Ivan Graziani, artista irregolare e geniale

Schermata 2017-02-07 alle 15.38.35Senza memoria non si va da nessuna parte, e la memoria è un muscolo che si atrofizza: se non la eserciti di continuo, smette di funzionare. Dimentica tutto, e noi con lei. Se capita con ciò che attiene alla Storia, e noi italiani dovremmo saperlo bene, finisci per commettere gli stessi errori del passato (che però non ricordi più). Se accade con l’Arte, smarrisci spesso la smisurata grandezza di chi ha regalato genio e bellezza. E’ il caso di Ivan Graziani. Manca da più di vent’anni: se n’è andato il Primo Gennaio 1997, sei anni prima di Giorgio Gaber e come molti altre voci italiane che ci hanno salutato anzitempo in quel mese. Come Tenco e come De André, che non per nulla scrisse cinquant’anni fa Preghiera in gennaio. Ivan Graziani, talento smisurato e anomalo, dimenticato (non da tutti) e sottovalutato (da troppi), è stato colui che per primo ha saputo coniugare in Italia rock e canzone d’autore. Due mondi alieni per la molta critica, e pure per troppi cantautori tromboni: ma non per Ivan. Lo si capisce bene anche da questo triplo cd appena uscito per la Sony, “Rock e Ballate per quattro stagioni”. Trentacinque brani prodigiosi, più la riproposizione dell’album postumo Per sempre Ivan (1999). Dentro è possibile ritrovare quella “voce da bambina depravata” (la definizione è dello stesso Ivan), quella scrittura così cinematografica e quella capacità di fotografare (anzitutto) donne e quotidianità. Cacciatore di dettagli per altri insignificanti ma per lui decisivi, Graziani era troppo poco “politico” per la critica fastidiosamente militante e troppo poco noioso per assurgere a “cantautore depositario del Verbo”. La sua cifra è l’unicità, perché nessuno è stato sommamente originale come lui. Nella città di nascita (Teramo). Nell’apprendistato Schermata 2017-02-07 alle 15.39.10(l’arte, il disegno, la scultura, il fumetto). Nei primi lavori (dischi strumentali, brani in inglese). Nel look, nella voce. Nell’uso della lingua. In tutto. Compreso quel desiderio ostinato di non essere etichettato mai, al punto da dire no – quando ancora non era nessuno – a Mina, Mogol, Pfm e chissà quanti altri. Chitarrista strepitoso (cercatevi su YouTube la versione live de Il topo nel formaggio), prima della carriera solista lo si trova in dischi di Venditti, De Gregori e soprattutto Battisti: Lucio era un amico autentico, che ne comprese appieno il talento. Talento che, ieri come oggi, seduce e ammalia in Olanda e PasquaLugano addioFuoco sulla collina (tra le canzoni più belle della musica italiana), Paolina e Signora bionda dei ciliegi. Generatore inesausto di riff irresistibili, la sua chitarra fiammeggia ancora in Motocross, Pigro, Monna Lisa, Il chitarrista e Taglia la testa al gallo. Sapeva anche esplorare il noir: il primo omicidio di Fango, il dramma della droga in Dada. Non è possibile trovare artisti a lui assimilabili, se non per certi versi Edoardo Bennato e Rino Gaetano. Tutti irregolari come lui e per questo sottovalutati. E’ il destino di pionieri e rivoluzionari: non tutti, anzi pochi, li capiscono immediatamente. Ivan Graziani ha dato il meglio di sé tra la seconda metà dei Settanta e i primi Ottanta. Gli riusciva tutto: album come Pigro e Agnese dolce Agneseerano e restano, semplicemente, perfetti. Negli Ottanta – decennio tremendo per molti cantautori – si è parzialmente smarrito, salvo poi ritrovarsi tornando alla sacra fonte del rock (Ivangarage). Pure nei Novanta, da Kryptonite a Maledette malelingue, il talento guizzava ancora. Alberto Radius, chitarrista di Battisti e Formula 3, di lui ha detto che è stato “l’unico chitarrista al contempo ritmico e virtuoso”. Analoghe le parole di Antonello Venditti: «Ivan riusciva a cantare sulla chitarra elettrica come nessuno in Italia sapeva fare». Ossessionato dall’idea di libertà totale e per questo in conflitto con i discografici, che riteneva quasi sempre dei gran rompicoglioni stupidi e ancor più dannosi, Graziani ha toccato i grandi temi del cantautorato italiano: l’ingiustizia, la diversità. La pigrizia (e la morte) mentale. La finta rivoluzione dei presunti ribelli, dietro cui si cela il conservatorismo peggiore. Lo ha fatto sempre a modo suo: un modo bellissimo. Ha cantato la provincia e la tradizione, il nuovo e il vecchio, l’amore e il sesso (tanto sesso). L’alto e il basso. Ha scritto, cantato e inventato brani definitivi. Divertenti, commoventi: immortali. Uno spettacolo. Per dirla in breve, Ivan Graziani è stato un genio. (Il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2017)

One comment

  1. Caro Andrea.
    Ieri hai deliziato la mia serata al teatro “Raffaello” di Urbino coi racconti su Ivan Graziani.Complimenti per il garbo la preparazione e al ritmo che hai dato allo spettacolo, ti ho fatto i miei elogi personalmente anche alla fine dello show.
    Sto scoprendo (“riscoprire” non lo trovo giusto per un evergreen) negli ultimi anni Ivan; è bello come l’eco di un cantautore possa arrivare dalla nostra polverosa ma bellissima provincia dopo tanti anni al grande pubblico grazie anche a te!
    C’è un episodio legato a Ivan, magari secondario, ma comunque carino:nei primi anni 90 un giorno arrivò all’ITIS di Urbino, scuola che frequentavo e in pochi minuti radunò i ragazzi con l’avvallo del preside per improvvisare un concerto coinvolgento i ragazzi con la sola chitarra, ci sono foto a testimonianza di ciò; ero uno sbarbatello e all’epoca non apprezzai fino in fondo il gesto; anche da ciò si intuisce l’immensità dell’artista.
    Sono un appassionato di vino e ieri ho chiacchierato con te velocemente sulla nostra passione comune, ho una piccola taverna vicino a Urbino (era la stalla di mio bisnonno) dove organizzo degustazioni. Ogni incontro segue un tema con bottiglie rigorosamente bendate, ti invito un giorno se vorrai, magari porta Rosario Dawson … ( http://grottinoblog.wordpress.com/ )

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