Tarzan e Maria Elena, sogni e incubi del partigiano Johnny

beppeSul Fatto Quotidiano ci stiamo divertendo a immaginare dei finali alternativi ai capolavori della letteratura. L’idea è nata dopo la decisione, arbitraria, di immaginare un sequel alla Trilogia di Stieg Larsson. Anche la rubrica del Fatto si chiama “Sequel”. Questo è il secondo numero ed ha la mia firma. Ho immaginato un finale alternativo a Il partigiano Johnny. Il libro è uscito postumo nel 1968. Incompleto, manca il finale e ne esistono più versioni. Beppe Fenoglio scriveva prima in inglese e poi si traduceva in italiano (il cosiddetto “fenglese”). Anche per questo il libro è pieno di neologismi e parole in inglese. L’ultima parte, detta Ur partigiano Johnny, tratta i mesi febbraio-aprile ’45, è anch’essa incompleta ed è rimasta in inglese. Per questo finale alternativo ho attinto in particolare da Ur partigiano Johnny, poco noto ma preziosissimo. I fatti storici riportati, come le morti di Cocito e Tarzan, purtroppo sono tutti reali. Ho anche cercato di ricalcare lo stile di Fenoglio, con tanto di frasi sue (la descrizione di Nord), neologismi suoi (stamburante) e parole rimaste in inglese (redness). Ovviamente è solo un gioco, però pensateci: cosa penserebbe oggi il partigiano Johnny, se vedesse come i governanti di oggi stanno sfasciando quel paese – e quella democrazia – per cui tanti partigiani diedero la vita? Buona lettura.

beppe 5Dea si era appena addormentata. Il sole era calato enorme, e abissale fu la perdita d’esso. Johnny rincorse i lineamenti di Tek Tek, uno dei pochi a non averlo deluso in quella guerra luttuosa e cricchiante prossima a finire. Era l’aprile del ’45. Un disastroso malessere continuo. Johnny aveva deciso di accompagnare Tek Tek, comandante di Grana nelle colline di Asti, rifiutando di attraversare il Tanaro e tornare nelle Langhe per la liberazione. Pensava di proteggere Tek Tek sino alla fine, come aveva fatto a Moncalvo e Montemagno, in quella vita bruente e cigolante che camminava su un piano asfodelico. Tek Tek era uno dei pochi che Johnny avrebbe voluto al suo fianco in quell’esercito di Cromwell di cui desiderava far parte, la Bibbia nello zaino e il fucile a tracolla.
Johnny sospirò di stanchezza. La pace era vicina, ma non era felice. Per quanto avesse appena rischiato di morire con la staffetta Dea durante un mitragliamento aereo, a rattristarlo non era la paura ma un senso di sconfitta. Aveva militato tra i garibaldini, rimanendone profondamente deluso. Si era sentito più vicino ai badogliani, ma comunque solo. Aveva a lungo sognato di incontrare qualche soldato della sua amata Inghilterra, ma i primi in cui si era imbattuto – Boxhall e Whitaker, neanche due mesi prima – gli erano sembrati volgari e stupidi. Così distanti dall’idea che aveva voluto coltivare di loro. Quanto agli americani, di loro conservava solo il ricordo fresco di quella nuova musica che lo aveva colpito. Il boogie-woogie.
beppe 2Il vento muoveva la radura, vesperale e stamburante, mentre il cielo conservava ancora quella redness che ormai Johnny conosceva come una compagna: l’unica che aveva avuto nell’ultimo inverno, infinito e terribile, vissuto in attesa del reimbandamento di febbraio. Obnubilato dalla fatica, ebbe quasi la sensazione di vegliare il proprio cadavere. Poco lontano, una raffica galoppante di mitra lacerò il mondo circostante. Si addormentò. Nel sogno rivide Nord, il leggendario capo delle Langhe, la cui maturità trentenne gli era sempre apparsa fulgida e lontana, splendidamente concreta come un picco alpestre. Nord era per Johnny bello quale mai misura di bellezza aveva gratificato la virilità, ed era così maschio come mai la bellezza aveva tollerato d’esser così maschia. Eppure, pochi giorni prima a Mango, aveva scoperto che lo stesso Nord aveva scelto per consigliere un ex repubblichino. E si era sentito tradito.
Johnny continuò a sognare. Il professor Pietro Chiodi parlava degli stoici, il professor Leonardo Cocito sceglieva Baudelaire per il fuoriprogramma. Doveva anzitutto a loro, durante gli studi presso il Liceo Govone di Alba, l’amore per la letteratura e la libertà, che Johnny trovava del resto pressoché coincidenti. Cocito era stato impiccato il 7 settembre 1944 dai nazisti, in località Pilone Virle presso Carignano, assieme ad altri sette. Prima di morire aveva gridato “Viva l’Italia!”. L’ufficiale tedesco che presiedette all’esecuzione, impidocchiato di propaganda e furore, scrisse verbalizzando: “Questo essere uomo”.
beppe 4Nel sogno, Johnny ripercorreva tutte le sue ferite. La terra fontanellava e lo sten lussureggiava. Scorse un ultimo streghesco gioco di luci e – in repentinità quasi di miraggio – gli parve che l’asfalto scomparisse per consegnarlo in un futuro inghiottente. Nel futuro intravisto nel sogno, lontano sei o sette decenni, vide un personaggio volgare e meno che stupido. Si atteggiava a Capo di Stato, e Johnny non capiva perché. Parlava di cambiamento, di innovazione, di rivoluzione. Si arrogava il diritto di sventrare una Costituzione che Johnny non aveva ancora visto, e che forse mai avrebbe amato poiché monarchico, ma che ciò nonostante appariva probabilmente quale unico argine a una dittatura meno feroce – ma non meno insidiosa – di quella che Johnny scontava dalla sua nascita. Si sentì trafitto da una stupidità così accentuata. Era offeso dalla banalità dei volti, del lessico, perfino dai loro nomi. Matteo, Maria Elena, Pina. Gli sembrarono tutti personaggi tremuli, come quei fascisti di seconda fila che già adesso vedeva intrupparsi tra i partigiani poco prima della liberazione.
Si svegliò di soprassalto. Dea lo fissava.
– Ti stavi agitando.
Johnny immaginò di galleggiare su marosi di frattura e sfinimento, piegato e scoppiato.

beppe 6– Cosa hai sognato?
Johnny avrebbe dovuto rispondere “il futuro”, ma non aveva mai amato le didascalie. Così disse altro.
– Tu non hai conosciuto Tarzan.
No, Dea non l’aveva conosciuto.
– E’ l’uomo a cui è appartenuto il fucile al mio fianco. Si chiamava Dario Scaglione ed è morto a Valdivilla due mesi fa. Vide il compagno Set ferito, il piede atrocemente fenduto per lungo e sotto tiro dei fascisti. Nessuno avrebbe cercato di salvarlo, era un rischio troppo grande, ma Tarzan rafficò largo per diversivo e miracolosamente ne uscì illeso. Trascinandosi dietro Set.
Johnny si fermò, poi riprese.
– Seguendo le tracce di sangue, e grazie anche a chi parlò, i fascisti li trovarono poco dopo. Chiesero a Tarzan di unirsi a loro in camicia nera, lodandone il coraggio. Tarzan, triste e fiero: “No”. Allora gli dissero che poteva andarsene. Quando si voltò, partì la raffica che ce l’ha tolto.
Ancora una pausa.
– Dimmi che hai sognato, Johnny. – Dea lo chiese piano.
Alla fine Johnny rispose.
– Ho sognato i 23 giorni della città di Alba. Ho sognato Chiodi, ho sognato Cocito. Ho sognato Tarzan, ho sognato Set. Ho sognato Nord. Ho sognato Scagliola morto col petto squarciato nel riprendersi Alba, Ballerini fulminato in combattimento a Pocapaglia, Aimo fatto morire con altri tre sotto le rotaie del trenino di Borgo San Dalmazzo.
– Perché li hai sognati?
– Perché doveva valerne la pena: deve valerne la pena. Tutte quelle morti non possono essere vane. Deve esserci sempre un partigiano ritto sull’ultima collina. Anche dopo la guerra, questa guerra. Ecco l’importante: che ne resti sempre uno.
Johnny tornò a cercare con lo sguardo Tek Tek: non somigliava per niente ai governanti del futuro che aveva sognato.
beppe 7– Pensa se, un giorno, dimenticheranno Tarzan. E Set, e Cocito. Ne sarebbe valsa la pena? Pensa se, un giorno, chi governerà avrà l’arroganza di cancellare il ricordo di chi è morto per loro. Ne sarebbe valsa la pena? Pensa a tanti repubblichini camuffati, a tanti giovani invecchiati, a tanti fiancheggiatori silenti. E pensali tutti al potere, in una democrazia fraintesa. Avrebbe senso, ora, essere come siamo i partigiani ritti sull’ultima collina? Pensaci.
– Sarebbe terribile – disse Dea.
– Sarebbe come fucilarsi da soli – sospirò lui.
Johnny la guardò. Le carezzò i capelli e si alzò. Prese il fucile di Tarzan e il semiautomatico, poi uscì nella notte e scomparve. Due settimane dopo la guerra era finita, settant’anni dopo di lui non era rimasto quasi niente. (Il Fatto Quotidiano, 3 ottobre 2015).

One comment

  1. Pensa se, un giorno, dimenticheranno Tarzan. E Set, e Cocito. Ne sarebbe valsa la pena? Pensa se, un giorno, chi governerà avrà l’arroganza di cancellare il ricordo di chi è morto per loro. Ne sarebbe valsa la pena? Pensa a tanti repubblichini camuffati, a tanti giovani invecchiati, a tanti fiancheggiatori silenti. E pensali tutti al potere, in una democrazia fraintesa. Avrebbe senso, ora, essere come siamo i partigiani ritti sull’ultima collina? Pensaci.
    – Sarebbe terribile – disse Dea.
    – Sarebbe come fucilarsi da soli – sospirò lui.

    Purtroppo l’incubo del partigiano Johnny e Dea si stà materializzando, questo è il risultato dell’aborto della Guerra civile del dopo armistizio che tutt’oggi ci sta masssacrando, ho paura che alla fine vinceranno I repubblichini infiltratisi fra i partigiani che hanno appoggiato la costituzione perchè a quel tempo non poteve non essere approvata, e gli infiltrate ingoiando amaro hanno rimandato il restaurarsi della dittatura al tempo che oggi stiamo vivendo.
    Dovrà rinascere un nuovo comitato di liberazione nazionale con tanto di partigiani.

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