Torna in te, Benigni: vederti così fa troppo male

Schermata 2017-04-25 alle 14.52.51Ci sono personaggi che è divertente criticare. Per dire: Nardella. Lo guardi e ridi. Per altri viene naturale e quasi doveroso. Poi ce ne sono altri che, invece, vorresti continuare a stimare. Di più: a volergli bene. Solo che non ce la fai più. Forse sei cambiato troppo tu, forse è cambiato troppo lui. E non certo in meglio. Appartiene a questa ultima categoria, ed è forse il primo della lista, Roberto Benigni. Che gli è successo? Il caso Report, tra divieti di sosta, sorpassi contromano e patenti sospese neanche fosse un Balotelli tardivo, è solo l’ultimo esempio. Quando le inchieste riguardavano Berlusconi, Report era la trasmissione più bella del mondo. Quando hanno raccontato una vicenda che lo riguarda, e dalla quale gli auguriamo di uscire indenne e cioè (realmente) innocente, ha reagito come Berlusconi. Come Berlusconi e come il suo amicone Renzi. Quel Renzi di cui è diventato cantore indefesso. Era già stato non poco indigesto – e pure pallosetto – vederlo tramutato da piccolo diavolo a nuovo pretino, pronto a insufflare ogni cosa di retorica: l’amore, l’inno di Mameli, la Costituzione (ops), la Divina Commedia. Qualsiasi cosa. Magari pure le istruzioni della caldaia, come immaginò su queste pagine Stefano Disegni (facendo arrabbiare da morire il suo permalosissimo entourage). Era stato indigesto, ma se non altro potevi ammirarne ancora il talento da divulgatore. Non puoi essere Cioni Mario per sempre. Certo. Ma neanche per forza devi diventare il Bondi spennacchiato del renzismo. Il suo voltafaccia sulla Costituzione è stato pietoso. Prima era la più bella del mondo. Poi si poteva cambiare, ma solo perché ora il “riformatore” aveva la maglia del Pd e non di Forza Italia (il cui capo, comunque, se non erriamo gli distribuiva i film). Poi è tornata la più bella del mondo, ma per poco: alla fine si poteva cambiare, ma giusto perché la riforma andava a toccare esattamente quelle parti che anche lui aveva sempre reputato (senza averlo mai detto prima) modificabili. Il “sì” avrebbe salvato il mondo, mentre il no sarebbe stata una sciagura come la Brexit, l’invasione delle locuste o uno strip di Orfini. Com’è diventato volubile, l’ultimo Benigni. Così volubile che, dopo il trionfo del no, si dice sia stato uno dei primi a chiedere di farsi cancellare dai sostenitori illustri del sì. Così volubile da dare sempre più ragione a Mario Monicelli, che lo riteneva un furbacchione per avere fatto liberare Auschwitz non ai russi ma agli americani, meritandosi (anche) con ciò l’Oscar. Qualcuno, soprattutto in Toscana, dice che è sempre stato così: un tipo bravo ad adattarsi. Non vogliamo crederlo. Che ti è successo, Roberto? Dov’è lo splendido guastatore degli esordi, quello con Carlo Monni, quello che non sembrava aver paura di nulla? Che senso ha essere satirici, se poi si diventa turiboli del potere? La storia degli artisti/intellettuali “di sinistra” è sempre più piena di delusioni cocenti. Molti di questi bastava guardarli e sentirli bene, per intuire come fossero solo dei bluff più scaltri di altri. C’erano però poi casi di comici brillanti, bischeri e genialoidi. Bastava una loro battuta e ti sentivi meno solo. Poi, di colpo, niente. Solo Yoko Ono travestite da Nikolette Brasky, tigri innevate a caso, messe laiche e peana al Potere. Rapportato al primo Benigni, quello attuale sembra un Robert Plant passato da Whole Lotta Love a una cover del Volo con lo zufolo. Torna in te, “il fu Robertaccio”: vederti così fa troppo male. (Il Fatto Quotidiano, 25 aprile 2017, rubrica Identikit)

4 Comments

  1. Egregio Scanzi,
    anzitutto grazie per la notizia su Mario Monicelli e quindi sulla Storia; mai pensato di dover cercare le fonti storiche e verificarle perché appunto erano dispensate da Benigni; mea culpa perché non ho interesse nella storia; e grazie ancora per aver nominato: “Bastava una loro battuta e ti sentivi meno solo”; questa frase intercetta una silente sensazione che avevo quando assistevo ad uno spettacolo di Benigni per esempio.

    Passiamo al tema; tema confluito per forza maggiore dal mio punto di vista, dopo l’articolo su Panariello e Siani. Come se lo aspettassi.

    Il Satiro era colui che derideva il potere.

    Credo che il potere abbia vinto per tre motivi:

    a) non si sa da chi è rappresentato;
    b) gli ignoti destinatari non hanno il senso del decoro, del pudore in modo che la satira attecchisca;
    c) le altri classi sociali, che non credono esistano più, a loro volta sono affetti da inedia-infigardaggine-indolenza da un lato e tifo-ignoranza-scostumatezza dall’altro.

    “Due anime in un corpo solo” … intendo: l’ignoto strafottente potente e il “troppo noto” strafottente in-potente.

    In questo contesto, dove la colpa non è da attribuire ad alcuno, altrimenti sarebbe di tutti in maniera diversificata:
    L’evoluzione (se tale si può chiamare) di Begnini è proprio la peggiore per un satiro. Si immagini coraggio, impudenza, ideali (mi vengono queste in mente come caratteristiche per un satiro) bruciate con un ritiro di patente o il balbettare durante le interviste antecedenti il voto referendario; oppure, quest’ultima che apprendo da poco della “furbata” del falso storico nel film “la Vita è Bella”.
    Non mi sento di esortare Benigni: ha diversi elementi per poter prendere decisioni, vedo, senza tener conto della sua memoria;
    forse non lo guarderò mai più; forse ha rappresentato una parte di me che ora non c’è più.

    Grazie, come sempre, per questo spazio.

  2. Io penso che Roberto Benigni con il suo “exploit” sulla Costituzione e con il suo avvicinamento a Renzi abbia mostrato quale realmente sia il suo carattere, diciamo, non coerente con i facili e direi opportunistici atteggiamenti avuti in passato. Salire sul carro del vincitore, ammesso che Renzi lo sia, è un antico vizio italico, purtroppo. Penso che il soggetto in questione abbia perso molta stima da parte del pubblico italiano.

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