La bellezza e le quattro vite di Roger Federer

Schermata 2017-07-18 alle 10.39.28Il campione che ha vinto tutto e ancora non gli basta, ha vissuto almeno quattro vite. La prima, da iconoclasta spensierato e fenomenale, che spaccava racchette, si tingeva i capelli come Mirko di Kiss Me Licia e poteva forse accontentarsi di vivere una carriera da Fognini molto più forte. Non si è accontentato. Giunse quindi la seconda vita, quella della dittatura livida e garbatamente efferata. Sangue ovunque degli avversari, ridotti a meri e spesso pavidi vassalli. Fu il tempo della dittatura algida: Federer, da potenziale Gilles Villeneuve, divenne un Prost che non sbagliava (quasi) mai. Un Michael Schumacher pressoché infallibile. Un talento inaudito, un genio totale, un fenomeno forse senza pari. Poiché però gli avversari non c’erano, o se c’erano marcavano quasi sempre visita, se eri uno spettatore neutrale – e non un fan di strettissima osservanza – qualche sbadiglio veniva. Come quando ascolti un disco dove non c’è una nota fuori posto o come quando guardi una donna bellissima, che ti appare così perfetta da risultare per contrasto fredda. Troppo fredda. Ecco allora che, con mite inesorabilità, giunse la terza vita. Rafael Nadal costrinse Federer a scoprire una cosa che neanche concepiva, al punto da piangere infantilmente quando capitava: la sconfitta. Spesso Roger ci perdeva per motivi poco tecnici e molto freudiani, quasi che Rafa – prim’ancora che tennista – fosse kryptonite iberica ideata a sua misura. Così, pur continuando a vincere, Federer non fu più dittatore. Gli storici, sul pianeta Terra come su Plutone, chiameranno quella fase “autunno del patriarca”. Sembrava il tramonto. sembrava. Quando nessuno ne avrebbe probabilmente avvertito il bisogno, il più che trentenne Federer ha deciso di migliorarsi ancora. Di non arrendersi. Di concepire, almeno, un ultimo colpo di coda epocale. Contro il tempo, contro gli infortuni: forse perfino contro la logica. Prima ha chiesto aiuto a Stefan Edberg, e solo per questo meriterebbe peana eterni. Poi si è affidato a Ivan Ljubicic, che da giocatore umiliava con sadismo sordo alla pietà. Nel mezzo Schermata 2017-07-18 alle 10.39.14c’è stato il suo annus horribilis: il 2016. Tutto è andato male. Capolinea? Non esattamente: di là dal tunnel, la quarta vita. Il presente. L’epifania. L’ottavo Wimbledon (ennesimo record) vinto due giorni fa è apparso addirittura normale: l’epica c’era, c’è e ci sarà, ma quando vinci triturando tutto e non lasciando neanche un set ai rivali, come aveva peraltro fatto il mese prima Nadal (un altro “ritornante” miracoloso) a Parigi, lo strapotere è tale che non viene quasi neanche voglia di esultare. Infatti, mentre il mondo esondava già di enfasi e retorica, lui ha reagito con umanissima incredulità. Se l’Australian Open di gennaio è stata impresa, il Wimbledon di domenica è stata “solo” constatazione di una natura agonisticamente divina. Nel bruttissimo tempo in cui Djokovic e peggio ancora Murray sembravano i più vincenti, rivedere Federer sul tetto di uno o più Slam non appariva un’ipotesi percorribile. Anche per chi scrive: che bello, a volte, sbagliare. Roger Federer ha vinto tutto: 19 Slam, 6 Tour Finals, 93 tornei, una Coppa Davis, due medaglie alle Olimpiadi (oro in doppio e argento in singolare). Non gli manca nulla, se non la fame di se stesso e dell’arte che ama. Su questo gli storici si divideranno, ma delle sue quattro vite le più belle ci sembrano – senza dubbio alcuno – la prima e l’ultima. Prima la follia non ancora irreggimentata, poi questa maturità che trasuda oltremodo incanto. Onore a te, Campione.
(Il Fatto Quotidiano, rubrica Identikit, 18 luglio 2017)

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