pletora di addetti ai lavori che se la suonano e se la cantano. Quelli che se la presero per l’ironia leggera di Elogio dell’invecchiamento nei confronti dei sommelier-tromboni (ah, lesa maestà). Quelli che, se li leggi, diventi astemio e sugli esperti-di-vino la pensi come Antonio Albanese in quel monumentale sketch.
Non è una piccola categoria: per coloro che, con toni caricaturalmente autoreferenziali, credevano di essere depositari del Verbo di Enolandia, il successo di un cazzaro (cit) come me, per giunta addetto ai lavori di straforo (nel senso che solitamente mi occupo d’altro), è stato un colpo inferto al cuore. Da cui non si riprenderanno mai. Mi ricorda i vecchi americani incartapecoriti quando gli arrivò in faccia la beat generation. Loro scomunicavano, e nel frattempo il loro mondo non c’era già più (sveglia, Eleonor Rigby: time is not on your side).
In questo senso, Eleonora Guerini assurge pienamente a ciò che io definisco marker al contrario, come Filippo Facci in politica: se loro scrivono una cosa, e tu non la condividi, allora puoi stare tranquillo. E gridare anche C’mon.
Va da sé che, se mi mettessi a replicare a tutti quelli che ce l’hanno con me, non solo farei notte, ma avrei pure l’impudenza di rendere mediamente celebri giornalisti frustrati e opinion maker conniventi.
Perché, allora, questo post? A) Perché sono uno zuzzurellone. B) Perché adoro commentare gli spifferi. c) Perché lo scritto di Eleonora Guerini è emblematico (e vedrete a breve di cosa).
Tale Guerini, con hybris invero notevole (persino superiore alla mia), si firma – in un blog gamberorossiano frequentato come le conferenze stampa di Tabacci alle tre del mattino – “Lady Wine”. Mica niente: Lady Wine. La Signora e Sultana del Vino. Sticazzi e oibò. Mi pare un po’ troppo. Urge una diminutio. Chiamiamola, qui, Lady Sfuso (ed è un nomignolo affettuoso: avessi inseguito la cattiveria, avrei tolto la prima “s” e declinato il participio al femminile).
Perché Lady Sfuso ce l’ha con me? Per la solita pagina 131 (chepppalle). Lei ha letto solo quella pagina, e non benissimo, ma le è stato sufficiente per far tuonare le trombe del giudizio universale contro me e il “giornalismo taroccato”. Daje.
Fin dalle prime battute, Lady Sfuso ci fa capire con indicibile arguzia che lei è donna molto impegnata (“solo oggi sono in grado di rispondere”) e  conosce – come nessun altro – i produttori. Per questo li difende. Anzitutto quelli di Brancaia, che chiama per nome (“Barbara Widmer, proprietaria insieme a Martin“).
In quanto conoscitrice, anzi amica, di tutti i produttori, Ella li tutela. A prescindere, per Dna. E’ la difesa corporativa di un sistema che dà a tanti da bere e da mangiare, ladies and gentlemen. Il suo sembra (sembra: magari sbaglio io) l’articolo di Nicola Porro dopo un editoriale di Marco Travaglio che parla di una inchiesta (reale) su Silvio Berlusconi. La sempiterna difesa d’ufficio, non richiesta e con poche idee (ma fieramente confuse).
Si faccia ora una seria esegesi del pensiero – in dieci punti – di Lady Sfuso. Ascoltiamola.

1) “Immagino che questo libro (il mio, NdA) riscuota i favori di tutti gli intransigenti del vino, quelli per cui esistono SOLO Poggio di Sotto e Bruno Giacosa”.
Lady Sfuso esordisce con cipiglio, insultando tutti i lettori del libro (ma va capita: non avendo pubblico, non sa di cosa parla), reputandoli dei bacucconi integralisti che si eccitano con Porthos e bevono solo Joly. Il fatto che Il vino degli altri sia un libro tutt’altro che “cattivo” o “scandalistico”, bensì passionale e ironico, e che tali ironie vadano a toccare pure i “vinoveristi”, chiaramente per Lady Sfuso è irrilevante. Come lo è il mio continuo sottolineare che “il vino migliore non esiste”, che la Toscana NON è  solo quella degli scandali e che non esistono certezze inconfutabili.

2) “Quello che è accaduto tra Scanzi e D’Alessandro è, dal mio modesto punto di vista, pattume giornalistico”. Brrrrr: che impeto, che verve, che grinta. Lady Sfuso va alla guerra: facce sogna’. Perché pattume, altra parola (desueta) tipica di certi editoriali “garantisti”? Ce lo spiega subito. Ascoltiamola ancora: “Conosco troppo bene il professor D’Alessandro (per forza, lei conosce TUTTI), la sua modestia, la sua colta sensibilità, la sua raffinata e non codarda predilezione per le sfumature per crederlo capace, anche solo per un secondo, di certi toni. E penso che la sua fanciullesca ingenuità sia stata predata dal buon Scanzi (grazie del buon) che, le sue orecchie forse non credevano a quel che sentivano! (più che altro non credo a una sintassi così pietosa e raggelante), non cercando la verità ma lo scoop stava facendo bingo (bastardo che non sono altro)“. 

3) Quindi mi sono inventato tutto, Lady Sfuso? Oppure ho letto nel pensiero? “Intendiamoci io non credo che Scanzi si sia inventato tutto (meno male, va’. Ero in pensiero). Però credo che abbia molto enfatizzato, calcato i toni, facendo apparire D’Alessandro come uno convinto che al mondo ci siano solo il bianco o il nero, i buoni e i cattivi e che lui, dall’alto della sua Cortona, sta lì a dispensare giudizi”. 
Tale intemerata sgangherata presta se non altro il fianco (?) a una specifica. Il punto non è inseguire il plauso di Lady Sfuso (faccio il giornalista da 13 anni e avrei altri punti di riferimento). Lady Sfuso, come tutte le addette ai lavori dotate di straordinario equilibrismo, temono sempre che qualcuno smascheri coperchi indesiderati. Problema suo.
Il punto vero è: D’Alessandro. Secondo la lettura di Lady Sfuso, io sarei stato il Demone Tentatore e lui, in poche parole, un mezzo tontolone. Non mi lusinghi così tanto, Lady Sfuso (e non sia così dozzinale col professor D’Alessandro). Lei ha ragione solo su un punto: è stato un discorso “a ruota libera”. Davvero. Due ore, registrate, all’ora di pranzo. Nel suo studio romano dietro il carcere di Rebibbia. Una chiacchierata tranquilla e serena, come si evince dal capitolo intero a lui dedicato.
Se si legge solo pagina 131, si ha (forse) l’idea di lui come di un manicheo. Affatto. Non solo: io non stavo minimamente cercando lo scoop, ma solo la risposta italiana ai Syrah del Rodano. Non ci pensavo neanche alle inchieste. Per questo, come scrivo chiaramente a pagina 131, la sua “bordata” è arrivata del tutto inattesa. E’ stato D’Alessandro a dirla, non costretto a forza ma spinto – col consueto garbo – da una sua urgenza, appena titillata da una domanda innocua (il suo rapporto di lavoro interrotto con Stefano Chioccioli). Io mi sono limitato, a quel punto, a riportare fedelmente le sue parole. Senza enfatizzarle affatto (anzi). Casomai le hanno enfatizzate (e li capisco) i blogger che lo hanno estratto dal contesto (decisivo) del libro.
In altre parole (e non ci faccio un figurone eroico): lo scoop è merito suo. Io, quel giorno, non lo inseguivo affatto. Né potevo “inventarlo”, non essendo a conoscenza di quanto affermato (dettagli inclusi) dall’intervistato.

4) La cosa affascinante (l’unica, forse) delle reazioni dei più realisti del re è come distolgano l’attenzione dal fatto in sé.  Ovvero: non è importante cosa D’Alessandro abbia detto, e se poi esso sia risultato vero, ma “come” lo abbia detto. Traduco per Lady Sfuso. D’Alessandro (non io) ha detto tre cose. 1) Che esisteva una inchiesta sui vini toscani taroccati. 2) Che questa inchiesta riguardava anche Carlo Ferrini. 3) Che alcune bottiglie di Brancaia sono state sequestrate. Questi tre punti sono stati tutti confermati, non da me ma dai diretti interessati (Ferrini e Brancaia). Capisco che fare giornalismo in Italia sia desueto, ma dovrebbe funzionare così. Se poi D’Alessandro lo abbia detto piangendo (no) o dispiaciuto (sì), è aspetto secondario.

5) “Lui, dall’alto della sua Cortona, sta lì a dispensare giudizi”.  Non so D’Alessandro, ma è esattamente quello che faccio ogni giorno. Organizzo apocalissi e giudizi universali, usando le mie labrador come emissari celesti. I buoni da una parte, i cattivi dall’altra. Le Lady Sfuso nel mezzo. Sempre nel mezzo.

6) “Io credo invece che abbia parlato a ruota libera, probabilmente condividendo preoccupazione, sicuramente non condividendo le pratiche mescolative del mondo del vino italiano, certamente senza quell’arroganza che molti sembrano mostrare sempre più tra critici e produttori”. E’ verissimo. Infatti, chi legge tutto il libro, se ne rende chiaramente conto. Lady Sfuso ha appena rivelato al mondo ciò che il mondo già sapeva. Complimenti per la guittezza.

7) “Faccio un esempio (go Lady Sfuso go). La frase: penso a Barbara Widmer, dell’azienda Brancaia, pure a lei hanno sequestrato del vino (la frase non è così nel libro, e anche questo dimostra quanto Lady Sfuso abbia letto con attenzione pagina 131). Pensiamoci un po’, uno la può dire con le lacrime agli occhi (notate: Lady Sfuso non c’era, ma – conoscendo D’Alessandro e l’umano mondo come nessuno – pretende di saperne più di chi c’era, addirittura interpretando i toni di voce e la prossemica dell’intervistato: i-d-o-l-o); con un tono sommesso (no), preoccupato (), dispiaciuto (verissimo: e dal libro si capisce), magari riconoscendo così il gran lavoro che, vino comprato o meno, uno sa che in quell’azienda si fa; con disprezzo e compiacimento, come a dire le sta proprio bene a quella… (anche questa frase è scritta con punteggiatura e significati random: mi stupisco di come Lady Sfuso non abbia ancora scritto libri sul vino. Sarebbero piacevoli scorribande nel dadaismo). Insomma, lo sappiamo tutti (ma anche no). Il significato di una frase non sta solo nelle parole”. Certo, Lady Sfuso: sta anche nella manipolazione che se ne fa, a proprio piacimento e per interesse personale. Ciò che ha appena fatto. 

8 ) “Detto questo un po’ mi dispiace anche per la questione Brancaia in sé. E’ un vino questo che a me è sempre piaciuto”. Toh, ma va’? Davvero? E che magari ci sia questo, l’amicizia unita a interessi personali (gelosia, fastidio, imbarazzo) dietro tale filippica sgangherata? Per la cronaca, giova ricordare come anche il Dottor D’Alessandro sia amico di Brancaia (come scrivo nel libro). Essere amici non equivale necessariamente a un comportamento ispirato alle arcinote scimmiette.

9) “Ora quello che dicono i Widmer è sacrosanto e corretto (Tavole della Bibbia, oserei dire): l’acquisto di vino sfuso è consentito (mai scritto il contrario). Lo è per le denominazioni così come per gli igt. I produttori sostengono che viene usato solo per la produzione di Brancaia Tre, il vino di pronta beva che raccoglie il vino non utilizzato per la produzione del top di gamma. Il che non solo non costituisce reato ma è anche comprensibile”.
Detto che NESSUNO ha mai detto che è reato, e che il libro non formula sentenze di colpevolezza ma informa (correttamente) i consumatori di una inchiesta, rimando all’analisi di Francesco Arrigoni (Corriere della Sera) e al mio precedente post sulle perplessità della replica di Brancaia. Non ultime, il fatto che l’etichetta non parli di vino sfuso e (ancor più) che tale ammissione sia arrivata obtorto collo, per costrizione. E la “costrizione” era il mio libro, in cui si alludeva a un fatto (bottiglie bloccate/sequestrate) confermato da Brancaia stessa.
Ci sta ancora ascoltando, Lady Sfuso? E’ comodo il pero da cui non è ancora caduta?

10) “Ma purtroppo siamo in Italia, dove tutto si fa e niente si dice. Dove da troppo tempo – un paio di millenni???? (ha fatto la battuta: ridete) – siamo abituati al fatto che quanto ci viene propinato, nel vino, nel cibo, in politica, nell’impresa, spesso non corrisponde poi allo stato delle cose”. 
Saggio di equilibrismo monumentale, quest’ultimo. Genere “fingo di dire qualcosa ma in realtà non mi sbilancio”. In queste cose (almeno in queste), le Lady Sfuso sono insuperabili.

In estrema sintesi: è vero o non è vero che esiste l’inchiesta a cui allude D’Alessandro? E’ vero o non è vero che riguarda anche Ferrini e Brancaia? E’ vero o non è vero che le parole di D’Alessandro si sono rivelate puntuali e credibili? E vero o non è vero che queste cose, e nemmeno qualcosa di minimamente vicino, si è mai letto nel suo blog epocale? E’ vero o non è vero che il libro ribadisce più volte la presunzione d’innocenza?
Non tergiversi o sposti l’attenzione, Lady Sfuso. Questo e solo questo è il punto.
E infine: solo perché una persona ha scritto un libro (anzi due) al suo posto, avendo l’ulteriore colpa di un certo successo, e avendo pure l’ardire di svelare inghippi non esattamente edificanti (che mai pare aver sentito l’impulso di rivelare): solo per tutto questo, c’era bisogno di esporsi così pervicacemente al pubblico ludibrio, vergando un tale exemplum di acquiescenza critica?
Mi stia bene, assai gentile signora, e (non) continui così.

P.S. E ora scusatemi, ma devo organizzare il Giudizio Universale di stasera.

P.P.S. Nell’ultima foto, Eleonora Guerini è premiata come “miglior giornalista” dai noti produttori alternativi Piero Antinori e Lamberto Frescobaldi. Tutto si tiene (cit).